I fantasmi di Venezia

Visioni uniche nella storia della città lagunare, “grazie” alla pandemia

Quante volte abbiamo sentito nostri amici finlandesi, dopo un soggiorno a Venezia, dire che sì è un posto bellissimo, unico, ma quella puzza, per carità, non si può sopportare! E qui le nari sensibili dei nostri ospiti si dilatano provocatoriamente, inebriandosi degli aromi incontaminati di Ruoholahti. Ma in questo periodo, in questo tempo di pandemia, è successo qualcosa di imprevedibile e di unico nella storia della città lagunare: pesci, volatili, cefalopodi, si sono impossessati di quelle acque una volta torbide e che adesso, “grazie” al blocco della pandemia, sarebbero tornate “incontaminate”…

Una ricerca condotta dal Consiglio nazionale delle ricerche degli Istituti di Scienze marine e di Geoscienze spiega i fenomeni osservati nella Laguna di Venezia durante il lockdown, analizzando le componenti in grado di influenzare la torbidità dell’acqua. Fra queste, la riduzione del moto ondoso per la caduta del traffico nei canali, l’assenza di precipitazioni sul bacino, la stagionalità del ciclo di crescita del fitoplancton e l’assenza di moto ondoso indotto dal vento. Inoltre, in questo periodo, ha inciso molto anche la diminuzione degli scarichi urbani per la scomparsa del carico turistico che di solito invade la città in maniera ossessiva.
“L’analisi delle immagini satellitari Sentinel-2 del programma europeo Copernicus ha evidenziato i cambiamenti avvenuti”, ha detto Federica Braga del Cnr-Ismar. “Contemporaneamente, si osservano gli impatti dovuti alle attività essenziali che sono proseguite durante il lockdown, quali la pesca dei molluschi sui bassi fondali e il passaggio delle navi commerciali nel canale industriale Malamocco-Marghera”.
Si ha dunque l’opportunità di osservare e studiare processi naturali che condizionano la qualità dell’acqua e di valutare l’impatto delle attività umane negli ecosistemi costieri.

Le immagini aiutano a farsi un’idea del cambiamento. Dopo le foto dei satelliti dell’ESA, che hanno registrato un calo netto delle emissioni di biossido di azoto, soprattutto in Pianura Padana, arrivano le foto scattate proprio a Venezia, dove l’acqua dei canali è tornata trasparente.

Generalmente i canali di Venezia appaiono torbidi, color petrolio, mentre in questo periodo sono così limpidi che è possibile vedere i fondali e una notevole fauna marina che si aggira nelle acque.

L’assoluta assenza di imbarcazioni e la conseguente immobilità delle acque hanno favorito la penetrazione nei canali, di tutta una serie di organismi di viventi, tra cui le meduse. In alcuni canali sono arrivati centinaia di pesci, tra latterini e cefali. E naturalmente qualcuno si è divertito, sui social, a farvi apparire anche specie impossibili, come un coccodrillo!

Fantasmi anche questi, creature quasi mitologiche, che nella città teatrale per eccellenza compaiono da sempre, a sbalordire, come ai tempi del “Rinocerotto” di Pietro Longhi. Dove a stupire, oggi, non è tanto l’inaudito bestione, quanto l’analogia delle maschere, che oggi indossiamo, come i veneziani del Settecento, ma per proteggerci da noi stessi.

Forse non ce ne rendiamo perfettamente conto, ma questa è la prima volta, probabilmente, dopo secoli, che questa visione è possibile nella città lagunare.

Essendo Venezia, come si sa, una cavia esemplare della devastazione ambientale praticata dalla nostra specie, in cui a fronte dei ripetuti inviti delle associazioni ambientaliste e delle persone di buona intelligenza, invece del contenimento dei flussi turistici e dell’uso di mezzi motorizzati, a partire dalle navi da crociera, si è preferito ricorrere a mezzi tanto spropositati quanto costosi e forse del tutto inutili come il Mose.

“Il paradosso – dice il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – è pensare che il Mose possa risolvere il problema dell’acqua alta a Venezia, quando sappiamo che è stato pensato e progettato prima che si prevedessero impatti climatici della portata di quelli che si stanno verificando. Il Mose può servire per arginare alcuni livelli d’acqua, ma non tutti, e sappiamo che gli eventi estremi sono destinati a ripetersi con sempre maggiore frequenza e che Venezia si troverà a dover fare i conti con un innalzamento del livello dei mari rilevantissimo, come evidenziato anche dall’Enea. Per questo per Venezia, come per le città e le coste più a rischio nel nostro Paese, occorre ragionare urgentemente di un serio piano di adattamento ai cambiamenti climatici e ai loro effetti che saranno altrimenti sempre più devastati”.

Venezia dovrebbe essere un laboratorio in cui speriementare non le tecnologie della “riparazione”, ma quelle della prevenzione, e invece sembra che si faccia tutto il contrario.

L’Italia, negli ultimi 20 anni, dal 1998 al 2018, ha speso secondo i dati Ispra circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto secondo dati del Cnr e della Protezione civile (un miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro).

Per queste ragioni quei fantasmi che abbiamo tutti ammirato nei canali di Venezia in questo periodo, diafane meduse e polpi abbarbicati alle fondamenta, nel silenzio assordante dell’assenza di turisti e di motoscafi, potrebbero far riflettere sul dopo. Mentre si fa il conto degli “sghei” perduti da aziende turistiche, albergatori e ristoratori, venditori di souvenir e bibite, viene da domandarsi che ne sarà dei fantasmi intravisti contro l’umana volontà in questo periodo di pausa, in cui sembra che la natura “selvatica” si riprenda una parte dei suoi territori.

Il rischio, molto prevedibile, è che nel (breve, sperémo) volgere di questa congiuntura, anche “questo po’ di selvatico”  finisca, come nella Villeggiatura di Goldoni, sulla mensa di qualche don Eustachio, che lo “aggradirà” e poi, una volta saziatosi, tornerà a fare i “fatti propri.”

E allora torneranno, nonostante le buone intenzioni di oggi, quegli altri fantasmi, assolutamente veri, spropositati, che hanno finora caratterizzato la visione quotidiana di una delle città più fragili del mondo. Sapremo distinguere, passata la nottata, i fantasmi dagli incubi?

Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.