Poesia udmurta: Sergey Vasiljevich Matveev

Sulla Rondine abbiamo già dato qualche ragguaglio sulla cultura dell’Udmurtia, una piccola repubblica nel cuore della Russia a circa 1200 km a nord-est di Mosca, precisando che l’udmurto (una volta chiamato votiaco, secondo il nome russo della lingua) è una lingua permica appartenente al grande gruppo delle lingue uraliche, e quindi lontanamente imparentata al finlandese. Si tratta di una piccola comunità, i cui parlanti sono oggi circa 340 mila.

Dopo avere segnalato una raccolta di racconti scritti in questa lingua, adesso presentiamo un poeta, Sergey Vasiljevich Matveev, noto anche come prosatore e traduttore, vincitore di svariati premi.

Nato nel 1964 nel villaggio Kvashur del distretto di Vavozh, dopo la laurea presso la Facoltà di filologia ha lavorato nelle redazioni di giornali e riviste, e come redattore della casa editrice Udmurtia.

Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo Mylkyd (Vena, 1991), Lul (Anima, 1994) e Churyt pus (Segno duro, 1999).

Il personaggio lirico della poesia di Matveev è “un romantico ingenuo e un egoista freddo, figlio di contadini e un creativo inebriato dalla libertà della città, un conoscitore dei principi morali della vita di campagna e un giovane corrotto dalla civilizzazione” (V. G. Panteleeva). Lo stato d’animo generale e il temperamento complesso e conflittuale che emergono sono determinati dai cambiamenti dell’età e dalla lotta contro le nuove contraddizioni, nonché dall’accresciuto interesse per la persona e il principio individuale.

Particolare interesse hanno suscitato i romanzi scandalistici Shuzi (Folle, 1995) e Chorygles lushkam kylburanjes (A nome dei pesci, 2005). Il suo contesto creativo è pervaso dall’intertestualità modernista. Il complesso romanzo A nome dei pesci mescola ‘misture intertestuali’ con variazioni grafiche, formule matematiche ed estratti di trattati filosofici.

Intervista a Sergey Vasiljevich Matveev

a cura di Viola Parente- Čapková

Scrivi sia testi in prosa sia poesia. Cosa ti da in più la poesia rispetto alla prosa e viceversa?

Allora, prosa o poesia? È necessario chiarire subito. Innanzi tutto mi considero un poeta, perché anche la mia prosa è essenzialmente poesia su una scala più estesa. Ci sono tanti elementi lirici, che, di regola, sfociano in una certa confessione. Ecco perché, sicuramente, nei miei testi in prosa non c’è una trama chiaramente strutturata. Anche se, d’altra parte, sono un sostenitore della completa libertà creativa. Questa è la cosiddetta triade, ‘esposizione’, ‘culmine’ e ‘dénouement’; dovrebbe interessare poco l’autore, dovrebbe esprimere l’idea, il suo atteggiamento nei confronti di qualcosa, e così via. Nell’opera, l’interessante è lo stile proprio dell’autore, la sua originalità, individualità, esclusività.

Quindi, la poesia e la prosa hanno modi di espressione leggermente diversi. Mi piace fare entrambe le cose. Ma, tuttavia, esprimendo il mio particolare amore per la poesia, dirò: in una poesia breve di una piccola raccolta (intendo qui il volume visuale), si può esprimere un’idea per la quale a volte è necessario scrivere un esteso romanzo in prosa.

Generalmente, qual è lo stato di salute della poesia udmurta?

Finora gli udmurti (questo vale anche per me, naturalmente) si vantavano di essere un popolo di cantori, e questo è vero, ma … Si tratta principalmente di tradizioni di canto popolare (poetico), folklore, sicuramente da apprezzare. Ma i compiti della letteratura artistica professionale (e in particolare della poesia) sono leggermente (o forse completamente) diversi. Purtroppo gli udmurti sono un popolo molto introverso, contento della propria cultura. Io sono un ‘occidentale’, in senso buono. È necessario studiare la cultura mondiale (in particolare la letteratura), acquisire conoscenze, elevare l’intelletto, e sulla base di tutto questo, creare una cultura nazionale (letteratura). Per riassumere, nella letteratura udmurta è necessario applicare metodi, mezzi, correnti, tutto ciò che serve a stare al passo con il mondo pur rimanendo, naturalmente, degli udmurti. E in ogni caso lo siamo e lo rimaniamo, per il semplice fatto che siamo udmurti a livello di DNA.

Ogni autore udmurto è perlomeno bilingue. Come si riflette, secondo te questo aspetto nella produzione letteraria?

Sì, l’autore udmurto è potenzialmente bilingue. E questo è un vantaggio. E alcuni autori sfruttano questo vantaggio nelle loro opere. I nostri classici Kuzébai Gerd, Gennady Krasilnikov erano bilingui, oggigiorno Vyacheslav Ar-Sergi, il vostro umile servo Sergey Matveev e alcuni altri. C’è una certa prospettiva in questo, rappresentata dai giovani autori. Ma … (per qualche ragione, mi viene naturale usare spesso questa contrapposizione) purtroppo, come tu stesso sai, ci sono sfumature linguistiche difficili da percepire, direi quasi a livello genetico. Pertanto, l’autore udmurto, che ha anche sufficiente esperienza in attività bilingue, all’orecchio degli udmurti sembra un autore che scrive in russo. Bene o male, non lo so; io sono più propenso a far sì che il testo udmurto conservi una sua specificità, e quello russo la propria. È necessario orientarsi in questa direzione.

Oltre alle influenze russe, è possibile scorgere delle influenze di altre lingue ugrofinniche?

In generale, in una certa misura ho già espresso questa idea, perfino la lingua russa non ha un effetto consistente sull’udmurto; questo, naturalmente, per ciò che riguarda la letteratura. E ciò è vero ancora di più nel caso delle lingue ugro-finniche, a causa di una certa disunione (storica, politica, ecc.). Anche se di recente, a causa della globalizzazione, il quadro può cambiare, quasi a contraddirmi. Vorrei, però, che questa influenza influisse sull’acquisizione dell’ampiezza dei mezzi, delle tecniche e delle opportunità della letteratura. E della libertà. Il processo creativo, in ogni caso, dovrebbe essere libero sotto tutti gli aspetti.

Quasi dappertutto, la poesia è un genere minoritario. Si può dire lo stesso per quella udmurta?

Sì, sicuramente la poesia è un genere minoritario. Perché, secondo me, la poesia è il genere più alto della letteratura. E non tutti riescono a percepirla. Perché è un sistema figurativo. La maggior parte della gente non ha bisogno di espressioni simboliche e figurative, ha bisogno di specificità, ha bisogno della vita quotidiana, ha bisogno di realismo.

Quanto importante è stata l’influenza della poesia sperimentale nella tradizione udmurta? Quella più recente, come la flarf o google poetry?

Parlando di poesia sperimentale, devo dire che, per qualche motivo, quasi tutti i critici letterari classificano il mio lavoro come attività sperimentale. Io, dimorando nel mio corpo e non potendo guardare me stesso dall’esterno, mi considero un autore classico. In particolare nella poesia, aderisco alla forma classica. Ebbene, forse mi limito a toccare nel mio lavoro quegli argomenti che nella letteratura udmurta, per vari motivi, vengono taciuti: ad esempio, franche conversazioni sul rapporto tra uomo e donna; franche riflessioni sulla fede e sull’ateismo; semplicemente franchezza in tutto, e confessione.

Per te sembra sia stato importante il modernismo. A quale dei modernismi fai riferimento, pre- o post- bellico?

Sì, gli studiosi di letteratura usano spesso questo termine analizzando i miei testi. Ho già espresso, in un modo o nell’altro, il mio pensiero al riguardo. Aggiungo solo (o meglio, ripeto) che nel mio lavoro sono assolutamente libero (beh, tranne che per alcuni punti riguardanti le norme giuridiche) e nessuno può proibirmi di esprimere ciò che mi interessa, ciò che mi preoccupa, ciò che, secondo me, è un modo per aumentare il livello di conoscenza e il livello intellettuale del lettore, che poi è ciò a cui tengo. Se questo è il modernismo, non mi dispiace. Ciò che essenziale non è la terminologia ma la sostanza. Una persona mentre vive questa vita deve realizzare se stessa per non andarsene senza lasciare traccia. La letteratura è la realizzazione di me stesso.

Poesie

Dedicato a Olga, con amore

La monotona levigatezza del soffitto

Nel mio cuore impressa, impressa.

Segnata la via in cielo –

Scagliata per terre peccaminose.

Ma voglio crederci ancora: a mezzanotte

Busserai alla mia porta –

In supplica il mio cuore,

Il mio stesso desiderio.

L’aprirò. Labbra fiammeggianti

tenteranno di toccare qualche parte

Io capace soltanto di un sorriso –

Tacite ormai le mani e le gambe.

Scorgerò un’istanza nei tuoi occhi

Ma senza toccarti il cappotto (una perdita).

Imbeviamo i nostri corpi nella fiammella

Davanti alla porta usciamo alla pioggia.

Sorpresi. Ci arrestiamo. Fermi…

Nel mondo – il ciclo dei misteri della notte.

Mio Dio, mio diavolo, mio cuore,

Se solo riuscissimo a perderci in questa notte.


Frammento la volta celeste,

Ne calpesto le scaglie.

Appagato il mio cuore

Sui minuzzoli più intricati.

Il sole in un abbraccio

Ne spremo l’acqua gelata.

La uso per far fuoco –

Gelido il mio corpo.

Dono a me stesso questa notte corvina –

Per non soccombere al sonno.

Sempre in attesa dei miei sogni –

Assumendo sonniferi.

Mi incammino verso l’eterno futuro –

Giungo al passato infinito.

Sei come la noia – malandrina e falsa.

Sei un’estranea – vicina e mia.

Annodo il futuro di ieri –

Diventa l’oggi. Ora

Al tredicesimo mese lunare

Sono con te, da Dio abbandonato.


Per il mio compleanno

Ho comprato la torta per il mio compleanno.

Metto a bollire l’acqua per il tè.

Ho invitato la mia ombra.

Tutt’intorno ho fatto spazio per l’aria.

Sedevamo e ridevamo insieme.

Anche qualche lacrima.

Ci capovolgevamo a vicenda

Girandoci sul tavolo.

Non ci accorgemmo che il raggio

Di sole bussava alla finestra.

L’ombra e l’aria svanirono.

Il mio solo corpo.

Nessuno scoramento, però.

Il patimento non durerà più di tanto.

L’anno passerà – tornate a me, parole

Ombra, aria mie e me stesso.


Tracce di sputi nella mia gabbia.

Lo so – prima di me qui

era rinchiuso qualcuno. Una pariglia di cavalli

trasportava la gabbia per le vie.

La folla in strada rideva

Sbeffeggiando chi era rinchiuso (in gabbia).

In cielo tuoni e saette.

Talvolta anche Dio, senza bontà.

Non so chi fosse il mio passato, chi il mio progenitore.

Ma mi sorride attraverso il tempo.

Sorride – probabilmente impietosito.

Non so come potrei

Aiutarlo almeno un po’.

Si troverà un sacerdote pagano capace

Di porre fine a questo sacrificio codificato dalla folla.

Non so chi sarà rinchiuso

Nella gabbia dopo di me, ma qualcuno

Ci finirà di sicuro. Una pariglia di cavalli

Trasporterà la gabbia per le vie.


Il fiore sbocciato in fierezza

Esalò nella bruma autunnale

Nelle sue limpide melodie –

Soltanto primavera, primavera!

Cullato dal passato

Di te amico, Margarita.

Oggi d’animo giovane –

Dio avalla il mio abbraccio a te.

Lui lascia che le mie mani sfiorino

Le tue esili spalle.

Non temere. Nel tuo giardino in fiore

Non prenderò fuoco.

Tacito.

Io il tuo sogno. Tu il mio delirio.

Svegli – ti leverai in cielo.

Mentre tu cominci io faccio ritorno.

(Ringraziamo l’autore per la squisita disponibilità in fase di preparazione e finalizzazione dell’articolo)

Vecchia fabbrica di birra nella capitale Iževsk, 1900