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Il “Kalevala” di Hans Fromm

È uscita in edizione italiana, molto attesa, una fondamentale “guida” alla lettura del Kalevala dell’ugrofinnista Hans Fromm (1919-2008), già traduttore tedesco del poema (edizione del 1967). Opera che rivela l’invisibile tessitura ordita alla base del grande épos finlandese, il finissimo lavoro di cesello con cui Elias Lönnrot ha selezionato, nell’immenso corpus della poesia popolare finnica, i passaggi più fecondi e le formule più appropriate, e ci permette di riconoscere, al di sotto dell’appassionante trama del poema, il fittissimo “mosaico” dei migliaia e migliaia di versi che, sapientemente incastonati dal Lönnrot, sono venuti a comporre la possente sinfonia dello spirito finnico, l’affresco delle origini e dei costumi del popolo, autentica bussola del risveglio nazionale della Finlandia. Il Kalevala di Elias Lönnrot è una delle opere più tradotte, pubblicate e ristampate che si possano trovare sugli scaffali di librerie e biblioteche. Le aree linguistiche interessate sono più di sessanta, oltre a riduzioni, adattamenti e versioni intralinguistiche (il Kalevala in finlandese contemporaneo) e paralinguistiche (vi sono alcuni runot tradotti nella lingua dei segni). Nell’area anglofona abbiamo ventuno pubblicazioni, in quella germanofona venti, in quella svedofona sedici, in quella francofona undici e in quella italofona dieci.

In molti casi alcune traduzioni “storiche”, uscite a ridosso della pubblicazione della redazione definitiva del Kalevala (Uusi Kalevala 1849), quella tedesca di Anton Schiefner (1852), quella francese di Louis Léouzon Le Duc (1868, nel 1845 aveva già tradotto la redazione precedente del 1835, Vanha Kalevala) e quella svedese di Karl Collan (1857, una traduzione del Vanha Kalevala ad opera di Mathias Alexander Castrén era uscita nel 1841) hanno costituito i semi di pubblicazioni successive (le prime in lingua inglese erano traduzioni della versione tedesca di Schiefner).

Hans Fromm

Questa versione italiana esce per iniziativa di Elisa Zanchetta, traduttrice dal tedesco e dall’ungherese, per i tipi della benemerita casa editrice Vocifuoriscena. Che ha deciso di ripubblicare la versione di Paolo Emilio Pavolini con il testo originale a fronte, corredando le strofe con la traduzione del poderoso apparato di approfondimento (commentari ai singoli runot e note) scritto da Hans Fromm, fennougrista e germanista di fama mondiale. Si tratta non solo dell’edizione più completa e approfondita che il lettore italiano possa avere tra le mani, ma anche del risultato di un approccio squisitamente innovativo alla materia perché l’adattamento di un corpus peritestuale pensato per una traduzione alla versione di un’altra lingua costituisce uno sforzo compositivo e critico pienamente ascrivibile al compito più rilevante della traduzione.

Proponiamo ai lettori della Rondine un’anticipazione del testo.

Per il testo del Kalevala nella traduzione di Pavolini rimandiamo il lettore all’edizione online pubblicata dallo stesso editore Vocifuoriscena nella collana Bifröst: clicca qui.

Commento al primo runo

Il poema esordisce con le vicende relative all’origine della terra, del cielo, delle stelle, e con l’episodio della nascita di Väinämöinen, l’eroe principale, il quale, dopo un parto travagliato, viene a lungo trascinato alla deriva tra le onde.

Ma fu solo nella redazione definitiva del 1849, l’Uusi Kalevala, o semplicemente Kalevala, che Elias Lönnrot collocò il mito cosmogonico all’inizio dell’épos e, così facendo, gli impresse un tocco personale: il contesto in cui si svolge il poema e nel quale gli avvenimenti acquisiscono significato non si limita alla terra, ma viene esteso in tal modo all’intero cosmo. È così subito chiaro, per il lettore o per l’uditorio dei rapsodi, di essere stati trasportati nel tempo remoto o preistorico del mito.

Il runo I è basato sul cosiddetto Maailman synty (canto sull’“Origine del mondo”), eseguito in diverse varianti (1), pur con una struttura di base unitaria, in tre territori di raccolta: in Estonia; in Ingria, in Carelia Meridionale e Savo; in Carelia di Dvina e Carelia orientale. Una variante di questo runolaulu era già stata ripresa da Lönnrot nel Vanha Kalevala (1835). La versione presente nel Kalevala, tuttavia, non è attestata in alcun canto popolare: Lönnrot è infatti intervenuto in maniera particolarmente invasiva sui runolaulut originali, ricorrendo ad altre tradizioni cosmogoniche, quali quella vedica e biblica (2).

Oggi crediamo di riuscire a collocare, seppur a grandi linee, la genesi del Maailman synty (3) nella tarda età del ferro – ben prima dell’età vichinga –, al tempo dell’unità culturale tra estoni e finlandesi, epoca caratterizzata da intensi scambi tra i due ceppi: in quella fase sorse probabilmente la più antica versione di un canto cosmogonico intorno al motivo dell’uccello dell’aria (ilman lintu) che, librandosi sul mare primigenio, cerca un luogo dove nidificare. Le tre uova che infine depone sull’unica isoletta rotolano in mare a causa del forte vento: si rompono e da esse, originariamente dal tuorlo e dall’albume, nascono il sole, la luna, le stelle; dalle due metà del guscio, come esplicitamente menzionato nelle più tarde varianti careliane ed estoni, si originano invece la terra e il cielo.

Questo runolaulu si basa probabilmente su un mito cosmogonico che non aveva ancora acquisito forma poetica. La tradizione ingrica sembra averne conservato con maggior fedeltà i tratti più antichi, in quanto riporta chiaramente che fu il vento mandato da Dio a rompere le uova.

Nel XII secolo, accanto a una tradizione occidentale – che in seguito avrebbe inruenzato anche le tradizioni della Carelia di Dvina grazie al russo migratorio proveniente dal Savo – si sarebbe formato anche uno specifico filone careliano. In questa nuova variante, al posto delle tre uova compariva un unico uovo d’oro, oppure di metallo.

Successivamente, un runolaulaja careliano dovette intervenire nel vecchio intreccio in modo ancor più invasivo, componendo il runolaulu che Lönnrot avrebbe utilizzato per il Vanha Kalevala. Fu questo runolaulaja a collegare l’antico mito dell’uccello e dell’uovo protogonico alla figura di Väinämöinen: il ginocchio dell’eroe (e non ancora quello di veen emonen, la “madre delle acque”), sospinto alla deriva sul mare, divenne il nuovo “nido” dell’uccello acquatico e il calore della cova si fece tanto intenso da costringere l’eroe a scuotere il ginocchio, facendo così rotolare l’uovo in acqua.

Non è facile capire cosa spinse il runolaulaja careliano a concepire questa nuova variante: forse i cristiani ortodossi erano alla ricerca di una figura di creatore per il proprio immaginario; forse la fama eroica dell’anziano tietäjä (4), nonché la sua particolare intesa con le forze cosmiche, indussero il runolaulaja a coinvolgere Väinämöinen nel processo cosmogonico; oppure costui era a conoscenza del mito ugrofinnico del demiurgo che vaga alla deriva sul mare primigenio.

Lönnrot stesso era consapevole che Väinämöinen non faceva originariamente parte di questo canto. In origine la demiurga era indicata dalla formula vein emonen (< veen emonen < veden emonen), “madre delle acque”, in seguito rimpiazzata da Väinämöinen, il cui nome era foneticamente affine. La “madre delle acque”, originariamente concepita come un uccello, creato dal dio Ukko (v. 169), che si libra sopra il mare primigenio, fu introdotta da Lönnrot, che la identificò con Ilmatar (la “vergine dell’aria”), uno spirito femminile dell’aria o del vento che compare in una variante del tulen synty (canto sull’“origine del fuoco”).

Il Vanha Kalevala dava un’immagine assai più fedele del Maailman synty. Per il runo I, Lönnrot si era basato soprattutto su una variante dell’Ostrobotnia (Pohjanmaa) che Christfrid Ganander (1741-1790) aveva reso nota due generazioni prima nella sua Mythologia Fennica (1789) (5). In essa si susseguivano i seguenti accadimenti: Väinämöinen nasce, dopo una gestazione insopportabilmente lunga, da una madre non meglio identificata. Quindi si procura un cavallo e si mette in viaggio. Cavalcando lungo la sponda del mare, Väinämöinen viene colpito dall’insidioso dardo scoccato da un uomo di Lapponia e precipita in acqua (cfr. Kalevala, VI). A questo punto, l’uccello depone l’uovo sul ginocchio di Väinäimöinen e, dai frammenti del guscio, che si è rotto cadendo in mare, vengono creati il cielo, la terra e le stelle. Väinämöinen assume in questo frangente un ruolo centrale nel processo cosmogonico, come in seguito descritto anche nel runo III del Kalevala: in questo stadio dell’elaborazione del poema non compare ancora veen emonen, la “madre delle acque” (6).

Il mito dell’uovo protogonico, o uovo cosmico, è – o meglio, era – diffuso in molte regioni del mondo, in particolare presso alcune delle maggiori culture antiche e nei loro territori d’inruenza (7). Dagli egizi sono pervenute solo tracce abbastanza riconoscibili di questo mito, e chiare prove sono riscontrabili presso le civiltà fenicia ed egea. Il mito venne inglobato nelle dottrine orfiche ed Esiodo lo rielaborò in poesia (la nascita di Érōs, oppure del corrispondente Phánēs) (8). Mentre non è certo che questa cosmogonia fosse nota in Iran ai tempi dello zjrvanismo, la letteratura sacra indiana of re numerose varianti che rinviano chiaramente a sif atta concezione: secondo lo Śatapatha brāhmaṇa, Prajāpati (Brahmā) nasce dall’uovo d’oro (9), mentre in base alle Upaniṣad, dal semiguscio superiore d’oro si origina il cielo, da quello inferiore d’argento la terra (10). Altre testimonianze del mito sono note a Giava, in Tibet, in Cina (racconto di Pangu) e in Giappone, ma anche in Polinesia e in Africa occidentale (11). Sembra che il mitologema dell’uovo protogonico non fosse noto ai germani, mentre invece compare in numerose leggende baltiche sulla creazione. Alla tradizione baltica, le cui radici sarebbero da ricercare in Iran, si collega probabilmente il motivo finlandese ed estone dell’uovo cosmico, sebbene non sia da scartare l’ipotesi secondo cui la relazione genetica con l’Iran e l’Asia centrale sarebbe il risultato di ulteriori stadi intermedi (12).

Più delimitato territorialmente è il mitologema dell’isola che sorge nel mare primigenio. In uno stadio embrionale del runolaulu, il luogo di cova dell’uovo cosmico non era il ginocchio di Ilmatar (variante introdotta da Lönnrot) e neppure di Väinämöinen (variante risalente al Medioevo careliano), bensì un colle erboso, un lembo di terra o di fango. Il motivo del colle primigenio che sorge dal mare come un’isoletta è diffuso tanto quanto il tema cosmogonico dall’uovo protogonico. Degni di nota sono i racconti in cui un uccello acquatico (molto raramente compaiono un’altra specie di volatile o una creatura completamente diversa) solleva dal fondale marino il primo pezzo di terra. Il territorio di diffusione del motivo dell’“immersione”, che nel canto sulle origini del mondo sostituisce quello dell’uccello acquatico e dell’erboso promontorio insulare, accomuna gran parte dei popoli nord-eurasiatici (comprendendo anche alcuni popoli ugrofinnici, quali mansi e mari) e dell’America settentrionale (13). Probabilmente sussiste una relazione tra questo mito cosmogonico e le raffigurazioni di uccelli acquatici nelle pitture rupestri e nell’arte scultorea dell’Eurasia settentrionale (14). Al caratteristico tratto ostrobotnico del mito si affianca una narrazione raccolta presso i ket del medio Enisej, poiché in essa viene a mancare il principio di opposizione tra bene e male, altrimenti connesso a questa variante del mito cosmogonico (15). La forma dualistica cristianizzata è presente in leggende che fino all’ultima guerra erano diffuse anche tra i careliani dell’Olonec (a nord-est del lago Ladoga): su ordine di Dio, il diavolo, sotto le sembianze di una cornacchia, porta in superficie della terra prelevata dal fondale del mare primigenio e, con intento ladresco, ne trattiene in bocca alcuni pezzi, dai quali avranno poi origine le imponenti formazioni rocciose del Settentrione (16).

Alcune varianti del Maailman synty, nelle quali viene menzionato il ginocchio dell’eroe e non il promontorio primigenio come luogo di cova, sono probabilmente sorte sotto l’inrusso del motivo della “nascita dal ginocchio”. Il mito riguardante la nascita della prima creatura dal ginocchio o  dalla coscia di una divinità (in origine sempre di sesso maschile) (17), come pure il rito legato all’istituto dell’adozione (18), nel quale il fanciullo adottato veniva posto sulle ginocchia dell’adottante, si ricollega ad arcaiche concezioni relative alla sede del seme maschile, note presso molti popoli eurasiatici e africani (19). Tra i finlandesi dell’Ostrobotnia, questo motivo, non più compreso e perciò profondamente deformato, è chiaramente un prestito indoeuropeo (germanico o baltico). Dal punto di vista della storia delle religioni, gli elementi caratteristici del Maailman synty si relazionano con numerosi mitologemi ampiamente difusi. Nella sua compilazione, Lönnrot dissociò tuttavia l’eroe-tietäjä dal processo cosmogonico, attribuendogli un ruolo secondario, e ricostruì così lo schema originario. Nella sua concezione, secondo la quale Väinämöinen sarebbe nato da una madre vergine, si ravvede inoltre un influsso cristiano.

La genesi di questo runolaulu, che rientra tra gli strati mitici più antichi confluiti nel Kalevala, è quella che può essere più facilmente ricostruita. Allo stesso tempo ci offre anche uno squarcio sulla varietà delle mitologie eurasiatiche e sulle vaste relazioni storico-culturali che crearono tale molteplicità.

Rimandi al testo

1-102) «Nella mente il desiderio…»

Lönnrot compose il prologo del runolaulaja a partire dagli stessi runolaulut (per esempio SKVR, VII 2 , 1657, raccolto da Lönnrot nel 1828), pur basandosi sul modello di altri grandi poemi epici della letteratura mondiale (Odissea, Nibelungenlied). Contenuto centrale è il riferimento ai principali personaggi e accadimenti del poema (20).

5-6) «co’ miei versi celebrare / la mia patria, la mia gente»

Lönnrot ha interpretato in modo erroneo due versi dei runolaulut: in essi non si parla, infatti, di sukuvirsi (“versi del suku [stirpe] ”). La traduzione completa sarebbe: “[Forza,] suku, fa’ accompagnare il canto, traccia di sci sulla neve, fa’ intonare il runolaulu” (21).

21) «Or prendiamoci le mani»

Sulla modalità di esecuzione dei runolaulut, v. qui il capitolo “I runolaulajat e l’esecuzione dei runolaulut” (22).

32) «d’Ilmari dalla fucina»

Il primo riferimento a Ilmarinen si trova nella lista di divinità di Mikael Agricola (1509-1517) risalente al 1551. Ilmarinen, che viene menzionato tra le divinità finlandesi occidentali di Tavastia, «portava pace e vento e indicava ai viandanti [cioè ai navigatori] la strada» («rauhan ia ilman tei ja matkamiehet edheswei») (23). Il nome Ilmarinen deriva dal sostantivo ilma (“aria”, “tempo atmosferico”, in una precedente accezione anche “cielo”, “vento”, “tempesta”). Pertanto si associa Ilmari(nen) a Ińmar, dio udmurto del cielo, e in esso si ravvisa un’antica divinità testimoniata almeno a partire dal periodo finnopermiano. Tuttavia Uno Harva (1882-1949), forse in modo eccessivamente critico, ha contestato questa supposizione, in quanto riteneva difqcile comprendere come il dio supremo del cielo si sia potuto specializzare esclusivamente nella funzione di signore del vento, fatto estraneo alle concezioni religiose dei finni. Nei tulen synnyt (canti sull’“origine del fuoco”), Ilmarinen compare anche come colui che accende il primo fuoco (cfr. commento al runo XLVII) e mostra (all’umanità) il fulmine, forza brutale delle divinità uraniche (24). Da qui deriva anche il legame tra Ilmarinen e la forgiatura, noto soprattutto nella poesia popolare kalevaliana (cfr. commento al runo VII, 333-334) (25).

37) «Li cantava prima il babbo»

Sulla trasmissione dei runo laulut da una generazione di runolaulajat alla successiva, v. qui “I runolaulajat e l’esecuzione dei runolaulut” (26).

45) «Non mancavan canti al sampo»

Il sampo, oggetto meraviglioso attorno al quale si sono sviluppate oltre sessanta teorie interpretative (maggiori dettagli al riguardo nel commento al runo X), compare nell’épos come un mulino portentoso che dispensa ricchezza e benessere. Lönnrot fece della forgia (sammon taonta) e del furto (sammon ryöstö) del sampo, come pure della lotta per impossessarsi dell’oggetto meraviglioso, gli avvenimenti cardine attorno a cui ruota l’intero poema. Sul sampo «non mancavan canti», e nella poesia popolare viene definito «scrigno di versi» (27). Per questo verso di difficile comprensione, Matti Kuusi (1914-1998) ha avanzato diverse possibilità interpretative (28). Lo stesso Lönnrot ha inteso il verso nei termini di una puntualizzazione del runolaulaja cui non mancherebbero le parole sul sampo. Parimenti, Franz Anton Schiefner (1817- 1879), basandosi esclusivamente sul testo e senza fornire ulteriori chiarimenti, ha tradotto il verso: «sul sampo mai mancarono canti magici». È stata presa in considerazione anche l’ipotesi secondo cui il sampo sarebbe da intendere come termine autocelebrativo riferito al runolaulaja e quindi corrispondente a «non mi mancano le parole». Rimane azzardata l’ipotesi secondo cui il sampo (qui concepito come una barca, cfr. runo VIII) (29), esso stesso originato dalla parola magica, sarebbe un dispensatore di formule magiche, alla stregua di Antero Vipunen (v. commento al runo XVII), pure considerando che il verso 47 contiene un’affermazione presente nel Vipusen virsi (“Canto di Vipunen”) (30). I vv. 45-50 non trovano esatta corrispondenza in nessun runolaulu.

46) «non a Louhi gli scongiuri»

Nel Kalevala, Louhi è la signora di Pohjola (Pohjolan emäntä) e quindi una delle figure centrali del poema. Come signora di Pohjola, il personaggio di Louhi non trova riscontro in nessun runolaulu (eccetto in un caso puramente accidentale (31)). Negli incantesimi finno-careliani, Louhi è invece colei che, ingravidata dal vento, partorisce le malattie. L’etimologia del termine è dubbia: probabilmente Louhi è stata identifcata con Loviatar (? > Loui-atar > Louhi atar [con –tar suffisso femminile] ), e quindi ricollegata a lovi (“fessura”, “anfratto roccioso”), espressione che potrebbe denotare un luogo sotterraneo o soprannaturale. Se il termine lovi potesse essere etimologicamente connesso al suo omofono con il significato di “estasi”, “kamlenie”, allora anche Louhi si avvicinerebbe all’ambito sciamanico di cui fanno parte Väinämöinen e Lemminkäinen (32).  Eemil Nestor Setälä (1864-1935), che ha raccolto la bibliografia più antica e si è occupato nello specifico di Loviatar, suppone un’etimologia poco convincente secondo la quale il nome Loviatar deriverebbe da Laufey (33) (“isola frondosa”), nome che la mitologia scandinava attribuisce alla madre del dio Loki (34).

49) «morì Vipunen coi versi»

Per la spiegazione di questo verso, v. commento al runo XVII.

63-64) «dietro la Muurikki nera / e con Kimmo la screziata»

Muurikki, Kimmo: antichi nomi finlandesi di mucca.

71 e segg.) «Un gomitolo ne feci…»

La metafora viene ripresa con un’immagine che si ricollega alla tematica iniziale della mamma-cantrice: «niitä äitini opetti /väätessänsä värttinätä» («li insegnava a me la mamma / mentre il fuso ritorceva», vv. 39-40). Un runolaulaja equiparò l’incipit del runo al salto nella traccia lasciata dagli sci sulla neve (35).

95-98) «E se birra non mi dànno…»

Questi versi sono ascrivibili alla lirica cortese, all’immagine dell’ospitalità, e sono tipici della classe di cantori di corte professionisti. Esempi corrispondenti si possono ritrovare nel Medioevo tedesco (36).

105-106) «sole a noi vengon le notti / e risplendon soli i giorni»

Versi tratti dalle varianti del Kultaneidon taonta (la “Forgia della fanciulla d’oro”; cfr. runo XXXVII) (37).

107) «e pur solo Väinämöinen»

Tratto da una variante del ciclo del sampo originaria della Carelia di Dvina, che recitava «yöllä synty Väinämöinen» («nottetempo nacque Väinö»; SKVR, I1, 107, 1-3): Lönnrot modificò yöllä in yksin.

109) «da Kave sua genitrice»

Letteralmente “da Kave che lo portò [in grembo] ”. Su kave, v. commento al runo XVII, v. 291 (38).

110) «da Ilmatar la madre sua»

«Questa variante [ovvero l’introduzione della “madre delle acque”] mi fece sorgere alcuni dubbi, perché la stragrande maggioranza dei runolaulut ascrive l’opera demiurgica a Väinämöinen» (Lönnrot a Fabian Collan, 25 maggio 1848). L’accostamento di veen emonen, “madre delle acque”, a Väinämöinen è un’etimologia popolare basata semplicemente sulla somiglianza fonetica. Tuttavia Väinämöinen ha chiaramente un legame con l’acqua, poiché la radice väinä indica un fiume che scorre tranquillo. Il termine sembra non essere sopravvissuto al disgregarsi dell’unità culturale tra estoni e finlandesi (39).

111) «Kave, la figlia dell’aria»

La fanciulla o vergine dell’aria è uno spirito femminile dell’aria più poetico che mitologico, in parte coincidente con Ilmatar e la “madre delle acque” (vv. 196, 218, 250). Nel karhun synty (canto sull’“origine dell’orso”), contenuto nel runo XLVI, l’espressione finlandese ilman impi (anche ilman tytär) compare al plurale (40).

127-136) «Venne un vento tempestoso…»

Compito del vento era originariamente quello di causare la rottura dell’uovo protogonico. Il fatto che ingravidi la “madre delle acque” è un motivo innestato da Lönnrot. Si tratta di una concezione ricorrente nei miti cosmogonici: per esempio, secondo la dottrina orfica, che incorpora tratti preellenici, la dea Nýx (la “Notte”) fu fecondata dal vento e depose un uovo d’argento da cui nacque Érōs o Phánes (41). I versi 127-136 sono tratti da diversi pahojen synnyt (canti sull’“origine dei mali”): SKVR, I 4, 838, pistoksen synty (canto sull’“origine dei mali da punta”); SKVR, I 4, 892, riiden synty (canto sull’“origine del rachitismo”); cfr. runo XLV, 39 e segg.

143) «S’aggirò, madre dell’acque»

Letteralmente “nuotò la vergine come madre delle acque” (42). Per approfondire la figura della madre delle acque nella mitologia ugro-finnica, v. commento al runo XVII, 281.

147 e segg.) «angosciata dalle doglie…»

Grandi dolori precedono la nascita del dio. Secondo l’inno omerico (43), la nascita di Apollo durò nove dì e nove notti e Leto «soffrì così terribilmente come non si sarebbe aspettata» (44).

169-176) «Ukko! Ukko, dio supremo…»

I versi sono tratti dalle preghiere delle partorienti, come i versi 303-314 (si vedano i seguenti synnytysloitsut, “incantesimi per accompagnare il parto”: SKVR, I4, 960, e VIII4, 3031, nei quali viene invocato l’aiuto della Vergine Maria). Ukko è il dio del tempo atmosferico e in particolare del tuono (cfr. finlandese ukkonen, “tuono”) degli antichi finni. Il nome, che deriva dal sostantivo ukko (“uomo anziano”, “vegliardo”), è probabilmente la perifrasi di un teonimo precedente. Il suo culto conserva spiccati tratti agrari, pertanto non dovrebbe essere molto antico. Di Ukko si diceva che regnasse sopra le nuvole («Ucko ciet pluvias, metuendaque fulgura vibrat», si scriveva alla fine del XVI secolo a proposito di questo Iuppiter pluvialis finnico). Divenne aiuto delle partorienti per analogia simbolica: come apriva le cateratte in cielo, sua vera funzione, sarebbe stato anche in grado di aprire il corpo delle partorienti e di dare sollievo al parto.

Ci sono giunte numerose testimonianze, in particolare dal Savo e dalla Carelia, relative a feste primaverili in onore di Ukko (45) risalenti ai secoli XVI-XIX: in grandi stai sacrificali ricavati dalla corteccia di betulla venivano offerti al dio del tuono cibi e bevande inebrianti (birra sacrificale) per favorire la crescita dei frutti (46). Nella sua nota prefazione rimata ai salmi, con cui il riformatore finlandese Agricola fornisce un elenco degli dèi pagani di Tavastia e Carelia, si legge:

Ia quin Kevekylvö kylvettin,
silloin ukon Malia iootijn.
Sihen haetin ukon wacka,
nin ioopui Pica ette Acka.
Sijtte palio Häpie sielle techtin,
quin seke cwltin ette nechtin.         
Quando seminavano in primavera,
bevevano nella coppa di Ukko.
Quando portavano lo staio di Ukko,
le fanciulle e le donne si ubriacavano.
Si esibivano in atti osceni
che tutti potevano guardare e sentire. (47)

In un documento risalente al XVI secolo, Ukko veniva già paragonato al dio scandinavo Þórr, al quale ugualmente si brindava per ottenerne la benevolenza. In tempi più recenti i careliani ortodossi identificavano Ukko con il profeta Elia. Nei canti popolari, Ukko è detto ylijumala, “dio supremo”, sincretisticamente assimilato o equiparato al Dio cristiano, e considerato come una sorta di soccorritore: «Era invocato perché fosse d’aiuto in numerose attività» («Han anropades til alla företaganden») (48). Lönnrot considerava il termine ylijumala un attributo che specificava il rango di appartenenza della divinità, poiché per lui era ovvio concepire un Olimpo governato da un finnico Zeús Ómbrios o Keraunós (49).

177-244) «Poco tempo era passato…»

Basato sul Maailman synty, in particolare sulle varianti della Carelia di Dvina e della Carelia di Confine. Nelle varianti i singoli motivi compaiono tra loro molto mescolati: varia spesso, per esempio, la tipologia di uccello, che può essere anche un’oca (come nella variante eseguita da Ontrei Malińi [Malinen] (1777-1855), SKVR, I1 , 79a), un’anatra selvatica, un’aquila (come nelle varianti raccolte a Uhtua, per esempio SKVR, I1 , 105-107), oppure una rondine (nelle varianti ingriche). Nel Vanha Kalevala si trattava di un’aquila.

233-244) «la metà del guscio sotto…»

Nelle varianti della Carelia di Confine, nonché nel Vanha Kalevala, I, vv. 304-305, è lo stesso Väinämöinen apronunciare queste syntysanat, anche se generalmente non compare come oratore (cfr. SKVR, VII1 , 9; nella variante SKVR, VII1, 7, raccolta da Kaarle Krohn, compare Gesù al posto di Väinämöinen).

293-300) «sopra l’acque silenziose…»

Versi composti da Lönnrot basandosi su versi stereotipici.

303-314) «Mi togliete, Luna e Sole…»

Cfr. nota ai vv. 169-176.

313, 339) «volle l’Orsa salutare…»

Letteralmente “per conoscere l’Orsa” (50). L’Orsa Maggiore, che ruota attorno alla stella polare in ventiquattr’ore, serviva per la misurazione del tempo.

320) «con il dito senza nome»

Il dito senza nome è l’anulare.

325-331) «Fece un tuffo a capo fitto…»

Questi versi sono tratti dall’episodio narrato nel runo VI (vv. 183-186, 203-205), in cui Väinämöinen, colpito dalla freccia scoccata da Joukahainen, precipita in mare. La variante della Carelia di Confine, inserita da Lönnrot nel Vanha Kalevala, unisce il misfatto di Joukahainen alla cova dell’uovo sul ginocchio di Väinämöinen da cui hanno origine terra, cielo e stelle (cfr. SKVR, VII1, 20b, e il commento al presente).

328) «in balia, l’eroe de’ rutti»

Alla luce di concetti che il lettore può aver tratto dalla “poesia eroica”, è interessante notare che il finlandese uros è normalmente variante per “uomo” (mies) e, in parole composte, il maschio dell’animale. Dal significato di base si è sviluppato quello di “eroe” (urho, dialettale urhoollinen, urhea, “audace” [la fricativa glottidale è derivata dal tema del morfema al grado obliquo, uroho-] ). L’odierno termine per “eroe” è sankari, prestito dallo svedese sangare (“cantore”) (51).

Note al Commento

(1) Sul confronto tra le diverse varianti, v. Krohn 1924-1928, vol. V, pp. 6-18, sebbene si tratti di studi oramai in gran parte superati. Vedi inoltre Kuusi 1949, pp. 148-150, 156- 170, 335-337, in cui vengono analizzati anche i motivi del Maailman synty all’interno del ciclo del sampo.

(2) Sulle concezioni cosmogoniche adottate da Lönnrot, v. Kaukonen 1956, pp. 458-460.

(3) Sulla genesi del Maailman synty, v. Kuusi 1956.

(4) Principale appellativo dell’eroe, nomen agentis da tietää (“sapere”, “conoscere”) (n.d.C.).

(5) Per la variante del Maailman synty pubblicata da Ganander nella sua Mythologia Fennica (SKVR, XII1 , 1), v. Kuusi 1963, pp. 61-69; Ganander 1789, s.v. “Kawe” [in Taglianetti ~ Ganassini 2021, pp. 94-95 (n.d.C.)] : in essa viene descritta la strana nascita del padre di Väinämöinen, al quale viene attribuito il nome mitologico di Kave.

(6) Per il materiale preparatorio alla redazione del Vanha Kalevala, v. Kaukonen 1939- 1945, vol. I, pp. 48-54.

(7) Stipa 1962; sui luoghi di diffusione del mitologema dell’uovo protogonico, v. Haavio 1952, pp. 45-63, e in particolare la cartina a p. 61.

(8) «Orfeo, da parte sua, paragona cháos a un uovo, nel quale c’era la mescolanza dei primi elementi. Esiodo pone al principio questo cháos, che Orfeo dice essere uovo generato, prodotto dalla materia illimitata e generatore […] , in quanto tutta la materia portatadal tempo generò il cielo sferico che avvolge tutto come un uovo. […] All’interno si forma un animale maschio-femmina, in virtù della preveggenza del soffio divino in esso contenuto; Orfeo lo chiama Phánes, poiché al suo apparire il tutto risplendette […] . Dunque la parte dell’uovo che si formò all’inizio, divenuta calda, fu rotta dall’animale che si trovava dentro: poi esso, presa forma, divenne come anche Orfeo ce lo descrive: “rotto il [†] del capiente uovo”» (Orphicorum fragmenta, Kern 55, 1 – 56, 1; in Verzura 2011, pp. 297-301. Cfr. anche Kern 55, 2). Il passaggio a Esiodo, dove leggiamo semplicemente «e [nacque] Érōs, il più bello fra gli dèi immortali, / che scioglie le membra, e che di tutti gli dèi e degli uomini tutti / doma nel petto la mente e la saggia volontà» (Teogonia, 120- 122; in Ricciardelli 2018, pp. 18-19), trova probabilmente il suo trait d’union nel raro mito della nascita di Érōs da un uovo deposto da Nýx, citato da Aristofane negli Uccelli.

(9) «In principio, in verità, questo mondo era acqua, null’altro che un mare d’acqua. Le acque desiderarono: “Come possiamo propagarci?”. Esse infiammarono il proprio ardore, compiendo proprio questo gesto con fervore. Raccogliendo la propria energia creatrice esse si riscaldarono e si produsse un uovo d’oro. A quel tempo, invero, l’anno non esisteva ancora. L’uovo d’oro galleggiò per un anno intero» (Śatapatha brāhmaṇa, XI, 1, 6, 1; in Panikkar 2001, vol. I, pp. 105-106). Il principio cosmogonico è qui rappresentato dall’“uovo d’oro” (sanscrito hiraMyagarbha, lett. l’“embrione d’oro”) che, sorto dalle acque primordiali, origina Brahmā o Prajāpati, creatore dell’universo (cfr. anche Pentikäinen 2021, p. 213). Tale concetto è già presente nella cosmogonia vedica: «In principio sorse hirayagarbha. Egli fu, non appena nato, il signore dell’essere, sostenitore della terra e di questo cielo. Quale dio adoreremo con la nostra oblazione?» (Ṛgveda, X, 121, 1; in Panikkar 2001, vol. I, p. 94; cfr. Sani 2000, p. 68); vedi anche Ṛgveda, X, 82, 5-6 (n.d.C).

(10) «All’inizio quest’universo era non-essere. Esso divenne l’essere. Si sviluppò. Divenne un uovo. Giacque per lo spazio di un anno. Poi s’aperse. Le due metà dell’uovo erano una d’argento e l’altra d’oro. La metà d’argento è questa terra. Quella d’oro è il cielo. La membrana esterna costituisce le montagne, quella interna le nubi e la nebbia. Le vene sono le nubi, l’acqua della vescica è l’oceano» (Chāndogya upaniad, III, 19, 1-2; in Della Casa 1988, p. 156) (n.d.C.).

(11) Hastings 1925-1952, vol. IV, pp. 125-179, cap. “Cosmogony and cosmology”; Haavio 1936 (capp. 8, 9, per il mito dell’immersione nelle leggende); Staudacher 1943; i miti cosmogonici orientali in traduzione tedesca e con contestualizzazione introduttiva, sono raccolti in Eliade 1964.

(12) Lukas 1894; Baumann 1955, in particolare pp. 268-277.

(13) Harva 1938, pp. 92-109; Dähnhardt 1907-1912, vol. I, pp. 1-89; Schmidt 1912- 1955, vol. XII, pp. 9-94; Herrmann 1946-1949; Schröder 1960, pp. 252 e segg.; Schier 1963 (ricco di fonti, ma problematico nel metodo).

(14) Jettmar 1962, p. 313.

(15) Paulson 1962, pp. 33 e segg.

(16) Kemppinen 1957, pp. 285-323 (lavoro ricco di fonti, ma problematico nell’approccio interpretativo, in quanto tenta di ricostruire un dualismo primordiale anche per i popoli baltofinnici).

(17) Si pensi, per esempio, al piccolo Dioniso che, nato prematuramente dalla madre Semele, viene nascosto dal padre Zeus nella propria coscia (Kerényi 2015, p. 215) (n.d.C.).

(18) Si tratta di un rito germanico (longobardo), come descritto in Schupfer 1907, p. 371 (n.d.C.).

(19) Stieglecker 1927.

(20) Per la descrizione dei tópoi omerici negli incipit, v. Fränkel 1951, pp. 18-20.

(21) Per le metafore impiegate da Lönnrot negli incipit dei canti, cfr. Haavio 1957.

(22) Vedi la prefazione di Pavolini, che riprende la descrizione fornita da Giuseppe Acerbi (1773-1846) nei suoi Travels through Sweden, Finland, and Lappland, to the North Cape, in the years 1798 and 1799, pubblicati nel 1802 (Loikala 2010, pp. 62-63) (n.d.C.).

(23) Vedi Di Luzio ~ Giansanti 2021, pp. 44, 50; anche pp. 64-65 (n.d.C.).

(24) Harva 1946, pp. 97-103.

(25) Bibliografia in Turunen 1949, p. 51; in particolare, cfr. Harva 1946.

(26) Cfr. Pentikäinen 2021, pp. 165-171 (n.d.C.).

(27) «De’ miei versi apro lo scrigno» («Aukoan sanasen ark[un]») (SKVR, I3, 1278, 19) (n.d.C.).

(28) Kuusi 1953, pp. 72-85.

(29) SKVR, I1, 61, nota 24. Per approfondire le varie rappresentazioni del sampo, v. Tarkka 2021; Harva ~ Setälä ~ Salminen 2021 (n.d.C.).

(30) Kuusi 1953, p. 78.

(31) In una variante raccolta da Lönnrot nel 1834 nella Carelia di Archangel’sk e relativa al viaggio di Lemminkäinen a Luotola (Setälä 1912, p. 210) (n.d.C.).

(32) Si fa qui riferimento all’espressione loveen langeta (“cadere nell’anfratto”, ovvero “cadere in estasi e muoversi incorporei”) (Pentikäinen 2021, pp. 271, 273; Ganander 1789, s.v. “Loween langeta”; in Taglianetti ~ Ganassini 2021, p. 122), ma anche a una modalità di pratica esorcistica nota come loveen lankeaminen (“scagliare nell’anfratto”), riferita alla prassi secondo cui, dopo aver neutralizzato un male pronunciando le syntysanat (“parole delle origini”), esso veniva relegato nelle viscere della terra dove non avrebbe più potuto arrecare danno all’uomo (Ganassini 2010, p. 37) (n.d.C.).

(33) Snorri Sturluson, Edda, Gylfaginning, 33, 42, 49 (in Faulkes 1982, pp. 26, 35, 45; Dolfini 1975, pp. 80, 94, 110); Edda, Skáldskaparmál, 16 (in Faulkes 1998, vol. I, p. 19); Edda poetica, Lokasenna, 52 (in Neckel ~ Kuhn 1962, p. 106; Scardigli ~ Meli 1982, p. 114); Edda poetica, Þrymskviða, 18, 20 (in Neckel ~ Kuhn 1962, pp. 113-114; Scardigli ~ Meli 1982, p. 123); per ulteriori ipotesi etimologiche, v. Chiesa Isnardi 1991, s.v. “Loki”, p. 273, nota 3 (n.d.C.).

(34) Setälä 1912, nello specifico, il capitolo “Louhi und ihre Verwandten”, pp. 210-264.

(35) Cfr. Haavio 1957.

(36) Cfr. Wareman 1951, p. 93. [Il runolaulaja non può tuttavia essere paragonato allo skáld, il cantore professionista delle corti scandinave, mentre sembra più affine al þulr che aveva legami con la sfera magico-religiosa e tramandava oralmente i canti tradizionali. Anche Domenico Comparetti ebbe a osservare che «Malgrado questa tendenza alla poesia e questo sentimento di essa, non si trova che abbiano mai i cantori fra i finni costituito una classe, né il cantare o poetare una professione. La superiorità del talento e della attitudine ad essere buon laulaja è sentita e riconosciuta secondo che natura la comparte; tale uomo ha credito di valente cantore più di un altro o di molti altri, ma nessun nome si vede emergere mai, non c’è ricordo di alcun poeta o runatore celebre; Väinämöinen, l’eterno cantore di cui tanto narra l’épos, è un ideale antico che sta a capo di una schiera anonima, di una poesia unica e tanto impersonale che non è neppure opera di classe. […] Ricordare gli aedi, i bardi, gli skaldi a proposito de’ laulajat finni sarebbe un errore, non solo perché questi non sono uomini di classe o di professione, ma altresì perché troppo lontani sono dalle condizioni sociali in cui quelli esistettero. […] si trova che mancano a questa poesia quei due elementi pe’ quali, anche indipendentemente dalla scrittura, la poesia naturale e primitiva arriva a raffinarsi tanto da diventare opera d’arte, cioè il prodursi di una classe di cantori professionisti, e la presenza di quei gradi sociali superiori per potenza, nobiltà e ricchezza che col favore spingono alla gara, con questa al miglioramento, e con la loro sola esistenza suggeriscono già l’idea e il bisogno del raffinare, della nobiltà intellettuale ed artistica» (Comparetti 1891, pp. 56-57). Cfr. von See 1980, pp. 50, 64-65, 67; de Vries 1970, vol. I, § 279 (n.d.C.).]

(37) Cfr. Krohn 1924-1928, vol. V, p. 10, nota.

(38) Cfr. la traduzione di Marcello Ganassini: «dalla donna che lo portò in grembo» (Ganassini 2010, p. 38) (n.d.C.).

(39) Setälä 1932, pp. 416-417; Turunen 1949, p. 343. [Per ulteriori ipotesi etimologiche, v. Ganassini 2010, p. 36, nota 2 (n.d.C.).]

(40) Cfr. Turunen 1949, p. 50, compresi i riferimenti bibliografici. [«ilman impien tykönä, /luona luonnon tyttärien» (361-362): Pavolini non rende il plurale del v. 361, traducendo pertanto «presso alla Vergin dell’aria, / alle figlie di Luonto». Fedele all’originale, invece, la traduzione di Ganassini: «accanto alle vergini dell’aria, / presso le figlie della natura» (Ganassini 2010, p. 345) (n.d.C.).]

(41) [Kerényi 2015, pp. 28-29. Il passo è contenuto nella commedia Gli uccelli, di Aristofane: «In principio era il cháos e Nýx, ed Érebos nero, e il vasto Tártaros; non c’era terra né aria né cielo. Nel seno infinito di Érebos, Nýx dalle nere ali generò dapprima un uovo infecondo. Da quello, con il volgere delle stagioni germogliò l’amabile Érōs: sul suo dorso rifulgevano ali dorate, era simile a un turbine di vento. […] Ma prima che Érōs mescolasse gli elementi non c’erano dèi; dopo che l’ebbe fatto nacquero il cielo, l’oceano, la terra e la stirpe immortale dei beati» (Paduano 1994, p. 238). Cfr. Orphicorum fragmenta, Kern 78, 3 (in Verzura 2011, p. 339). Per le relazioni tra Phánes e Nýx, in particolare riguardo la loro successione, v. Orphicorum fragmenta, Kern 101-109 (n.d.C.)] ; sulla fecondazione operata dal vento, v. Zirkle 1936; Hartland 1909, pp. 22-23, 149-150.

(42) Cfr. Ganassini, «la vergine madre dell’acqua vagava» (2010, p. 39) (n.d.C.).

(43) Versi 105-106 (n.d.C.).

(44) Kerényi 2015, p. 117; 2014, p. 215 (n.d.C.).

(45) Ukon vakat, “moggi di Ukko” (n.d.C.).

(46) Krohn 1932, pp. 33-40; per approfondire il culto ingrico di Ukko, v. Haavio 1963, pp. 21 e segg.

(47) Di Luzio ~ Giansanti 2021, pp. 45, 51 (n.d.C.).

(48) Ganander 1789, s.v. “Ukko” [in Taglianetti ~ Ganassini 2021, pp. 194-198, in particolare p. 195 (n.d.C.)] .

(49) Harva 1948, pp. 74-122; Turunen 1949, pp. 310-311; Sauvageot 1961, pp. 128-132; Paulson 1962, pp. 236-238; Haavio 1961.

(50) Cfr. Ganassini 2010, «seguire l’Orsa maggiore» (p. 41) (n.d.C.).

(51) Per ulteriori ipotesi etimologiche e significati, v. Comparetti 1891, p. 176 (n.d.C.).

Qui il volume del Kalevala

Qui il commentario di Hans Fromm

(Immagine del titolo: Gallen-Kallelan kuvitusluonnos Kalevalan kannessa (SKS 1999). Kuva: Lotta Emanuelsson)

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