Ukri, il tiranno uralico che conduce a morte il suo popolo

Nell'anniversario della nascita di Eino Leino, dai Canti di Pentecoste

In Finlandia il 6 luglio si festeggia il giorno della nascita di Eino Leino (Armas Eino Leopold Lönnbohm, Paltamo 1878 – Tuusula 1926), forse il più grande poeta finlandese, definito da Teivas Oksala, tra i massimi esegeti della sua opera, «la personalità finlandese più influente di quella grande rivoluzione culturale che ha attraversato l’Europa all’inizio del secolo scorso», e da Antonio e Viola Parente, in un articolo apparso sulla nostra testata, «il più antico dei moderni».

Proponiamo ai lettori della Rondine il poema Ukri, tratto dal secondo tomo della raccolta lirica Helkavirsiä (1916), opera uscita integralmente in traduzione italiana con il titolo di Canti di Pentecoste I e II (Vocifuoriscena 2022).

Copertina di Pekka Halonen

Ukri è nome proprio di persona ideato dall’autore. Da ugri(-lainen), “ugrico”, a sua volta dalla radice turcica *on-ogur (“dieci frecce”), in riferimento ad una federazione di tribù bulgare stanziate nella steppa del Caucaso, oltre la riva orientale del Don, e confluite poi nel qanato conosciuto come İtil Bolgăristan (“Bulgaria del Volga”) e noto agli storici bizantini come Boulgaría hē magálē (“Grande Bulgaria”).

Ukri costituisce una rappresentazione allegorica del mito del tiranno, parte di una riflessione sul luogo nietzschiano del superuomo e sulla capacità umana di sfidare il fato, elemento che permea l’intera opera, in particolare il volume II. Proclamato duce della sua stirpe, la figura appartiene ai tempi nei quali popolazioni ugro-finniche si trovavano stanziate nell’Asia centrale. Dopo un breve prologo il protagonista pronuncia i tre sacramenti, il sacrificio della terra, del cielo e infine l’offerta alla sua persona, unico in grado di onorare gli «dèi nuovi» del sangue, del fuoco e del ferro. Il popolo veste l’armatura, si reca al luco e, ripetuti i cruenti gesti liturgici del re-sacerdote, lo segue come «nube umana» verso la guerra. Quando è ormai chiaro che il nemico sta avendo la meglio, Ukri si appella ancora una volta alla nazione per l’ultimo sacrificio consegnando alle Parche la memoria delle sue gesta.

La stoltezza del popolo che segue il condottiero fino alla morte diventa l’epiteto principale del protagonista (l’aggettivo finlandese tuhma, comunemente “ribaldo”) ripetuto in otto versi. Rispetto ad Ylermi, altro personaggio di un poema dello stesso volume con il quale Ukri condivide la “messa in forma” del mito del superuomo, il “satrapo uralico”, con la sua superbia e prepotenza, non si limita a sacrificare sé stesso, ma coinvolge il destino di tutti i suoi affini.

Ukri


Vecchio Ukri, fiero e stolto,
della stirpe sua fu il duce,
sulle steppe eterne d’Asia,
lungo coste senza fine.
 
Crebbe troppo il nome suo,
aumentò la sua arroganza,
per la tempra della stirpe,
per le doti d’intelletto,
la potenza prodigiosa,
il suo spirito focoso.
 
Pronunciò alla razza intera,
dichiarò al simposio sacro:
«Alla terra il primo voto,
la seconda offerta al cielo,
a me sempre sia la terza,
signor d’altri più eminente!».


 La nazione udì impaurita.
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
gettò a terra un po’ di latte,

mutò quella stilla in sangue,
sgorgò rossa una fontana.
 
Scagliò un goccio al firmamento,

fulse il cielo come fuoco,

s’incendiaron le regioni,

tutte in cenere le steppe.

Si raccolse la nazione:
«Mal facesti, vecchio Ukri,
a ripudiar gli dèi benigni!».
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
con un’ala sfiorò l’acqua,
poi con l’altra il cielo terso,
dichiarò alla razza intera:
«Se lasciai gli dèi passati,

or ne cerco di migliori!».


S’unì il popolo compatto
come mandria innanzi al lupo:
«Suvvia mostra i nuovi numi,
veneriam gli dèi migliori!».
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
mise indosso l’armatura,

cinse acciaio luminoso:
«Mostrerò quei numi nuovi,
dèi del sangue, della fiamma
come del celeste ferro:

tutti agli abiti di guerra,
abbia inizio il rito d’Ukri!».
 

Disegno di Katja Louhio e Vesa Vitikka

Indossaron le corazze,
s’affrettaron verso il luco (1)
come l’alce fugge il cane
od il cervo il cacciatore:
 
«Padre, mostra a tutti noi
del dio sanguinario i fumi!».
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
con un taglio aprì una vena,
tinse il ciglio col cruore:
«L’inclemente creatore,

il divin pretende il sangue!».
 
Tinsero di sangue il viso,
consultarono il profeta:
«Com’è fatto il dio del fuoco,
come venerare Panu(2)?».
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
appiccò dall’unghia il fuoco,
temprò il petto con la fiamma:
«Con il fuoco adoro Panu,
il Tonante (3) col fragore!».
 
Tutto il popolo si tempra,

poi domanda al suo sovrano:
«Com’è bene ci si inchini
agli dèi del ferro audace?».
 
Vacchio Ukri, fiero e stolto,
colpì il fegato d’un uomo
con la scure fiammeggiante:

«Ben l’acciaio ode l’acciaio,

l’uomo audace il ferro ascolta!».

Batté sullo scudo insigne,
corse per la vasta steppa
la criniera folta al vento,
dagli zoccoli scintille,
dietro lui una nube umana,
il suo popolo in tempesta.
 
Se varcavano un paese,
là eran fumi di battaglia,
se correvano sui fiumi,
cruentavan la corrente,
affondavan stirpi intere,

razze d’ambo le fazioni,
si fondevan le vendette:
onde salde l’una all’altra.
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
vide giunger la rovina,
chiamò il popolo a raccolta
sotto il ciel di stelle ornato.
 
Alto sollevò il suo braccio,
gridò a tutta la nazione:
«Un fu il sacrificio d’Ukri,
i gran sogni dell’eroe,
l’altro il voto della stirpe,
i suoi atti valorosi,
terzo il voto della morte,
ciò fu gloria per il mondo!».
 
Cadde sotto la sua spada,
bruciò come pira ardente,
mentre erravano le ombre
nella steppa vasta e buia.
 
Vecchio Ukri, fiero e stolto,
lasciò cenere e nient’altro,
quel che fu truce sua stirpe
sparì al termine dell’evo,
restò il vento della tundra
a narrar la sorte avita,
le gran ninfe del Destino(4)
a cantare il vespro d’Ukri.

(1) Lyylilehto (lyyli, “offerta”; lehto, “piccolo bosco di latifoglie”), sinonimo di uhripaikka (“lucus”, “luogo sacrificale”).

(2) Divinità ignea, nei sortilegi viene richiamato in forma personificata e con funzione linguistica ad indicare il fuoco stesso. Voce di origine baltica, cfr. antico prussiano panno (“fuoco”).

(3) Pauanne, da paukkua (“detonare”, “rimbombare”). Nome frutto di un adattamento del Lönnrot da Palvonen (per interferenza con palvoa, “venerare”), varianti Pajanen, Pivari, gruppo di epiteti riferiti ad Ukko dio del tuono. Forse dal lappone Bâja (“superno”), appellativo della più alta divinità celeste.

(4) Sallima, forma personificata, da sallia, “consentire” (a sua volta dal goto saljan, “sacrificare”), con suffisso deverbale –ma.

(Col titolo, ritratto di Leino di Antti Favén, 1922. Per le immagini utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)
Marcello Ganassini, ugrofinnista, traduttore di letteratura finlandese ed autore della moderna edizione filologica del "Kalevala". Responsabile per la letteratura finlandese della casa editrice Vocifuoriscena.