Profilo di letteratura finlandese

Dalle origini al Novecento

L’importanza della letteratura orale – Se parliamo di letteratura finlandese nel senso di letteratura della Finlandia, bisogna evidenziarne il carattere multilingue e multiculturale. Ai primi testi letterari scritti in latino (successivi all’arrivo ufficiale del Cristianesimo nel XII secolo), seguirono quelli in svedese (soprattutto quando, nel XVII secolo, fu fondata l’Accademia, vale a dire l’Università di Turku / Åbo). Dalla fine del XIX secolo, il finlandese divenne gradualmente la lingua di maggior diffusione nel paese e a partire dal XX secolo, principalmente dalla seconda metà, troviamo anche la letteratura in lingua sami; negli ultimi decenni, durante i quali la Finlandia si è maggiormente aperta al mondo, riscontriamo letterature in altre lingue minoritarie, sebbene di diffusione limitata.

Spesso viene sollevata la questione dell’opportunità di includere la letteratura orale nella storia della letteratura: nel caso di paesi come la Finlandia, tale inclusione sembra più che giustificata, data la relativamente breve storia della letteratura scritta e l’enorme importanza della tradizione orale in dialetti vernacolari, sopravvissuti quasi incontaminati fino al XIX secolo, in particolare nelle regioni del Nord-est del Paese. Tradizionalmente diviso in generi dominati dall’importanza di epica, lirica e poesia rituale, questo patrimonio testimonia l’antica arte verbale sviluppatasi sul territorio finlandese e servì come elemento fondamentale, durante il XIX secolo, nel processo di costruzione della letteratura moderna e dell’identità nazionale finlandesi.

Dai primi monumenti letterari al XVIII secolo – I più antichi monumenti letterari originati sul territorio finlandese furono di carattere religioso (es. leggende), e risalgono al periodo dell’avvento ufficiale del Cristianesimo in Finlandia e all’inizio del dominio svedese. I libri più antichi sono il Missale Aboense (1488, basato su un messale internazionale dominicano), e un codice per sacerdoti, il Manuale Aboense (1522). I testi più antichi (testi religiosi e loro traduzioni, leggende e alcune storie secolari con tratti rinascimentali) in lingua svedese sul territorio finlandese furono ad opera di un monaco francescano, J. Budde (Jöns Buddes bok, «Il libro di Jöns Budde»,1487-1491). Durante la seconda decade del 1500, la Riforma isolò la Finlandia dall’Europa cattolica, ma incoraggiò la nascita della letteratura finlandese, soprattutto grazie all’“architetto della lingua letteraria finnica” M. Agricola, primo vescovo luterano in Finlandia, autore del primo libro in finlandese (l’abbecedario Abckiria, 1537-1543) e della traduzione del Nuovo Testamento (1548). L’intera Bibbia in finlandese apparve invece nel 1642 e la prima grammatica di E. Petraeus nel 1649. Lo sviluppo di scritti in finlandese, però, rimase molto limitato; nel XVII secolo ci furono per lo più le opere di J. Cajanus e di autori che iniziarono ad introdurre le caratteristiche formali della tradizione orale.

Dopo la fondazione dell’Università di Turku nel 1640, ci fu un fiorire di opere da parte di insegnanti e studenti dell’Ateneo: il primo dramma di J. Chronander (Surge, «Sorgi», 1647), la “poesia colta” con caratteristiche barocche di O. Wexionius, o in stile rococò e pastorale di J. Frese. Alcune di queste opere furono in latino e in greco, come la prima poesia con tratti di patriottismo locale, Magnus Principatus Finlandia (1679) di J. Paolino Lillienstedt. Questa tendenza venne ulteriormente rafforzata dai “fennomani” del XVIII secolo, soprattutto da D. Juslenius (spesso paragonato allo svedese O. Rudbeckius) e dai suoi trattati sulle origini dei Finlandesi e sulla storia della città di Turku. L’interesse degli studiosi per la tradizione orale finlandese si profilò durante l’era di H. G. Porthan, il principale rappresentante dello spirito illuminista in Finlandia, fondatore della Società Aurora e del primo giornale sul territorio finlandese, la cui opera De poësi fennica (1766 -1788) gettò le basi per la ricerca del patrimonio orale finnico. Contemporaneo di Porthan, G. P. Creutz fu autore di poesie ancora in vena pastorale ed idillica, mentre F. M. Franzén, un allievo di Porthan, scriveva già poesie con caratteristiche preromantiche, preannuncianti gli sviluppi della cultura e della letteratura del XIX secolo.

La letteratura del XIX secolo – Durante il XIX secolo, la letteratura si adoperò per costruire un’identità nazionale. Tale scopo, in un certo senso, fu permesso e incoraggiato dallo sviluppo politico della Finlandia (l’annessione alla Russia nel 1809) e dalle influenze romantiche che arrivarono dalla Germania e dalla Scandinavia. All’inizio del XIX secolo, alcuni autori svilupparono il finlandese (es. J. Juteini [J. Judén]), pur rifacendosi ancora in gran parte allo spirito didattico illuminista. Gli autori che gravitavano intorno all’Università di Turku continuarono a scrivere in svedese, ma trassero ispirazione dalla venerazione herderiana per la letteratura orale – la manifestazione più visibile del Romanticismo in Finlandia. Successivamente al passaggio del centro culturale del paese da Turku a Helsinki (divenuta capitale nel 1812), vi fu una crescente necessità di definire e legittimare la nozione di “finnicità”, promossa soprattutto dalla “Società del Sabato”. Uno dei suoi membri, J. L. Runeberg, definito il “poeta nazionale finlandese”, ancorché svedofono, sul piano ideologico contribuì ad affermare il prototipo del cittadino finnofono (Fänrik Ståls sägner, «I racconti dell’alfiere Stål»1648, 1860). Il genere del romanzo prese piede in Finlandia grazie ad autrici svedofone come F. Runeberg e W. Carstens. Il raccoglitore della tradizione popolare E. Lönnrot contribuì alla nascita della cultura finlandese moderna con le sue opere sul folklore e con i dizionari, ma è ricordato piuttosto per la pubblicazione di una selezione e adattazione della lirica popolare finlandese, Kanteletar (1840), e sopratutto per il cosiddetto poema epico nazionale finlandese Kalevala (1835, 1841). Composto da frammenti di poesia popolare, raccolti per lo più nella regione della Carelia e presentati come una epica monumentale, il Kalevala servì a dimostrare la capacità del finlandese di diventare lingua letteraria, e svolse un ruolo fondamentale anche nel processo della creazione del passato finlandese; progetto proseguito (in svedese) dallo scrittore e giornalista Z. Topelius (Fältskärns berättelser, «Racconti di un medico militare» 1884), iniziatore, insieme con la già citata F. Runeberg , del romanzo storico in Finlandia, così come figura centrale nello sviluppo della letteratura per l’infanzia.

Il finlandese fu posto su un piano paritario allo svedese nel 1863, grazie al politico, giornalista e scrittore J. V. Snellman, autore di Läran om staten («Dottrina di stato» 1842) e promotore di un patriottismo basato sul finlandese. Il primo autore finnofono degno di nota fu Aleksis Kivi (A. Stenvall), il quale gettò le basi della prosa (Seitsemän veljestä, «Sette fratelli» 1870), della poesia (Kanervala, «Terra d’erica» 1866) e del dramma moderni finlandesi (Nummisuutarit, «I calzolai della brughiera» 1864), e il cui lavoro manifesta sia tratti romantici sia realisti. La realista finnofona M. Canth, drammaturga, prosatrice e femminista, si concentrò con coraggio su temi di interesse sociale (ad es. Kovan onnen lapsia, «I figli della malasorte» 1888). Un tema importante del tardo XIX e inizio XX secolo fu quello della scalata sociale, descritto da vari autori tra cui A. Järnefelt, influenzato da L. Tolstoj, e dal fautore del pietismo J. Aho (J . Brofeldt), che sviluppò il genere della prosa breve in finlandese (Lastuja, «Frammenti» 1891-1921), passando dal realismo al neo-romanticismo fino ad arrivare nei suoi lavori ad una sintesi delle due correnti. Intorno alla fine del secolo, il finlandese diventò la lingua dominatrice della scena culturale e gli scrittori svedofoni (in seguito chiamati finnosvedesi) iniziarono a sentirsi in minoranza (ad esempio K. A .Tavastjerna, M. Lybeck). Questo sensazione, associata ad una forte preoccupazione politica, la si riscontra nelle opere degli autori della classe operaia, apparsi in numero maggiore proprio in questo periodo.

La fine del secolo fu caratterizzata da un misto di tendenze come simbolismo e decadentismo, anche se alcuni scrittori continuarono a scrivere opere di spirito realista (T. Pakkala). I principali protagonisti delle succitate tendenze furono L. Onerva (H. O. Lehtinen), la quale esplorò le possibilità dell’esser donna nel periodo in questione (Mirdja, 1908) e J. Linnankoski (V. Peltonen), come anche E. Leino (A. E. L. Lönnbohm), rianimatore della tradizione epica della poesia popolare finlandese nelle sue opere “kalevaliane” (es. Tuonelan joutsen, «Il cigno di Tuonela» 1896), e capace di sintetizzare le influenze di epoca pre-cristiana e dell’antichità classica fino al Medioevo (Helkavirsiä, «Canti di Pentecoste» 1903). Il simbolista “più puro” fu il poeta O. Manninen (Säkeitä I., «Versi I.» 1905), mentre V. A. Koskenniemi, promotore delle idee nazionaliste e figura influente della vita culturale finlandese, rimase più fedele al patrimonio classico e al parnassismo. Alcuni degli autori finlandesi di questo periodo furono anche attivi traduttori, a dimostrazione dell’importanza delle traduzioni per ogni “letteratura nazionale”.

La letteratura del XX secolo – Il distacco dalle tendenze simboliste e decadenti fu evidente nelle opere di M. Jotuni, novellista, drammaturga e maestra d’ironia. Le possibilità di ruoli attivi per le donne furono indagate anche da A. Kallas, la quale trattò spesso temi estoni e baltici, sviluppando un tipo specifico di romanzo storico. Nella letteratura di lingua svedese del secondo decennio, troviamo un gruppo di decadenti “tardivi”, i dagdrivare («vitelloni», ad esempio, E. Grotenfelt, T. Janson), seguito dalla comparsa degli autori orbitanti intorno alla rivista “Ultra”. Noti come modernisti finnosvedesi, si ispirarono all’espressionismo e al futurismo. Questi autori, soprattutto E. Södergran, figura cosmopolita considerata la prima poetessa modernista di un certo peso in Scandinavia (Dikter, «Poesie»1916), contribuirono all’aspetto multiculturale e multilingue della letteratura della Finlandia (altri esempi: H. Olsson, E. Diktonius, G. Björling). Importanti furono le reazioni letterarie alla guerra civile finlandese (1918, subito dopo aver raggiunto l’indipendenza), che divise il paese in “rossi” e “bianchi”. Nella letteratura in lingua svedese, il conflitto venne trattato in modo approfondito da R. Schildt (Den stora rollen, «Una parte importante» 1922), e in finlandese da J. Lehtonen, rigoroso analista della società (Kuolleet omenapuut «I meli morti» 1918; Putkinotko, 1919-1920) come anche dagli scritti filosofeggianti e con forti connotazione ecologiche dell’unico premio Nobel finlandese (1939) F. E. Sillanpää (Hurskas kurjuus, «Santa miseria» 1919, Nuorena nukkunut, «Silja» 1931).

Tra gli autori della prima generazione della Finlandia indipendente vi fu l’influente gruppo dei Tulenkantajat («I portatori di fuoco»), raggruppatisi intorno all’annuario omonimo, che prendeva le mosse dai vari movimenti europei d’avanguardia, con al centro le figure di O. Paavolainen, dandy, esteta e analista politico, e di Mika Waltari, scrittore prolifico assurto in seguito a fama mondiale per i suoi romanzi storici con messaggio umanista (Sinuhe, egyptiläinen, «Sinuhe l’egiziano» 1945). La poesia dei Tulenkantajat fu rappresentata da P. Mustapää e K. Vala, mentre alcuni poeti di un certo nome del periodo tra le due guerre rimasero solisti (K. Sarkia, con un forte interesse per il patrimonio della poesia popolare, e soprattutto A. Hellaakoski, il modernista più progressista del periodo, tendente a sperimentazioni con elementi cubisti e futuristi). Mentre i Tulenkantajat si immersero nei “felici anni ’20” e preferirono concentrarsi sui temi urbani, alcuni degli scrittori ad essi associati affrontarono i problemi sociali delle piccole città (T. Pekkanen, Tehtaan varjossa, «All’ombra della fabbrica» 1932) o delle regioni isolate del Centro e del Nord della Finlandia (P. Haanpää). Anche V. Kilpi, lo sperimentatore più notevole della prosa finlandese del periodo tra le due guerre, trattò per lo più di ambienti extra-urbani. Nel 1930, i temi sociali divennero sempre più pressanti e venne a formarsi anche un influente gruppo di scrittori di sinistra, Kiila («Cuneo», tra gli altri, A. Turtiainen).

I decenni successivi alla seconda guerra mondiale (in Finlandia piuttosto “guerre” – la guerra d’inverno e la guerra di continuazione, entrambe contro l’Unione Sovietica) videro, come logico, reazioni letterarie dirette e indirette agli eventi bellici. I cosiddetti modernisti finnofoni, plasmati dall’imagismo, dall’esistenzialismo e da una sorta di minimalismo, si soffermarono sulle possibilità offerte dal linguaggio e dalla razionalità. Vi furono prosatori come M.-L. Vartio e A. Hyry, ma i più influenti furono la poetessa filosofica Eeva-Liisa Manner con la raccolta Tämä matka («Questo viaggio» 1951), e P. Haavikko con Talvipalatsi («Il palazzo d’inverno»1959), interessati a questioni come la storia, il potere e il suo condizionamento storico, mentre la poetessa M. Rekola analizzò piuttosto la “asimmetrica armonia” della natura. A partire dal 1950, le reazioni dirette alle guerre comparvero nei romanzi storici tradizionalmente più realisti di V. Linna (Tuntematon sotilas, «Croci in Carelia» 1954), il quale trattò ancora una volta il tema della guerra civile (Täällä Pohjantähden alla, «Qui sotto la stella polare» 1959-1962), e dell’autore modernista più sperimentale V. Meri (Manillaköysi, «La corda di manilla» 1957).

Alcuni autori di respiro internazionale, come T. K. Mukka, raffigurante nelle sue opere le regioni del Nord della Finlandia e della Lapponia (Maa on syntinen laulu, «La terra è un canto peccaminoso» 1964), si opposero ad etichette quali realismo e modernismo. Le regioni settentrionali del paese furono descritte anche dagli acuti saggi politici di E. Paasilinna, e dalla letteratura della regione di confine di Tornionlaakso (Tornedal), tra la Svezia e la Finlandia. La letteratura in svedese continuò a svilupparsi isolatamente, producendo una propria versione del modernismo del dopoguerra; il culmine fu rappresentato dall’opera del poeta e prosatore B. Carpelan (Den svala dagen, «Una giornata fredda» 1961) e della poetessa Tua Forsström. La minoranza ebraica trovò il suo portavoce in Daniel Katz e fecero la loro comparsa anche le voci nuove degli scrittori della minoranza finnofona in Svezia.

Negli anni 1960 e 1970 ci fu una forte politicizzazione della letteratura, con l’aumento di intellettuali e scrittori radicali (per lo più di sinistra), che portò ad una fioritura di generi come i pamphlet e la scrittura autobiografica con forti toni politici. Tale fu, ad esempio, l’opera del poeta e traduttore P. Saarikoski, il quale introdusse la lingua parlata nella poesia finlandese (Mitä tapahtuu todella?, «Cosa accade davvero?» 1962). In quegli stessi anni, le istituzioni culturali furono colpite da vari tipi di censura sia da destra sia da sinistra, come evidenziano quelle che vennero definite “le guerre dei libri” (“kirjasodat”, ad esempio il caso di H. Salama e del suo Juhannustanssit, «Le danze del solstizio» 1964). Gli autori svedofoni di questa generazione analizzarono e rimodellarono la nozione di identità finnosvedese, investigando il genere della prosa “confessionale” (H. Tikkanen, C. Kihlman, ad esempio, Människan som skalv, «L’uomo stravolto» 1971), ma anche della poesia (C. Andersson).

L’autrice finnosvedese di maggior spicco del dopoguerra fu senza dubbio Tove Jansson, la quale guadagnò fama mondiale con le sue storie dei Mumin (ad es. Pappan och havet, «Papà e il mare» 1965). Sia la prosa sia la poesia per l’infanzia si svilupparono rapidamente durante il periodo post-bellico (ad esempio K. Kunnas). Molte scrittrici si dedicarono a temi esplicitamente femministi, come la svedofona M. Tikkanen (Århundradets kärlekssaga, «La storia d’amore del secolo» 1978) e la finnofona E. Kilpi (Tamara, 1972), la quale affrontò anche il tema della perdita bellica della Carelia. P. Saisio, nota per i suoi giochi di identità, e L. Ruohonen proseguirono la tradizione delle “forti drammaturghe finlandesi”. Parallelamente, continuarono ad essere popolari anche gli scrittori di romanzi realisti tradizionali, spesso con temi storici (A. Tuuri). La letteratura della minoranza Sami di Finlandia iniziò a fiorire in questo periodo, plasmando l’identità ed esprimendo le preoccupazioni politiche della minoranza, oltre che esaminando le potenzialità del patrimonio popolare Sami per la letteratura scritta. Figura centrale fu l’artista, cantante, poeta, pittore e musicista N.-A. Valkeapää (Beáivi, ahčážán, «Il sole, mio padre» 1988), ma anche prosatrici come Kirsti Paltto.

A partire dal 1980, la letteratura finlandese ha prodotto testi con tratti postmoderni. Alcuni degli autori che debuttarono nella decade 1980 furono postmoderni in maniera programmatica (M. Pulkkinen), altri in modo più versatile – ad esempio la scrittrice svedofona Monika Fagerholm (Diva, 1998), e la virtuosa della prosa breve in finlandese R. Liksom (A. Ylävaara), demistificatrice della vita nella Finlandia del Nord e in Lapponia (Tyhjän tien paratiisit, «I paradisi delle vie deserte» 1989). La combinazione di elementi dei vari “-ismi” sono dei tratti tipici della modalità postmoderna, come evidente, ad esempio, nel lavoro di Anja Snellman (in precedenza Kauranen), autrice del romanzo di formazione femminista, ironico e satirico Sonja O. kävi täällä («Qui c’è stata Sonja O.» 1982).

Gli anni ’90 del secolo scorso videro quella che possiamo definire una rinascita della poesia finlandese (in particolare il gruppo intorno alla rivista letteraria “Nuori Voima”; autori come H. Sinervo, J. Inkala, T. Kontio, J. Ahvenjärvi), così come un processo di relativa convergenza delle letterature di lingua finlandese e svedese, cosa evidente, ad esempio, nello scrittore K. Westö, autore di analisi sociali che si occupano spesso della storia della capitale finlandese (Drakarna över Helsingfors, «Aquiloni su Helsinki» 1996), e nel poeta P. Mickwitz.

(Trad. it. di Antonio Parente)

La Rondine – 2017