Quando è accaduto, non pochissime volte a dire il vero, che un italiano scrivesse dei Paesi nordici con cognizione di causa, ci siamo ritrovati a leggere racconti ricchi di suggestioni, ma non solo. Ci è stato possibile, attraverso brevi note, ma anche sfogliando volumi compendiosi, conoscere qualcosa dei modi di vivere, della cultura, delle lingue che quei popoli praticano.
Quando gli autori di questi report erano gente colta e che aveva il pregio di documentarsi, erano persone come Giuseppe Acerbi (alla fine del 1700), oppure, in tempi più recenti, Giorgio Manganelli, che faceva le domande giuste, “Siete scandinavi?”, alla persona giusta, ill ministro finlandese dell’istruzione dell’epoca, la fine del decennio 1970.
L’interesse nuovo del pubblico dei lettori italiani per la letteratura finlandese, a partire dal 1987, anno in cui cominciano le traduzioni dell’editore Iperborea di Milano, specializzato in letteratura nordica, e gli italiani sentono parlare di un certo Paasilinna. La crescente popolartità del cinema finlandese, in particolare di registi come Aki Kaurismäki che escono dalla nicchia dei cineclub per raggiungere un pubblico più ampio, anche grazie a una serie di riconoscimenti internazionali, soprattutto in Francia.
Ciò nonostante, sembra che il Nord, ma in particolare la Finlandia, non riesca ad uscire fuori dell’aneddotica, e non solo a livello popolare, ma anche nel mondo dell’informazione. Come se non valesse proprio la pena di sforzarsi più di tanto per un Paese che, come ai tempi di Manganelli, continua a restare “periferico”. Dunque, esotico?
Come in un un ultimo, recentissimo servizio sul “Corriere” dedicato a cosa voglia dire essere “scandinavo”, in cui rientra, senza troppe spiegazioni, anche la Finlandia. E che si presenta con la mitica renna in primo piano.
Opera di Luigi Offeddu, è una di quelle divagazioni estemporanee in cui si sono specializzati i nostri giornali, spesso definite, con inconsapevole ironia, “approfondimenti”, e che danno il meglio di sé quando affrontano temi “esotici”: che si parli di cucina, o di sport, di politica o di Finlandia, di una qualunque Mompracem. L’attacco, inevitabilmente, è dedicato alla lingua.
Uno stesso organo, per parlare e per degustare, basta a comporre quel mosaico del nulla. Che eccita tanto gli amanti delle stranezze. Come faceva un popolare scrittore italiano, nella postfazione a un romanzo di un serissimo scrittore finlandese, Kari Hotakainen, in cui presentava il titolo con queste parole: “Juoksuhaudantie: che lingua dev’essere, il finlandese!”
Già, che lingua dev’essere una lingua in cui Juoksuhaudantie in italiano significa letteralmente Via della trincea, e basta! Basta conoscerla, come tutte le altre lingue. Come l’inglese, che quello stesso scrittore tratta a modo suo definendo il protagonista del romanzo, per due volte di seguito, un looser (ma voleva dire “perdente”).
Sono convinto, dopo anni di traduzioni di letteratura finlandese e di frequentazione dell’editoria e dei media italiani, che nei confronti della Finlandia ci sia un’opera di riduzione sistematica del “periferico” all’”esotico”. Essendo il periferico difficile da definire (ma ne vale proprio la pena?) si procede a una sua semplificazione, come al supermercato, e il prodotto da vendere, sia un romanzo o una vacanza o un mobile da cucina, viene ricondotto prima al “tipico”, che è la prima fase di quella riduzione, per finire nell’ esotico.
La Finlandia ha per certi reporter moderni da weekend (in genere passano sul posto una intensa fine settimana) una sua sfortuna specifica, la sua lingua. Una scheda memorabile apparsa sulla Stampa di Torino l’11 febbraio del 2010 di Lorenzo Cairoli, intitolata “La luce di Helsinki”, così si esprimeva senza esitazioni: “Il finlandese è una lingua ugro-finnica come l’ungherese, ma l’affinità tra le due lingue è la stessa che c’è tra un grillotalpa e il portinaio del mio palazzo. Ha invece molte affinità con la lingua parlata nella vicina Estonia, col samoiedo e con le lingue diffuse nel bacino russo del Volga. La parlano in sei milioni di persone, ha una grammatica ostica imparentata alla lontana con quella coreana, una grammatica priva di articoli, zeppa di declinazioni, che coniuga anche parole semplicissime come ‘no’ a seconda del contesto”.
Come no? Ma sul versante più estesamente culturale si esibiscono da noi i politici. Chi non ricorda le esternazioni di Berlusconi, all’epoca della contesa per l’Agenzia europea per i controlli alimentari, e il suo disprezzo per i “mangiatori di renne”, che per lui, oggi idealmente convertito alla fede vegana, erano dei primitivi. Questo, insieme con il disprezzo per le insulse chiesette di legno, e i toni cavallereschi nei confronti della presidente Tarja Halonen, gli hanno guadagnato in Finlandia una fama imperitura.
Terra periferica, dunque. Ma col tempo, cavalcando i trionfi della mitika Nokia, è aumentata la visibilità di questo Paese soprattutto in televisione, nei talk-show televisivi, costruendo un’immagine della Finlandia che assomigliava a una specie di Anti-Italia: il Paese cioè dove andava bene tutto ciò che da noi andava male. L’informazione, la scuola, il rispetto dell’ambiente, delle leggi e delle persone, il welfare. Il mito di un luogo dove tutto funzionava.
Che però, come tutti i miti, dura finché resta immutabile. Perché poi, in assenza di una informazione vera e documentata, al primo segnale negativo si inverte la tendenza. Finisce l’era della Nokia, aumenta la disoccupazione, cala il PIL, ed allora ecco gli stessi giornali italiani, che prima celebravano l’efficienza del paese nordico, precipitarsi a raccontare della sua vicina catastrofe. Da leader europeo, appena persa una delle sue tre A, diventa la Grecia del nord.
Nel giro di pochi mesi, dalle stelle alle stalle.
Bisognerebbe puntare sull’informazione, rinunciare al sensazionalismo. Smettendo di usare certe parole “tipiche” che scattano come tic, sui nostri media, non appena si nomina qualcosa di finlandese: “incontaminato”, per l’ambiente, o “esilarante”, per i romanzi (Paasilinna in primis), o “magico”, per il suo paesaggio, la flora e la fauna.
Quest’anno si celebrano i 100 anni di indipendenza della Finlandia, che Montanelli voleva a guida di una futura Europa. Si sbagliava, anche qui commettono errori, come ovunque. Ma sbagliano anche i presunti eredi di Montanelli quando, senza documentarsi, scrivono favole esotiche di un mondo che esiste solo nelle loro fantasie. Vi riporto il finale di Ofeddu, memorabile anche questo: “La Scandinavia è odor di pini e di stoccafisso, aurore boreali e cupe ombre… E l’urlo di Munch si leva dal paradiso dei fiordi norvegesi. Lassù, anche lassù, qualcuno si tormenta.”
Ah, la mitica Scandinavia, terra di strane risonanze! Ricordo una (questa sì) esilarante presentazione di un celebre romanzo di Paasilinna, intitolato Il mugnaio urlante, in cui un giornalista, accanito cultore di magie nordiche, così esordiva: “Alle gentili lettrici, ai cari lettori: avete mai sentito ululare un lupo, o qualcosa del genere?”
Sì, o gentile, sin dall’ infanzia ho udito lupi, civette, bramir di cervi e cose del genere, tra Alpi e Appennini, nella pianura padana, senza dover andar tanto lontano. La natura, coi suoi segreti, è ovunque, nella nostra Italia come in Finlandia. In un posto come nell’altro si pone lo stesso problema: conoscere, e se si è capaci raccontare. E basta.
Lupi del Gran Sasso
(La Rondine – 12.6.2017)