Dal 22 febbraio al 19 maggio l’Ateneum di Helsinki presenta una imponente retrospettiva dedicata al grande artista ceco František Kupka (1871–1957). Del maestro della “moderna poesia del colore” sono presentare circa 150 opere provenienti dal Centre Pompidou, dal Museo Guggenheim di New York e dalla Galleria Nazonale di Praga. La mostra, realizzata dapprima al Grand Palais di Parigi nel 2018 (dove erano presenti circa 300 opere) è un racconto delle evoluzioni stilistiche del grande artista, uno dei pionieri dell’arte astratta.
L’astrattismo, cui giunge in età matura, rappresenta una svolta radicale, e la mostra ricostruisce abbastanza chiaramente la sua carriera dal realismo delle prime opere alle illustrazioni per la stampa parigina negli anni ’90 dell’Ottocento passando per gli esperimenti simbolisti fino all’esperienza astratta degli anni ’50.
Artista poliedrico e colto, ha saputo arricchire la sua pittura di suggestioni e atmosfere a metà fra scienza e poesia. È stato uno degli artisti più interessanti della sua epoca, anche se, a differenza di altri, scelse di vivere senza clamori né eccessi.
Formatosi a Praga, perfezionò gli studi artistici a Vienna all’Accademia di Belle Arti dal 1892 al 1895, e l’anno dopo scelse di trasferirsi a Parigi, la capitale culturale d’Europa, assai più vivace della compassata capitale asburgica. Ma a Parigi la Belle Époque mostrava segni di stanchezza, e Toulouse-Lautrec, in anticipo sull’espressionismo, fu il primo a spiegare che l’angoscia era arrivata anche nella Ville Lumière.
Un’attività, la sua, poliedrica, perché realizzò anche diverse illustrazioni in stile Art Nouveau, in ciò seguendo con attenzione il suo compatriota Alfons Mucha. Ma nel clima mosso della Parigi d’inizio secolo, Kupka non restò estraneo al dibattito sociale, realizzando numerose illustrazioni, per esempio, di tagliente satira anticlericale.
Fra il 1905 e il 1908 lavorò alle illustrazioni per L’uomo e la Terra, opera del geografo Élisée Reclus sull’evoluzione umana nelle varie epoche storiche. Kupka era affascinato dall’Età Greca. Studiò attentamente l’arte classica ed ellenistica che, per la chiarezza del disegno e della sua idea compositiva, costituì un riferimento essenziale per lo sviluppo delle sue idee pittoriche; nell’arte Greca ammirava il consapevole proposito di esprimere il senso delle cose, l’idea che dà forma al sensibile.
Su questi principi, Kupka sviluppa la sua pittura, affiancando la figurazione greca al Fauvismo e all’Espressionismo; senza abbandonare completamente la figurazione, opta per una pittura in cui il colore abbia il sopravvento. È già in questa fase che, come spiega Markéta Theinhardt, co-curatrice della mostra, “per Kupka, il colore è già la forma.”
Da qui prende lentamente l’abbrivo la grande mutazione che porterà all’astrazione, e la Bagnante (1906-9) è forse l’opera simbolo di questa nuova direzione. Rispetto alle contemporanee esperienze viennesi, le sue opere adesso mostrano una cromia più sgargiante, i soggetti si sfrangiano inun puro segno visivo che combina il colore, la luce e il movimento. La superficie dell’acqua, su cui fluttuano i riflessi e i cerchi lasciati dai movimenti del corpo della donna, diventa una metafora del tempo e dello spazio, non più bidimensionale, e della dissoluzione della figura nel colore.
Sono gli anni in cui Braque e Picasso sperimentano la simultaneità nel Cubismo, Modigliani e lo stesso Picasso abbracciano l’arte primitiva, Schiele a Vienna esprime l’angoscia della società europea fin de siècle. Ma Kupka non aderì a nessuna di queste tendenze, e di ognuna studiò le caratteristiche per poi farle confluire in una sua propria poetica, che formulò fra il 1911 e il 1912, raggiungendo la piena astrazione espressiva, quasi contemporaneamente a Kandinskij ma in maniera autonoma. Kupka si interessa alle teorie di Isaac Newton sui movimenti e le rotazioni dei corpi, e in Amorpha, fuga a due colori (1912), indaga la metafisica del movimento all’interno del tempo. A livello estetico, è evidente il richiamo al mondo arcaico, con forme dal sapore primitivo che formano i due corpi stilizzati, persi in una vorticosa danza cosmica.
L’astrattismo di Kupka è permeato dall’interesse per la filosofia, le civiltà antiche, le religioni, la poesia e la scienza. Per lui, l’anima del pittore doveva essere consapevole del dinamismo vitale della natura. E proprio penetrando nelle forme del mondo naturale, dentro le strutture interne dei quarzi (come in queste Verticali in giallo, 1913), comincia a dipingere paesaggi interiori, in cui i colori e la luce sembrano scaturire direttamente dalla materia, sono energia pura, spesso bianca e accecante.
Senza dimenticare quell’andamento musicale presente nelle sue opere, e che conferisce loro, assieme a tutte le altre suggestioni, una profonda, marcata aura spirituale e teosofica, alla ricerca di un’armonia non soltanto fra la scienza e la religione, ma soprattutto fra i popoli, in un anni che invece vedevano l’Europa diretta verso la Grande Guerra.
Una fase nuova ancora della sua carriera giunse nel 1931, quando aderì al gruppo Abstraction-Création, fondato l’anno precedente da Theo van Doesburg, e che includeva artisti del calibro di Jean Arp, Mondriaan, Theo van Doesburg e Kandinskij. Un gruppo assai composito, mosso però dall’interesse per l’astrazione geometrica.
Kupka costruisce un cosmo regolato dalle proporzioni matematiche, in cui la vicinanza a Mondrian è abbastanza evidente. E nel 1936 il Museum of Modern Art di New York lo invitò a partecipare alla collettiva Cubism and Abstract Art.
Passata, non senza tragedie personali, la Seconda Guerra Mondiale, tornò alla vita artistica, e nel luglio del 1946 aderì al Salon des Réalités Nouvelles, e lo farà fino alla scomparsa undici anni più tardi. La manifestazione, interamente dedicata all’arte astratta, rappresentò per Kupka l’occasione per confermare il suo ruolo di precursore dell’astrattismo, un mondo fin troppo variegato al cui interno è forse riconducibile, più di altri, ad Emil Nolde, poiché entrambi hanno tenuto lontana la loro pittura dagli orrori dell’epoca che vissero.
Va detto però, nel suo caso, conservando sempre una vena poetica, una sfumatura di ironia, da buon filosofo greco, come forse sempre immaginò di essere, o un telamonio che regge sulle spalle il peso di un mondo nuovo gravido di incognite. E di scoperte.
La Rondine – 26.2.2019