Cari lettori, il vostro frontaliero vi torna a parlare della Svezia, la cui frontiera è forse stata chiusa un po’ troppo di recente, ma non così tanto da non far saltare periodicamente all’occhio quello che succede in questo paese così vicino (geograficamente) ma allo stesso tempo così lontano (culturalmente) dalla Finlandia. Tema, questo, su cui ci siamo soffermati in un nostro articolo precedente.
Nei giorni scorsi la Svezia è nuovamente salita agli onori della cronaca, ma non per le sue politiche di contrasto alla pandemia (su cui torneremo presto) ma bensì per la strana storia di Magdalena Andersson, che è stata Primo Ministro per mezza giornata.
La Andersson, infatti, era la candidata premier espressa dal congresso del Partito Socialdemocratico, lo stesso del premier uscente Stefan Löfven, che aveva annunciato qualche settimana fa l’intenzione di ritirarsi dalla politica e aveva quindi rassegnato le dimissioni sia da primo ministro che da capo del traballante partito.
La candidatura della Andersson non era certamente andata giù a tutti i deputati del Riksdag, il Parlamento svedese. Del resto, anche i precedenti due governi Löfven erano stati sostenuti soltanto da una minoranza dei parlamentari, e solo al fine di implementare un programma concordato con le opposizioni. Anche per la 54enne di Uppsala, il percorso verso la conferma parlamentare (necessaria secondo la Costituzione svedese) era irto di ostacoli, in quanto solo i Verdi avevano appoggiato con forza la sua candidatura. L’approvazione del Riksdag sembrava a rischio, ma all’ultimo minuto i Socialdemocratici hanno raggiunto un accordo con il Partito di Sinistra, capitanato dalla energica Nooshi Dadgostar, che siede all’opposizione: il patto prevedeva l’astensione dei deputati di questo partito al voto di fiducia, in cambio di alcune concessioni politiche sul programma di governo (e in particolare la promessa di aumentare le pensioni minime di mille corone svedesi al mese, circa cento euro).
Qui è entrato in gioco lo strano sistema svedese: la Costituzione dello stato delle Tre Corone prevede infatti che la fiducia parlamentare a un candidato primo ministro venga decisa contando i voti contrari, e non quelli favorevoli: se i parlamentari contrari non sono la maggioranza assoluta, la candidatura è da ritenersi approvata. La Andersson ha superato questo scoglio solo grazie al “trucco” dell’astensione dei deputati di Sinistra, che nella votazione della mattina del 24 novembre ha portato il voto a 174 parlamentari contrari. La maggioranza assoluta è di 175 voti, e quindi per un solo voto contrario non espresso è nato il governo Andersson, il primo della storia svedese a guida femminile.
Orbene, la prima sfida per la Andersson è arrivata poche ore dopo, esattamente nel pomeriggio dello stesso 24 novembre, quando il Riksdag è stato chiamato ad esprimersi sulla legge finanziaria. Due sono state le proposte: la prima era quella della stessa Andersson (sostenuta da Socialdemocratici e Verdi, e non osteggiata dalla Sinistra); la seconda è stata presentata da una coalizione di tre partiti: il partito dei Moderati con i suoi 70 seggi, i Cristiano Democratici (22) e i Democratici Svedesi, il partito di matrice nazionalista guidato dal controverso Jimmie Åkesson, spesso accusato di posizioni radicali contro l’immigrazione, e forte dei suoi 63 seggi che lo rendono la terza forza politica del paese.
Purtroppo per la Andersson, è stata la mozione dell’opposizione a passare il voto, con 153 voti, contro 143 che hanno votato la proposta di Socialdemocratici, che prevede tra l’altro un potenziamento delle forze di polizia, investimenti maggiori sulla sanità pubblica, l’abbassamento delle imposte sul reddito per i lavoratori e delle accise sui carburanti. L’ago della bilancia è stato il partito di Centro, che ha inaspettatamente deciso di presentare una propria proposta, togliendo voti decisivi alla mozione della coalizioe di governo.
Inizialmente, la Andersson, pur delusa, ha dichiarato di non voler abbandonare il posto di Primo Ministro, faticosamente conquistato solo qualche ora prima. Ha anche ribadito la sua intenzione di rispettare il voto parlamentare e implementare la legge finanziaria promossa dall’opposizione. Poco dopo, però, ha dovuto arrendersi all’evidenza quando i rappresentanti del Miljöpartiet, il partito dei Verdi, attraverso la loro leader Märta Stenevi, hanno annunciato che non avrebbero preso parte a nessun governo che promuovesse proposte di legge avanzate dai Democratici Svedesi.
Qui è entrata in gioco la tradizione svedese, ovvero una serie di norme etiche non scritte che vengono rispettate da sempre da tutti i politici. Una di queste prevede che se un partito lascia la coalizione di governo, il governo si debba dimettere. Non viene imposto ma si usa fare così. E così ha fatto anche la Andersson, che intorno alle 17 dello stesso giorno in cui è stata nominata Primo Ministro ha presentato al portavoce del Riksdag le sue dimissioni.
Cosa succederà adesso? Semplicemente, il portavoce del Parlamento indirà una nuova serie di consultazioni con i leader politici, e probabilmente la Andersson verrà nuovamente candidata a Primo Ministro, ma stavolta di un governo di minoranza comprendente il solo Partito Socialdemocratico. Con i Verdi all’opposizione il compito che attende la Andersson è molto complesso, in quanto il suo partito ha solo 100 seggi, e dovrà lottare duro per avere concessioni politiche da un’opposizione (ora comprendente anche i suoi ex alleati) che ha dimostrato di non voler far sconti a nessuno.