Il coronavirus tra i somali di Helsinki. Statistiche o razzismo?

Quella dei somali in Finlandia è una presenza che ha sempre generato qualche (più o meno tacito) disagio nella popolazione locale. I primi immigrati somali giunsero in Finlandia tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, sin dalle prime fasi della guerra civile, la rivolta contro il regime di Siad Barre. Erano studenti provenienti da università dell’ex Unione Sovietica. Successivamente, altri richiedenti asilo arrivarono direttamente dalla Somalia, molti attraverso un programma di ricongiungimento familiare.
I somali sono la quarta minoranza del paese, dopo Finno-svedesi, Russi ed Estoni, e costituiscono il più grande gruppo di origine non europea. Nel 2018 sono stati registrati 20.944 somali in Finlandia, 11.776 dei quali nati in Somalia. Il 78% dei somali vive nella regione della capitale, in Uusimaa, l’8% nel sud-ovest della Finlandia, il 3% a Pirkanmaa (regione di Tampere) e l’11% nel resto del Paese.
La comunità risulta avere una buona conoscenza della lingua finlandese, secondo recenti indagini, ma ciò nonostante una scarsa integrazione col resto della società: per esempio, il 45% dei somali pare non avere nemmeno un amico tra i finlandesi nativi.

Sui media finlandesi è nata una polemica di carattere etnico, con accuse non velate di razzismo, e che trae origine da una apparentemente neutra comunicazione di dati sui cittadini dell’area metropolitana positivi al coronavirus.

Nel report del Comune di Helsinki, presentato martedì scorso, viene riferito che fino a quel momento erano stati diagnosticati quasi 200 casi di coronavirus tra i somali residenti, con 2 decessi. Secondo le più recenti statistiche sul virus, l’1,8% dei cittadini di Helsinki di lingua somala sono risultati positivi al virus, di fronte a una media della popolazione della capitale dello 0,2 %.

A questo punto la comunità somala insorge, chiedendo perché debba essere reso pubblico un dato riferito specificatamente a un determinato gruppo linguistico. Attivisti della comunità somala hanno scritto al riguardo un appello pubblico, che ha raccolto più di mille firme in pochi giorni. “Perché Juha Tuominen della HUS e il sindaco Jan Vapaavuori ci discriminano?”  domanda Omar A. Abdi, giovane attivista della comunità, uno dei promotori dell’appello.

Secondo Abdi, i somali sono abituati al razzismo in Finlandia, ma adesso l’intera comunità sarebbe stata oggetto di discriminazione. Si ricorda ancora l’ex ministro degli esteri Alexander Stubb che parlando di Itä-keskus, il quartiere nella zona orientale di Helsinki che è un po’ il centro della comunità somala, così tranquillizzava una profuga appena arrivata: “Itäkeskus? È come stare in Somalia. Un bel posto.”
“I somali sono oggetto di denigrazione, molti tassisti hanno affermato che non trovano più clienti. In un negozio, a una donna somala è stato detto che se entra come cliente deve portare una mascherina ”, afferma Abdi.

“Tra i somali c’è un sacco di persone che lavorano nel settore dei servizi, ad esempio autisti di autobus, tassisti, cassieri, infermieri e lavori simili che non si possono fare a distanza. Adesso il ringraziamento che riceviamo per il lavoro svolto è che siamo discriminati ancora di più?”, si domanda Abdi.

Uno dei motivi della diffusione delle infezioni da coronavirus tra i somali è, sospetta Abdi, proprio il fatto che molti sono esposti al contagio sul lavoro. Un altro motivo potrebbe essere rappresentato dalle famiglie numerose.

Abdi ci tiene a sottolineare che la presunta carenza di informazioni sulla diffusione del coronavirus tra i somali non è dovuta a difficoltà linguistiche. “Ci sono somali molto istruiti in Finlandia che leggono le notizie da fonti finlandesi e internazionali. Abbiamo seguito le linee guida “, afferma.

Il sindaco Jan Vapaavuori (Partito di coalizione nazionale), da una parte dichiara di comprendere il disagio della comunità somala, ma al tempo stesso rimarca che la decisione di pubblicare quelle statistiche partiva da valutazioni fondate e con una decisione unanime del consiglio comunale della città.

“Sappiamo che ci sono aree della società che non sono in grado di gestire queste faccende in maniera intelligente (fiksu). Ma questo non è un buon motivo per tacere sulle cose in una situazione di grande cambiamento ”, ha detto Vapaavuori.
Il sindaco ha sottolineato come gli sia già stato chiesto più volte un paragone con Stoccolma, dove il contagio aveva colpito in particolare proprio questo segmento della popolazione. Ora che le statistiche lo confermano, Vapaavuori ha pensato che sarebbe stato irresponsabile non riportare quel dato.

“La cosa più importante nella vita sociale è la fiducia. Fornire informazioni chiare e oneste significa anche parlare di cose dolorose”, così il sindaco.

Anche Suldaan Said Ahmed (consigliere comunale della sinistra) è preoccupato per la situazione della minoranza somala. Ha dichiarato pubblicamente nella sua lingua di essere risultato positivo al contagio da coronavirus. A suo parere, la comunicazione nella propria lingua è in questa situazione di vitale importanza. Gli avvertimenti devono raggiungere tutta la popolazione, e questo richiede un impegno da parte sia della città che delle comunità.

C’è qualcosa di vero in entrambe le posizioni, ma che la comunità somala sia oggetto di una attenzione per lo meno pelosa da parte dell’amministrazione è un sospetto che permane tra i somali di Finlandia. La questione, ad essere onesti, si presta a speculazioni di carattere etico: è legittimo essere oggetto di una particolare valutazione su una base puramente etnico-linguistica?

Che avremmo pensato noi italiani in Finlandia se quello stesso giorno avessero annunciato che nella comunità di Helsinki di origine italiana c’era una prima vittima del coronavirus, un settantenne? Considerando che la comunità che parla italiano a Helsinki è molto più piccola di quella somala, quali numeri sarebbero venuti fuori, e che percentuale di contagi avrebbero avuto gli italiani in quella statistica?

Nicola Rainò
Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.