Il romanzo finlandese e l’identità nazionale

Nei media finlandesi riecheggia ancora la polemica direttamente collegata alla riflessione sull’identità nazionale nella letteratura contemporanea della Finlandia. Ebbe inizio nel 2005, quando il traduttore tedesco Stefan Moster, nell’anno della sua partecipazione come membro della commissione per l’assegnazione del premio letterario finlandese più prestigioso, il Finlandia, accusò la letteratura finlandese – nella fattispecie il romanzo – di un insufficiente dialogo sociale: nella letteratura finlandese mancherebbero degli intellettuali radicali capaci di analizzare la società, sul tipo di Thomas Mann.

Il problema generale della cultura finlandese, secondo Moster, è l’assenza di polemiche letterarie di qualche peso, e questo perché il termine “intellettuale” ha acquisito una connotazione negativa nei circoli culturali finlandesi, dove autori e artisti sono ossessionati dalla paura di poter essere definiti elitisti. Questa critica ha provocato un intenso dibattito, durante il quale alcuni artisti riassicuravano l’opinione pubblica, confermando il loro interesse esplicito per la trattazione di problemi sociali, anche se, per quanto è dato vedere, in modo diverso rispetto a quello cui faceva riferimento Moster – ad esempio, il romanzo cosiddetto “di idee”, così popolare nelle “grandi” letterature europee, in quella finlandese è relegato piuttosto ai margini e la maggior parte degli esempi di questo genere soffre di una notevole schematizzazione. L’etichetta di “intellettuale”, però, è stata rifiutata con un misto di ironia e imbarazzo dagli autori che hanno preso parte a questo dibattito.

Il carattere democratico della letteratura

Questa polemica (nella quale, come spesso accade, entrambe le parti si sono lasciate andare a varie semplificazioni), è possibile collegarla ad un aspetto peculiare della letteratura finlandese, vale a dire il suo “carattere democratico”, enfatizzato dai classici della storia e della critica letteraria finlandesi; inoltre, ha anche confermato qualcosa di molto interessante in relazione al  tema dell’identità nazionale. Prima di tutto, ha posto l’attenzione sulla tendenza all’uguaglianza e sul culto del carattere popolare nella cultura, che ritroviamo anche in altri paesi nordici, grazie allo specifico sviluppo storico. Gli altri tentativi di analizzare questa tendenza accentuano piuttosto i tratti del caso finlandese e parlano “dell’ethos cristiano-proletario”, tipico già per la poesia popolare, motivato sia con la forte influenza dell’ideologia domenicana prima dell’avvento della Riforma nel Cinquecento, sia col fatto che il punto di vista prevalente nella poesia popolare (in particolar modo nelle leggende) dei vari dialetti finlandesi è quello degli strati più bassi della società feudale, perché quelli alti parlavano altre lingue, soprattutto lo svedese.

È particolarmente importante, quindi, il modo in cui questa tradizione viene usata nella costruzione dell’identità nazionale; per quel che riguarda la letteratura, un significato chiave è assunto soprattutto dalla “politica letteraria di Snellman”. “Filosofo nazionale finlandese”, Johan Vilhelm Snellman (1806–1881) chiedeva tra l’altro agli scrittori, secondo la sua linea di «patriottismo linguistico (di lingua finlandese)» di collegare la questione nazionale con la questione sociale e con l’avvicinamento delle diverse classi sociali. Le classi più basse della popolazione dovevano culturalmente elevarsi, mentre quelle più alte (che, nell’800, parlavano ancora quasi esclusivamente lo svedese – prima che la situazione cambiasse agli inizi del 900, quando la popolazione di lingua svedese sul territorio finlandese diventò una minoranza) dovevano «popolarizzarsi», vale a dire imparare la lingua finlandese e, in un certo senso, identificarsi con la popolazione di lingua finlandese «più semplice» e con la loro cultura nella quale, seguendo la linea herdero-hegeliana, si cercavano i tratti essenziali «dello spirito della nazione». La maggior parte delle opere canonizzate possono essere lette come un dialogo con questa eredità: in parte come rivolta contro le richieste di Snellman, in parte come loro sviluppo, che si manifesta, tra l’altro, nel culto dell’antieroe, del rappresentate del «piccolo uomo finlandese». Maestri nello sviluppo di questa tradizione sono stati i rappresentanti del romanzo della classe operaia (ad esempio, Hannu Salama, 1936); nella letteratura contemporanea, il capofila di questa corrente è Kari Hotakainen (1957) che nel romanzo vincitore del premio Finlandia, Juoksuhaudantie (2002; Via della Trincea 2009), tratta molti problemi d’attualità.

Attraverso la storia di un uomo medio finlandese che cerca di raggiungere il suo sogno (o la sua ossessione), una casa con giardino per evitare che la sua famiglia si sfasci, l’autore analizza vari risvolti dello sviluppo della società nordica, la crisi dello stato sociale, gli aspetti della mascolinità contemporanea e dei problemi di comunicazione sia tra le diverse generazioni di uomini finlandesi, sia tra uomini e donne. Hotakainen è senza dubbio uno dei più sensibili analisti della società finlandese contemporanea, ed è un fatto sintomatico che, durante le sue apparizioni pubbliche, cerchi di sfuggire «l’accusa» di intellettualismo ed elitismo.

L’identità nazionale nei romanzi storici

Il genere che fin dalla sua nascita (all’incirca la metà del XIX secolo) ha contribuito al processo di costruzione dell’identità nazionale, attraverso la formazione di concezioni generalmente accettate di avvenimenti chiave della storia, è il romanzo storico, che in Finlandia possiamo definire come uno dei forum letterari più letti e più popolari in assoluto.

Grazie ai primi di questi romanzi, scritti dai classici di questo genere, Fredrika Runeberg (1807–1879) e Zachris Topelius (1818–1898) più di 150 anni fa, il modo in cui veniva concepita la storia cambiò per sempre (come suo inizio in precedenza veniva considerato l’anno 1809, quando la Finlandia diventò autonoma, dopo sei secoli e mezzo, dalla Svezia, diventando parte dell’Impero russo): il termine “storia finlandese” iniziò un po’ alla volta ad indicare la storia del complesso geografico che va sotto il nome di Finlandia. Se il romanzo storico del XIX secolo cercava (e spesso anche offriva) risposte alla domanda del tipo: “Il popolo finlandese ha una sua storia?”, e in seguito nel corso del XX secolo (all’incirca fino agli anni 70 e 80) cercava di sostituire le interpretazioni canonizzate della storia nazionale con nuove interpretazioni, oggi il romanzo storico, opera artisticamente ambiziosa, è segnato dallo scetticismo postmoderno verso qualsiasi “metastoria” e “verità storica obiettiva”.

Al centro dell’attenzione, in ogni caso, rimangono due degli avvenimenti più traumatici e più discussi della storia finlandese del XX secolo, che sono in stretta relazione con l’interpretazione dei valori sui quali si basa la società finlandese attuale. In primo luogo, la guerra civile tra i “bianchi” (i sostenitori dell’idea monarchica) e i “rossi” (che tentavano un golpe comunista, secondo il modello della Russia sovietica) del 1918, quando si andava decidendo la forma dell’indipendente stato finlandese. In secondo luogo, gli avvenimenti della seconda guerra mondiale, che in Finlandia viene di solito divisa in due fasi, la guerra “d’inverno” (di difesa contro l’attacco sovietico nel 1939–1940) e la guerra “di continuazione” (la lotta a fianco della Germania hitleriana per riconquistare porzioni di territorio presi dai sovietici, lotta che poi si trasformò in una guerra per la conquista anche di territori della Carelia orientale che storicamente non erano mai appartenuti alla Finlandia).

Ai vincitori si chiede di più

I primi romanzi storici del dopoguerra trattavano gli eventi bellici indirettamente, come il famoso Sinuhe egyptiläinen (1945, Sinuhe l’egiziano, 1950) di Mika Waltari (1908-1979), che può essere letto come un’allegoria della situazione finlandese durante la seconda guerra mondiale ed anche come una riflessione più generale sulla possibilità delle nazioni piccole di rimanere neutrali durante i conflitti tra le grandi potenze. Soltanto negli anni 1950 iniziano ad apparire i primi “veri romanzi storici di guerra”, dove gli eventi vengono rappresentati più direttamente, soprattutto grazie alle opere di Väinö Linna (1920–1992) e Veijo Meri (1928-2015, nella foto).

Nei romanzi storici finlandesi di oggi vive non soltanto il tema della guerra vera e propria, ma anche delle sue conseguenze per la società finlandese, ad esempio il destino dei Careliani fuggiti dalle zone della Carelia occupate dall’Unione Sovietica e della loro lotta per la sopravvivenza nella Finlandia postbellica, oppure i traumi dei veterani di guerra, incapaci di reinserirsi nella vita quotidiana.

Nei romanzi degli ultimi anni, le rappresentazioni variano da quelli più tradizionali e realistiche, come nelle opere di Antti Tuuri (1944), a quelle più sperimentali, come le prose in vena esistenzialista di Asko Sahlberg (1964). Nell’ultimo decennio, sugli eventi della guerra ci si è soffermati anche dal punto di vista dalla minoranza finnosvedese, soprattutto grazie all’esponente di maggior forza della narrativa storica, Ulla-Leena Lundberg (1947) e al suo romanzo Marsipansoldaten (Il soldato di marzapane, 2001).

Durante gli ultimi anni, il tema trattato ancora più intensamente nel romanzo storico finlandese è stato quello della guerra civile del 1918, sicuramente anche grazie alla ricorrenza del novantesimo anniversario di questo conflitto e della fondazione dell’indipendente repubblica finlandese. Il conflitto del 1918, terminato con la sconfitta dei rossi, è stato visto sia dalla storiografia ufficiale sia dalla maggior parte dei letterati (o almeno da quelli più in vista) – fino al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale – come una “guerra di liberazione”, che salvò la Finlandia dal pericolo del terrore rosso. Già nel corso della decade successiva al primo conflitto mondiale, però, le opere letterarie di maggiore effetto, da un punto di vista artistico, mettono in discussione qualsiasi semplificazione dell’interpretazione degli avvenimenti di questo conflitto e cercano di analizzarli in maniera più generale e complessa – gli esempi più notevoli sono i romanzi dell’unico Premio Nobel finlandese, F .E. Sillanpää (1888-1964) o di Joel Lehtonen (1881-1934). Il punto di svolta nell’approccio “ufficiale” politico, storiografico e letterario avviene soprattutto grazie alle opere del già citato classico postbellico Väinö Linna, che a cavallo degli anni 1950 e 1960 descrive in modo suggestivo la guerra civile dal punto di vista dei rossi e, secondo molti, “restituì agli sconfitti la dignità civile” e spinse anche la storiografia alla ricerca di altri punti di vista sul conflitto del 1918. Questa interpretazione trovò terreno fertile anche grazie alla politica postbellica di “attività neutrale della Finlandia” basata sulla serie di accordi “YYA” (Accordo di amicizia, cooperazione e mutua assistenza), che formò la base per le relazioni finno-sovietiche dal 1948 al 1992 e che significava semplicemente: Evitare di irritare inutilmente il vicino sovietico. Presto questa diventò l’interpretazione più o meno ufficiale, sostenuta attivamente anche dalla frazione stalinista del Partito comunista di Finlandia, molto presente nella vita culturale degli anni 1970.

A questo proposito, veniva usata e abusata anche la già citata tradizione “democratica” e l’accento sulla popolarità, caratteri precedentemente utilizzati, come già detto, nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Nelle rappresentazioni degli eventi della guerra civile si iniziava ad enfatizzare la sofferenza dei prigionieri rossi nei complessi carcerari creati dai vincitori. Nell’ultimo decennio, possiamo notare come si tenda a concentrarsi sulle vicende umane, in una maniera simile a quella immediatamente successiva agli eventi del 1918, come mostra, ad esempio, il romanzo Tammilehto (2004, Il querceto) del succitato Asko Sahlberg. Attualmente, un nuovo apporto alla riflessione degli avvenimenti della guerra civile è il punto di vista delle donne che combattevano dalla parte degli sconfitti, e che, a guerra finita, furono trattate in maniera particolarmente crudele. Questo tema viene sviluppato, ad esempio, da Leena Lander (1955) nel romanzo Käsky (2003; L’ordine, 2006), oppure in Veriruusut (2008, Rose di sangue) di Anneli Kanto (1950), che si concentrano sull’aspetto di genere negli avvenimenti bellici e che esemplificano la rappresentazione degli avvenimenti storici dal punto di vista delle donne, tema che, nella letteratura finlandese, ha già una forte tradizione.

È interessante notare come l’interpretazione degli avvenimenti della guerra civile sia uno dei temi che fin dall’inizio della nascita della Repubblica accomunava gli scrittori di lingua finlandese e quelli di lingua svedese (i finnosvedesi); questo tratto comune lo ritroviamo anche ai nostri giorni.

L’approccio attuale usato dagli autori più stimati dai critici (sia autori di lingua finlandese sia di lingua svedese) verso la problematica della guerra civile si potrebbe riassumere con le parole dell’autore finnosvedese Kjell Westö (1961), che continua nella tradizione della riflessione critica di Väinö Linna con il suo romanzo storico su Helsinki Där vi en gång gått (Di qui passeggiavamo, 2006): “ Ho sempre provato simpatia per gli sconfitti rossi, perché subirono una punizione molto dura. Ma anche se la vendetta dei bianchi fu terribile, una vittoria dei rossi avrebbe significato la catastrofe per la Finlandia.”Il regista finlandese Aku Louhimies (1968), autore della versione cinematografica (2008) del romanzo della Lander, aggiunge: “L’attuale società finlandese è costruita sulle fondamenta della Finlandia dei bianchi. I bianchi hanno vinto la guerra e la morale dei vincitori deve sottostare ad uno scrutinio più minuzioso di quello al quale è sottoposta la morale dei vinti. Ai vincitori si chiede di più.”

La suggestione della tradizione popolare

Anche se gli autori di romanzi storici di maggior interesse non appartengono certo a correnti artistiche conservatrici, da un punto di vista formale troviamo gli esperimenti più radicali, con ancora maggior frequenza, nelle opere di autori e autrici che si ispirano alla tradizione popolare, da sempre uno degli aspetti più caratteristici della letteratura finlandese, la cui vasta ricchezza compensa la breve storia delle espressioni letterarie “alte”. La poesia popolare nei vari dialetti è servita come materiale per la prima grande opera scritta in finlandese: il cosiddetto poema nazionale Kalevala (prima versione 1835, seconda versione definitiva 1949) di Elias Lönnrot (1802–1884), il quale per il suo testo patriottico usò vari frammenti raccolti soprattutto nella regione della Carelia, in particolar modo della tradizione orale epica. Nonostante il carattere nazionalistico delle presentazioni del Kalevala ai giovani studenti, quest’opera continua ad essere oggetto di interesse per gli autori finlandesi e anche un’ottima occasione per riflettere sulle questioni dell’identità nazionale. Molti sono stati gli autori che nel corso del XIX e XX secolo hanno cercato di usare la tradizione popolare per parlare della “finnicità”, per analizzare le interpretazioni della storia finlandese e per riflettere sui problemi attuali; tra i tanti possiamo citare il classico del modernismo finlandese postbellico, Paavo Haavikko (1931-2008).

Per quanto riguarda la letteratura contemporanea, si può far riferimento, a tal proposito, ad un paio di esempi: il romanzo Kreisland (1996, il titolo può essere interpretato non solo come addomesticamento in finlandese dell’espressione inglese “crazy land”,  ma anche come”grace land”)  di Rosa Liksom (1958) e il romanzo Sankarit (Eroi, 2003) di Johanna Sinisalo (1958, nella foto). È sintomatico che entrambe le autrici provengano dalla Lapponia (la Liksom, in particolare, dalla regione bagnata dal Torneå) e, oltre alle loro considerazioni sull’identità finlandese nel mondo attuale, non manca nemmeno il punto di vista proprio di queste regioni. «Epos carnevalesco» (così come è stato definito dalla critica), Kreisland è una burlesca e umoristica parodia intertestuale, che fa uso degli elementi del  folclore e della mitologia locale e internazionale, ironizza sul culto della «popolarità» e sul culto «risorgimentale» del progresso, della civiltà e dell’etica protestante, e allo stesso tempo considera in maniera profonda le questioni della globalizzazione nel contesto della doppia marginalizzazione, nella fattispecie dal punto di vista della Lapponia. Eroi è invece una parafrasi postmoderna e in parte scientifico-fantastica del Kalevala (Johanna Sinisalo definisce le sue opere «sociofantasie»), nella quale gli eroi mitologici e semimitologici del Kalevala vengono presentati come stelle del rock o dello sport o geni del computer, permettendo così all’autrice di riflettere sulle icone della società contemporanea nel contesto di eroi e antieroi «nazional-letterari» e anche sul mondo governato dalle rappresentazioni mediali e dalla realtà virtuale.

Verso il multiculturalismo

Tornando alla critica di Moster del romanzo contemporaneo finlandese, possiamo quindi affermare che la sua dichiarazione può essere accettata soltanto in parte: se tralasciamo la linea del romanzo realista classico, che rappresenta la «corrente centrale» della produzione letteraria finlandese e che possiamo considerare di forte presenza ma di poco interesse, sembrerebbe che la nuova letteratura non è rappresentata, ad eccezione di scrittori tipo Hotakainen, da romanzieri ambiziosi, che inscenano le loro analisi nella contemporaneità «reale», ma che la maggior parte della critica sociale più convincente è riscontrabile in altri generi. Un esempio di questa tendenza può essere considerato il primo romanzo (anche in questo caso una “sociofantasia”) della già citata Johanna Sinisalo  Ennen päivänlaskua ei voi (Prima del tramonto non si può, 2000), vincitore nel 2000 del premio Finlandia, una science fiction particolare, che si ispira alla tradizione popolare ed è carica di enfasi ecologica (lo sfruttamento della natura da parte della “civiltà”, o, in altre parole, della cultura tecnologica e consumista), tipiche per la letteratura finlandese, dove l’idea della prossimità alla natura dei finlandesi è stata fortemente presente, spesso al servizio del pensiero nazionalista. Un certo “ritorno alle radici” assume nel romanzo un aspetto magico attraverso il carattere del troll, una creatura mitica, appunto, diffusa nel folclore finlandese e che la Sinisalo trasforma in una “scimmia felina”, una specie rarissima, imparentata con l’homo sapiens.  Il romanzo intensificò la discussione sulla paura dell’altro sotto forma di xenofobia e omofobia,  e pone interrogativi sulla validità delle frontiere tra uomo e altri esseri viventi, uomo e macchina, ecc. L’etichetta di fantasy o fantascienza ha, purtroppo, per molti critici offuscato l’attualità e l’importanza del romanzo per quanto riguarda la riflessione sullo stato contemporaneo della società finlandese, soprattutto per quel che riguarda il contributo di quest’opera alla discussione sulla posizione delle minoranze sessuali, sul multiculturalismo, che nella società finlandese ha iniziato ad avere luogo relativamente tardi, verso la seconda metà degli anni 90. Nel romanzo, una delle protagoniste della storia è Palomita, una giovane donna filippina, ufficialmente moglie di un finlandese, ma in realtà quasi una schiava comprata da un paese povero e tenuta prigioniera dal suo “proprietario”. Chi è più altro, più estraniato, più solo, più “esotico” – il troll oppure Palomita?

Il tema del traffico delle donne nel mondo globalizzato è stato affrontato anche nel romanzo Puhdistus (2008; La purga 2010) di Sofi Oksanen (1977), dove troviamo, appunto, anche il tema del multiculturalismo. La purga è stata, senza dubbio, il successo letterario più grande degli ultimi anni ed ha vinto non soltanto il premio Finlandia, ma anche altri premi letterari finlandesi e nordici, compreso il Premio del Consiglio Nordico del 2010. Tradotto in 37 lingue, anche La purga esplora la realtà contemporanea in una maniera particolare: l’autrice, di origine estone e finlandese, analizza la storia estone postbellica dal punto di vista delle donne, contrapponendo una storia degli anni 1940 e 1950, incentrata sulla resistenza estone contro l’occupazione sovietica, con una degli anni 1990, collegata al traffico delle donne dell’ex Unione Sovietica. Nelle sue opere letterarie e scritti giornalistici, la Oksanen smaschera l’ipocrisia e la tendenza a chiudere gli occhi davanti alle atrocità del totalitarismo sovietico, tipiche sia per la politica ufficiale della Finlandia postbellica, sia per una parte dei circoli di sinistra in Finlandia, chiedendo così la revisione di questa tendenza della cultura finlandese, forte sopratutto durante la seconda metà del Novecento.

Nel suo saggio polemico del 2007, la Oksanen mette in evidenza la questione di vinti e vincitori da un altro punto di vista rispetto a quello succitato: alla domanda sul perché la svastica susciti sentimenti d’orrore, mentre la falce e il martello provocano facili sorrisi, risponde con un’altra domanda: perché la storia è la storia dei vincitori e perché non è facile condannare i vincitori? La purga è stata accolta con entusiasmo anche in Estonia, dove alcuni critici hanno spiegato l’efficacia d’espressione dell’autrice col fatto che la Oksanen, vivendo in Finlandia e scrivendo in finlandese, ha una capacità di distacco che manca a molti autori estoni che trattano i traumi nazionali della loro storia relativamente recente. In un certo senso, la Oksanen continua la tradizione della letteratura finlandese degli autori e soprattutto autrici “finno-estoni”, rappresentate ad esempio da Aino Kallas (1878–1956) o Hella Wuolijoki (1886–1954).

Parlando di multiculturalismo, non si intende, naturalmente, soltanto la cultura prodotta dai rappresentanti delle minoranze etniche “nuove”, cioè arrivate in Finlandia recentemente, com’è accaduto, nell’ultimo ventennio con i somali o i russi (sicuramente visibili sulla scena culturale finlandese, ma che non hanno ancora contribuito al genere del romanzo scritto in Finlandia), ma anche la rivalutazione e una nuova comprensione del contributo culturale delle minoranze storiche della Finlandia. Vale a dire, ad esempio, quella di lingua svedese, che vanta autori come il già citato Kjell Westö, e che è stata tradizionalmente (e in maniera stereotipica) vista come elitista, o quella sámi (lappone), rappresentata, ad esempio da Kirsti Paltto (1947), come anche la minoranza Rom con autori tipo Veijo Baltzar (1942) al contrario marginalizzate e sottovalutate. Nelle sue opere, Baltzar fonde, in maniera interessante, la problematica dell’identità Rom con l’identità regionale (della regione della Carelia, nella Finlandia orientale); Baltzar ha, inoltre, cercato di contribuire anche alla riflessione sulla seconda guerra mondiale dal punto di vista dei Rom (nel romanzo Sodassa ja rakkaudessa, 2008, In guerra e in amore), così come anche Daniel Katz (1938), il portavoce della poco numerosa minoranza ebrea in Finlandia.

Gli studiosi di letteratura finlandese hanno lavorato intensamente nell’ultimo decennio per analizzare il discorso colonialista del canone letterario finlandese che accentuava, parzialmente nella linea snellmaniana, l’omogeneità della cultura e della letteratura finlandesi. Un sintomo dell’inizio dell’apertura dei confini letterari finnici è anche il fatto che “gli immigranti” e gli altri rappresentanti delle minoranze non soltanto fanno sentire sempre più la loro voce, ma diventano sempre più spesso personaggi di romanzi scritti dai classici viventi finlandesi, come nel caso dell’opera Parvekejumalat (Le divinità del balcone, 2010) di Anja Snellman (1954), dove vengono confrontati le esperienze e i mondi di una ragazza “puramente” finlandese e una ragazza somala, e dove la Snellman, famosa per la sua capacità di affrontare temi attuali e scottanti, tratta le questioni collegate ai dibattiti sulle relazioni tra l’Islam e la società occidentale (nella fattispecie quella nordica) dal punto di vista della donna. Come nei precedenti casi menzionati, anche in quest’ultimo il punto di vista femminile offre una possibilità particolarmente favorevole per problematizzare il discorso sull’identità nazionale, sulle varie altre identità, sulla marginalizzazione e sui vari aspetti di potere.

Oltre il romanzo

Una circostanza importante e da non sottovalutare è che la forza della letteratura finlandese non sembra essere (fatte le debite eccezioni) nel romanzo, ma in altri generi. Nel caso di ogni letteratura marginale, sia linguisticamente sia geograficamente, ciò rappresenta naturalmente un handicap, perché il genere del romanzo è, ai giorni nostri, quello più apprezzato, letto, tradotto ed esportato, e proprio attraverso il romanzo ci si aspetta che ci si pronunci in maniera più diretta sulla situazione della società contemporanea e che si sviluppi il dibattito sull’identità nazionale. Rispetto alle altre letterature europee, il romanzo finlandese, però, non occupa una posizione assolutamente esclusiva né fa suo un certo militantismo, come invece avviene in altre tradizioni.

In conclusione, possiamo quindi almeno sottolineare come un contributo ugualmente importante per il dibattito sull’identità nazionale nella letteratura finlandese contemporanea sia quello espresso da altri generi, soprattutto dalla POESIA – che, naturalmente, richiederebbe un’analisi a parte (rimando a una mia prossima introduzione a una grande Antologia della poesia contemporanea della Finlandia) – e dai racconti e altri tipi di prosa breve, ad esempio quelli di Raija Siekkinen (1953–2004), e delle stesse Rosa Liksom, Johanna Sinisalo e Juha Seppälä (1956). Anche la forza dei testi del succitato Kari Hotakainen è nell’espressione aforistica, brusca e laconica, che risulta con più forza nei testi brevi, come si evidenzia nella raccolta Finnhits del 2007, che possiamo considerare un personale omaggio dell’autore alle celebrazioni per il novantesimo anniversario dell’indipendenza della Finlandia nel dicembre del 1917. Ci sono poi vari generi, tradizionalmente considerati marginali, come i racconti polizieschi, i romanzi criminali, i fumetti e i libri per ragazzi e ragazze, dove il problema dell’identità nazionale è affrontato in maniera sempre più diffusa e sempre più varia. Si può, quindi, accettare solo con rammarico la decisione presa nel 1993 dalla Suomen Kirjasäätiö, la Fondazione che assegna il Finlandia, con la quale questo importante premio, originalmente (1984–1993) assegnato a tutti generi letterari, è stato limitato esclusivamente al romanzo.

Un caso a parte è quello del TEATRO, dove, in effetti, i contributi al dibattito sull’identità finlandese sono soprattutto le messe in scene dei classici piuttosto che dei testi drammatici originali.

L’avvenimento più notevole degli anni recenti è stata la controversa messa in scena della descrizione canonizzata della guerra di continuazione, basata sul romanzo Tuntematon sotilas (1954; Croci in Carelia, 1956) del succitato Väinö Linna (regia di Kristian Smeds (1970); Teatro nazionale 2007), dove nel finale vengono fucilate le diverse icone della finnicità.

Per quanto riguardano le riflessioni sull’identità nazionale, anche nel teatro sono state e continuano ad essere fondamentali le varie messe in scena ispirate al Kalevala, che negli ultimi tempi avvengono soprattutto grazie a collaborazioni tra artisti nazionali e internazionali nell’ambito di diversi progetti culturali. Queste rappresentazioni, dove le interpretazioni del “testo sacro della cultura e letteratura finlandesi” dei finlandesi sono confrontate col punto di vista di cittadini di origine non finlandese e anche con stranieri che abitano in Finlandia solo temporaneamente, costituiscono per il momento uno degli ultimi capitoli dell’utilizzo della tradizione popolare per considerazioni sull’identità finlandese, nazionale, di genere e di altre identità in assoluto.

Questo breve profilo sullo stato del romanzo finlandese, sulle sue qualità artistiche, sulla forza della sua testimonianza sociale e sul modo in cui viene trattata la questione dell’identità nazionale sottolinea come, anche sostenendo che il romanzo non sia la forma letteraria più vigorosa nella letteratura della Finlandia, recentemente si siano aperte nuove possibilità. Soprattutto la strada verso il multiculturalismo sposta su nuove posizioni il dibattito circa l’elitismo e l’intellettualismo, che avevano ripetutamente condotto i vari dibattiti sull’arte e sulla letteratura finlandese in un vicolo cieco. Le riflessioni sull’identità nazionale appaiono sotto una nuova luce quando vengono analizzate da autori e autrici con un background internazionale, che riescono ad arricchire la letteratura finlandese trattando, come fa la Oksanen, anche temi “stranieri”, non particolarmente frequenti nelle opere di autori precedenti.

(Trad.it. di Antonio Parente)

La Rondine – 2010 / rist. 2017

Viola Parente-Čapková
Docente di letteratura finlandese alle Università di Praga e Turku.