“L’Italia non è la Grecia”: vi pare banale?

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Un bel reportage sulla situazione dell’economia italiana all’interno della crisi europea, e non desta meraviglia, poiché a scriverlo sul sito di Yle è Petri Burtsoff. Un esempio di come si possa discutere una tesi scontata solo in apparenza, tipo “L’Italia non è la Grecia”. Non è banale, sostiene  Burtsoff, dal momento che il dibattito pubblico in Finlandia sulla proposta della Commissione europea per il fondo di ricostruzione da 750 miliardi di euro è avvenuto in base a modelli obsoleti.  Visto che i paesi del sud, principalmente l’Italia, sono ritratti come beneficiari indolenti e volatili di aiuti che verrebbero, ma guarda, dai paesi nordici efficienti e frugali.

Alla gente torna in mente quel è successo durante la precedente crisi finanziaria, quando altri paesi dell’UE hanno dovuto salvare [ma io lo metterei tra virgolette. N.R.] la Grecia, che era sull’orlo dell’insolvenza, ben tre volte.
In questo dibattito, paesi mediterranei come Spagna, Italia e Grecia sono facilmente messi in un unico mucchio, anche se sono abbastanza diversi nelle loro strutture economiche e nelle politiche economiche.

Più di recente oggi, il ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio è stato irritato dal tono del dibattito e ha scritto che “l’Italia non è un lazzaretto” e che “esigiamo rispetto”.

Il fatto è che l’Italia è una grande potenza economica e un paese industrializzato.
Cominciamo con le dimensioni. L’Italia è la terza più grande economia dell’Unione europea e un membro del G8, uno dei principali paesi industrializzati del mondo.
Il suo PIL è dieci volte quello della Grecia. Se si calcola il valore aggiunto portato dall’industria, è più di 13 volte più alto di quello della Grecia.
La dimensione dell’economia non è indifferente, se si tiene conto della durata della crisi di un paese: quando uno stato fa debiti, sulla bilancia dei creditori conta la capacità di spesa del debitore, la capacità di riparare il proprio debito rispetto ad altri, anche se tutti sono in difficoltà finanziarie in questo momento.

Foto Maserati

L’economia italiana è anche più diversificata rispetto alla Grecia. È un misto di milioni di piccole e medie imprese e grandi aziende industriali, molte delle quali lavorano per la locomotiva economica europea, la Germania.
Anche pensando ai dati della disoccupazione, la situazione in Italia è chiaramente più stabile rispetto agli anni della crisi in Grecia. La disoccupazione in Italia era nell’ordine del 10% prima della crisi legata alla pandemia. Una cifra preoccupante, ma molto bassa rispetto al tasso di disoccupazione di quasi il 30% della recessione greca.

L’economia italiana è, ovviamente, afflitta da molti problemi, tipo mercati del lavoro rigidi, eccessi di norme e di burocrazia, che, combinati, hanno portato ad una bassa produttività del lavoro rispetto alla Germania, ad esempio.
La sua economia non è stata in grado di crescere in modo significativo per parecchio tempo, ma lo stesso si può dire per l’intera Europa.

Sta di fatto che l’Italia ha chiaramente gestito la propria economia in modo più responsabile rispetto alla Grecia.
L’Italia è uno dei cosiddetti contributori netti del bilancio europeo, il che significa che versa alle casse di Bruxelles più di quanto poi riceve indietro attraverso i vari fondi comunitari per le regioni, la ricerca, lo sviluppo, i migranti e tutte le altre politiche Ue”. Nel 2018, ha pagato all’UE 5 miliardi di euro più di quanto abbia poi ricevuto dall’UE. Anche se le cifre sono presentate in rapporto alla popolazione, l’Italia di fatto versa un contributo netto chiaramente maggiore all’UE rispetto alla Finlandia.

Da qui l’inconsistenza dell’idea di un “sud mantenuto”: a spese di chi?
Non sono poche le colpe nella gestione dell’economia italiana, a partire dall’evasione fiscale e dall’eccessivo ruolo dell’economia sommersa, nonché dall’enorme peso del debito. Poi, quando si scrive di economia italiana, non si può non menzionare la mafia, i cui giri d’affari sono così enormi che la mafia può essere considerata la più grande azienda italiana.

Ma se guardiamo alla Grecia, di fatto insolvente dieci anni fa, l’economia italiana è a un livello completamente diverso.
Il disavanzo di bilancio della Grecia era arrivato fino al 15%, quando in base alle norme dell’UE non doveva superare il 3%. L’Italia, al contrario, è rimasta all’interno della regola del 3% quasi ogni anno dalla crisi finanziaria.

Indubbiamente però, sottolinea il reporter, il più grande problema economico dell’Italia è l’enormità del debito pubblico. Lo stato italiano deve restituire oltre 2.000 miliardi di euro.

Il debito pubblico va misurato in relazione al PIL e, anche in base a tale misura, il dato italiano, il 130%, è tra i più alti in Europa, ma la Grecia supera il 180% del PIL. È stato proprio a causa del suo debito che la Grecia ha dovuto essere salvata quando il mercato ha perso la fiducia nella capacità del paese di servire il debito pubblico in espansione.

Dovremmo quindi preoccuparci dell’entità del debito italiano? Sì e no.

Erik F. Nielsen, responsabile economico di Unicredit, la più grande banca italiana, scrive in un recente rapporto finanziario che, analizzando il debito pubblico, oltre all’entità del  debito dovrebbero essere presi in considerazione anche i tassi di interesse.
Secondo lui, un rapporto debito/PIL del 100% al tasso del 5% è peggiore del rapporto debito/PIL del 130% al tasso attuale di circa il 2%.
I costi di gestione dei tassi di interesse italiani sono impressionanti, ma, secondo Nielsen, solo un punto percentuale in più rispetto a Spagna e Regno Unito.
Ma quel che più conta, secondo Nielsen, è la distribuzione del debito. La metà del debito pubblico italiano viene acquistata da cittadini italiani e il 17% dalla Banca d’Italia.
Quindi, dal punto di vista dell’economia nazionale, oltre i due terzi del debito italiano è rappresentato da denaro che circola all’interno dell’economia del paese.

Quando lo stato italiano paga interessi sul proprio debito o ripaga il proprio debito, secondo Nielsen, gran parte del denaro finisce per tornare ai cittadini del proprio paese o alla sua banca centrale, che a sua volta mette i suoi profitti in conto nelle casse del tesoro.
La sostenibilità dell’onere del debito è condizionata dalla fiducia dei mercati finanziari nella solvibilità dell’Italia. Nel caso della Grecia, la fiducia si è sgretolata e ne conosciamo le conseguenze.

Finora, i tassi di interesse sul debito pubblico italiano sono rimasti relativamente bassi a poco meno dell’uno e mezzo per cento, rispetto a quasi il 7 % nel 2011. In Grecia, il corrispondente tasso di interesse del debito pubblico è aumentato nello stesso periodo ben al di sopra del 30 percento.

Il desiderio dei cittadini di acquistare titoli di stato italiani è persino aumentato con la crisi pandemica. Una settimana fa, l’Italia ha venduto 22,3 miliardi di euro in titoli di stato a investitori e risparmiatori nazionali.

Un record assoluto. Nielsen ne trae la seguente conclusione : “Il debito sovrano italiano è perfettamente sostenibile e, se anche gli investitori stranieri se ne andassero, famiglie e società non finanziarie hanno risparmi più che sufficienti per intervenire e aumentare ulteriormente le loro già consistenti partecipazioni”.

Tutto ciò significa che l’economia italiana non dovrebbe destare preoccupazioni e che l’intero pacchetto di aiuti dell’UE è inutile?
Niente affatto. La crisi della pandemia ha colpito duramente l’Italia. Laddove il resto dell’Europa ha avuto il tempo di reagire e prepararsi, l’Italia ha fatto da cavia per l’intero continente.
Ad oggi, 33.340 persone sono morte e oltre 230.000 sono state contagiate. Le restrizioni in Italia sono state le più severe su scala occidentale e l’attività economica del paese si è quasi completamente fermata.

foto da The Independent

Lorenzo Codogno, rispettato professore di economia alla London School of Economics, stima che l’economia italiana calerà di ben il 14% quest’anno. L’Italia ha un debito così grande che il suo margine di manovra finanziario è inferiore a quello di molti altri paesi e le sue misure di sostegno non sono sufficienti.

Una preoccupazione ancora maggiore destano le banche del paese. La crisi dei tassi di interesse ha reso insolventi molte società italiane, il che ha aumentato il già elevato livello di prestiti problematici negli istituti bancari.
L’indice FTSE Italia All-Share Banks, che misura la fiducia del mercato nelle banche italiane, è crollato con la crisi dei tassi d’interesse, e questo non fa ben sperare.
L’economia italiana è innegabilmente un guaio per l’intera Europa, ma la difficoltà non va alimentata dai pregiudizi. L’Italia non è la nuova Grecia.

Questo il contenuto dell’articolo che, nella sua forma piuttosto didascalica, è spiegabile con la necessità di fare da contraltare a un senso comune, molto diffuso in Finlandia, a volte anche in certo giornalismo volatile, che riduce la complessità del caso italiano a formulette curiosamente rassicuranti: destinate cioè a coltivare l’orgoglio dei “frugali”, e nell’animo dei semplici il sogno di “anni luce” di distanza tra i nostri paesi. Far capire che siamo tutti nella stessa barca, e che l’unica destinazione possibile è, come per Ulisse, una comune Itaca. Grecia. Europa.

(Foto del titolo da meteoweb.eu. Per le immagini dell’articolo siamo a disposizione per pagare i diritti qualora ci venga richiesto)

Nicola Rainò
Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.