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AKILANDIA

Un saggio di Viola Parente-Čapková che, attraverso un’analisi del contesto culturale e sociale della Finlandia, spiega il modo in cui il regista conduce il dialogo con la tradizione culturale finlandese, e come si relazioni al concetto di identità finlandese.

“Ci vediamo domani?” chiede L’uomo senza passato (Markku Peltola) ad Irma (Kati Outinen), impiegata all’Armata della salvezza, dopo averle “rubato un bacio”. “Senza dubbio, se verrai al lavoro”, è la laconica risposta.

I. Sensibilità “finlandese” o comune?

Spesso si afferma che la laconicità, il culto della semplicità e il minimalismo, che si manifestano, ad esempio, con una cupa reticenza e una mancanza di espressività nella comunicazione, siano caratteristiche dell’arte, della cultura e, più in generale, dell’intera mentalità finlandese: basti ricordare la dichiarazione di Bertolt Brecht sulla Finlandia come di una nazione capace di tacere in due lingue. Nei film di Aki Kaurismäki il minimalismo è uno dei metodi fondamentali, come viene sottolineato in quasi tutti i saggi sui film del regista finlandese, insieme ad altre caratteristiche quali laconicità, ascetismo, ellissismo e così via, e questo sia che ci si concentri sul modo in cui Kaurismäki tratta dei problemi sociali, sia sugli aspetti formali e di genere della sua produzione, sia sulle problematiche nazionali e transnazionali dei suoi film, o persino nel caso dell’analisi dell’inconfondibile umorismo di Kaurismäki.

Il suo minimalismo può essere spiegato con i riferimenti alla cinematografia soprattutto europea e con l’ispirazione all’opera di registi che Kaurismäki come auteur ammira e cita nelle interviste così come nei suoi film, in particolare Jean-Pierre Melville e Robert Bresson. Come già evidenziato in vari studi (si veda, ad esempio, Pietari Kääpä  o Andrew Nestingen), una lettura “nazionale” dei film di Kaurismäki, senza una più profonda problematizzazione, può risultare restrittiva, se non addirittura fuorviante. Come “strettamente nazionali” possiamo definire in primo luogo alcune interpretazioni semplicistiche, che presentano i  film di Kaurismäki come una raffigurazione o addirittura un riflesso della realtà finlandese. Queste interpretazioni, di solito indicative di una comprensione non molto sofisticata dell’arte cinematografica, sono state fonte di toccanti malintesi se non addirittura di indignazione, sia tra i fan stranieri di Kaurismäki, i quali visitando per la prima volta la Finlandia e la sua capitale le trovano alquanto diverse rispetto alla raffigurazione che il regista ne fa, ad esempio, nel film L’uomo senza passato, e sia tra lo stesso pubblico finlandese, che accusa il regista di una raffigurazione “falsa” e “sgradevole” della loro patria. A tal proposito, Kaurismäki ebbe modo di dichiarare: “Se non ho riconoscimenti in Finlandia come regista è perché i miei film sono talmente vicini alla realtà finlandese che i finlandesi non hanno alcun desiderio di vederli.

Troviamo, poi, anche interpretazioni più semplicistiche che rimuovono completamente il contesto finlandese dall’opera di Kaurismäki, anche se bisogna aggiungere come attenuante che vari di questi studi, soprattutto quelli degli esperti cinematografici, i quali guardano all’opera di  Kaurismäki esclusivamente nel contesto cinematografico (Jochen Werner e molti altri), sono stati una tappa necessaria per poter uscire dal circolo vizioso della speculazione ipersemplificata sulla finnicità o meno dell’opera di Kaurismäki.

Dal punto di vista storico-culturale, la prospettiva più fruttuosa sul lavoro di Kaurismäki sembra essere quella che tenta di problematizzare il concetto della finnicità come anche la definizione del concetto di nazione e di aggettivi come nazionale, internazionale o sovranazionale; quella prospettiva, cioè, che analizza quale sia il posto occupato da Kaurismäki nell’ambito della cultura finlandese, mettendo quindi in discussione la dicotomia “nazionale” e “straniero” e altre improduttive contrapposizioni, create nel periodo dello sviluppo delle ideologie nazionaliste del XIX secolo.

In questo contesto, può a prima vista sembrare un notevole appiattimento la conclusione alla quale arriva la critica letteraria finlandese Pirjo Lyytikäinen, la quale definisce i film di Kaurismäki come “neo-kansankuvaus” ovvero “un nuovo modo di rappresentare il popolo/la nazione (finlandese)” (la parola finlandese kansa può essere tradotta, così come avviene per termini simili in altre lingue, sia come popolo sia come nazione). [1] Lyytikäinen fa riferimento all’interpretazione tradizionale e sotto molti aspetti problematica dell’arte finlandese, che sottolinea spesso molto superficialmente il suo carattere nazionale e “popolare”. Tuttavia, analizzando più in dettaglio lo sviluppo della raffigurazione del popolo e della nazione nel contesto finlandese, si scopre che le opere degli artisti finlandesi degli ultimi 150 anni circa, i quali vengono appunto inclusi in questa tradizione, contengono molte contraddizioni e paradossi che le interpretazioni precedenti cercavano, come la stessa Lyytikäinen afferma in un contesto differente, di “spazzare sotto il tappeto dell’ideologia nazionale”; naturalmente, queste opere sono del tutto inseparabili dagli eventi artistici (e di altro tipo) europei e mondiali. La natura transnazionale dell’arte fu evidente molto prima della teorizzazione dell’estetica ibrida e del postmodernismo globale. Se intendiamo in questo modo l’aggettivo “nazionale”, o nella fattispecie “finlandese”, l’inclusione dei film di Kaurismäki in questa tradizione non deve giocoforza apparire come qualcosa di poco attuale.

In questa sede esamineremo il modo in cui Kaurismäki conduce il dialogo con la tradizione culturale finlandese, il valore delle sue opere nel contesto di tale tradizione e il modo in cui il suo contributo può arricchirne la comprensione su un piano più generale. Ci soffermeremo sulla “Akilandia”, vale a dire sull’immagine della Finlandia che Kaurismäki crea nei suoi film. Toccheremo il già citato minimalismo e diversi altri tratti caratteristici della sua opera, come la contaminazione di vari generi (in particolare l’oscillazione postmoderna  tra melodramma, romanticismo, realismo, naturalismo, “postrealismo”, ecc), l’onnipresente nostalgia e la melanconia, il tema della solitudine così come l’enfasi sulla tenacia, l’umanesimo, l’accomunante compassione per “i perdenti e gli umiliati” e la riluttante avversione per “i signori”, la celebrazione kaurismäkiana della solidarietà esistente tra i bisognosi, anch’essa contestualizzabile nell’ambito della tradizione culturale finlandese. Alcuni critici considerano contraddittorie queste caratteristiche dell’opera di Kaurismäki, però la loro analisi nel contesto del processo di costruzione, decostruzione e ricostruzione dell’identità finlandese è in grado di offrire una prospettiva diversa: pur continuandole a considerare come qualcosa di paradossale, possiamo ad ogni modo sottolinearne la relazione reciproca.

Tale focalizzazione sul contesto finlandese certamente non intende mettere in discussione la personalità e l’opera di Kaurismäki come intrinsecamente transnazionale, che trae ispirazione da un ampio spettro di fonti afinniche e che possiede la capacità di raggiungere il pubblico a prescindere dall’appartenenza a qualsiasi gruppo (nazionale, etnico, ecc.) – come dimostrato da numerosi studi su questo tema e come conferma la popolarità internazionale di Kaurismäki, non da ultima accresciuta dal suo più recente successo Miracolo a Le Havre (2011) , del quale Liam Lacey parla come di un’opera di “sensibilità finlandese con retrogusto gallico”. [2]

II. Il minimalismo alla finlandese

Torniamo ora al già citato minimalismo che, nelle sue molte varianti come ad esempio il culto della semplicità, della sobrietà e della moderazione, ha radici profonde sia nel processo di costruzione dell’identità nazionale sia nell’arte finlandesi. Tra l’altro, non ha senso separare queste due aree, in quanto proprio l’arte ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione della finnicità, così come accadde per molte altre nazioni europee , che risorsero e “si risvegliarono” nel XIX secolo; arte intesa come letteratura, teatro, arti visive, architettura e musica, ai quali poi venne ad aggiungersi nel XX secolo anche la produzione cinematografica. L’arte contribuì in modo decisivo alla creazione dei simboli chiave della finnicità: la storia finlandese, l’iconografia finlandese del paesaggio e il prototipo del cittadino modello (il genere maschile qui non vuole essere solo generico, ma ha un carattere significativo), con le sue caratteristiche tipiche.

Come è stato opportunamente illustrato dallo storico finlandese Matti Klinge [3] le basi principali della identità finlandese furono tratte dall’ideologia del cosiddetto nordismo, comune, in varie forme, a tutti i paesi del Nord Europa, dove giocò un ruolo significativo l’enfasi sulla religione protestante, nella fattispecie luterana. All’inizio del XIX secolo, la Finlandia passò, dopo oltre sei secoli e mezzo, dal dominio svedese a quello russo, mantenendo, però, il sistema istituzionale svedese, istituzioni religiose incluse. Grazie al nordismo, quegli aspetti della cultura finlandese che erano sempre stati considerati come delle debolezze poterono ora essere interpretati come punti forza: la posizione periferica della Finlandia rispetto ai centri universalmente riconosciuti della cultura europea, la breve tradizione di “cultura alta” sia, in generale, in Finlandia, sia, in particolare, in lingua finlandese, come anche l’assenza di un’aristocrazia di lingua finlandese (ancora nel XIX secolo, le “classi alte” in Finlandia erano quasi esclusivamente di lingua svedese). Durante il XIX secolo, i patrioti finlandesi crearono l’immagine della “patria finlandese” come della Nuova Grecia, la controparte di un’Europa stanca e decadente.

Gli sviluppi di cui sopra portarono al culto della folclorizzazione nell’arte – sia elevando il folclore ad una delle più importanti fonti di ispirazione, sia come requisito ed esigenza estetici che i principali revivalisti ricercavano nell’arte. Dal momento che l’arte doveva educare e guidare la nazione, nell’ambito di un’ideologia egualitaria doveva quindi essere comprensibile ed accessibile ai più ampi strati della popolazione (a questo concetto fu associata anche l’esigenza di un moderato realismo, sul quale torneremo in seguito). La semplicità e l’assenza di forme ornamentali, o una sorta di minimalismo, per chiamarlo secondo la terminologia attuale, su piani diversi diventò l’ideale estetico di molte generazioni di artisti finlandesi: il requisito di “immediatezza” o “semplicità monumentale” appare nei programmi estetici degli artisti finlandesi, dagli scrittori ai designer, durante il XIX e il XX secolo. Prendendo in considerazione questa eredità, è sintomatico come nella storia dell’architettura finlandese sia stato proprio il periodo funzionalista a ricevere i maggiori riconoscimenti nel contesto internazionale.

Lo stile laconico di Kaurismäki può naturalmente essere spiegato anche da una serie di altri fattori, tra cui i budget di produzione limitati, come nota ad esempio Peter Schepelern oppure l’ispirazione a registi che professano ideali estetici simili, come i già menzionati Melville e Bresson.

A questo proposito, Kaurismäki stesso non menziona (molto sintomaticamente) fonti finlandesi, ma piuttosto la cultura giapponese, rifacendosi così alle dichiarazioni di molti altri artisti finlandesi convinti di una certa affinità, a volte addirittura mistica, tra la mentalità finlandese e quella giapponese: “In un certo senso, sono molto giapponese nel mio lavoro. Nessun ornamento – la base dell’intera l’arte è la riduzione. Si parte dall’idea originale e quindi la si riduce gradualmente, fino a quando non diventa talmente “nuda” e spogliata di tutto ciò che è inutile, da poter essere vera. Allora, e soltanto allora si è giunti a conclusione.” [4]

Il prototipo del cittadino finlandese, grazie all’attività culturale revivalista, diventò l’uomo dell’entroterra, semplice e di lingua finlandese, temprato dalla lotta con l’ostica natura, alla quale si sentiva comunque indissolubilmente legato. Questo eroe tenace era diretto e coraggioso, e allo stesso tempo pio, umile e felice pur nella povertà. “Il prototipo ideale” della finnicità non sprecava parole e parlava solo “quando aveva qualcosa da dire”, la sua saggezza non era frutto di letture o speculazioni filosofiche, ma era associata all’esperienza di vita, “originava direttamente dalla vita.” La verbosità, la raffinatezza e “la cultura” apprese dai libri erano sinonimo di artificialità, se non addirittura di falsità e menzogna, il lusso e la ricchezza causa di pigrizia e corruzione morale – tutte queste caratteristiche negative erano direttamente o indirettamente associate ai paesi cattolici europei, in particolare a quelli dell’Europa meridionale.

Qualora si volesse mettere in relazione il minimalismo dei film di Kaurismäki, compresa la laconicità dei suoi famosi dialoghi, con la tradizione finlandese e con le tendenze contemporanee della cultura finlandese, lo si potrebbe interpretare appunto come la continuazione e lo sviluppo del culto della semplicità e della tradizionale rappresentazione dei finlandesi, sinceri, lineari e di poche parole, oltre che, naturalmente, come una parafrasi ironica, una parodia o una sovversione “di” questa stessa tradizione. In questa sorta di dialogo postmoderno con la tradizione finnica possiamo trovare eloquenti paralleli nelle opere di altri artisti contemporanei finlandesi, quali Rosa Liksom o Kari Hotakainen, autori della stessa generazione di Kaurismäki. [5] Rosa Liksom (1958) è famosa come artista, fumettista e scrittrice; i suoi racconti, che hanno come protagonisti “i perdenti e i reietti”, scritti in stile laconico e pieni di humour nero con elementi di naiveté, grotteschi e surreali, possono essere letti sia come un pastiche postmoderno, sia come testimonianza sociologica delle remote regioni settentrionali della Finlandia e delle sottoculture urbane.

Un altro autore che si offre al confronto col regista finlandese è Kari Hotakainen (1957), scrittore poliedrico e “analista” della mascolinità finlandese, rinomato appunto per la riduzione minimalista dei suoi scritti, per l’umorismo nero spesso assurdo, e per l’interesse per i destini delle persone “piccole”, emarginate. Rosa Liksom si collega a Kaurismaki anche per il  fascino dell’“esotico” impero sovietico che va disintegrandosi (accolto con perplessità da parte di alcuni gruppi di spettatori e lettori nei paesi europei post-comunisti, per i cui abitanti questa estetica esotica non ha esercitato comprensibilmente un eccessivo fascino), per l’interesse da parte di Hotakainen per il mondo del cinema muto e per l’amore per la musica rock degli anni 1960, presenti nella maggior parte delle sue opere. Entrambi gli artisti condividono poi la strategia di contaminazione dei generi, del dialogo intenso con altre discipline artistiche (non pochi film di Kaurismäki sono adattamenti singolari di opere letterarie, mentre Hotakainen trae ispirazione dall’arte cinematografica sia per forma che per contenuto) e per le immagini di carattere universale, anche se specificatamente finlandese, di solitudine e malinconia, sottolineate dagli effetti dell’inospitale clima del Nord. Volendo generalizzare – cosa sempre rischiosa ma in questo caso pertinente – potremmo dire che gli esempi appena citati illustrano puntualmente come la forza dell’arte narrativa finlandese (letteraria e cinematografica) risieda in qualcosa di completamente diverso rispetto alla dimensione epica, all’atteggiamento psicologizzante e ai dialoghi intellettualmente elaborati.

I paralleli tra la produzione cinematografica di Kaurismäki e le opere letterarie sono rilevanti anche secondo lo stesso regista, il quale dichiarò in un’intervista al giornale letterario finlandese Parnasso: “Ero molto giovane quando decisi di volermi occupare di qualcosa di creativo. A quel tempo ero deciso a diventare uno scrittore. … All’inizio pensavo che i film sarebbero stati soltanto una sorta di tragitto secondario, ma sono già più di vent’anni che procedo su questo percorso.” [6] Il suo rapporto con la letteratura, dalla quale, per sua stessa ammissione, trae di continuo ispirazione da quando aveva quattro anni, lo esprime non solo attraverso le sue versioni cinematografiche di alcune opere letterarie, ma anche con molte allusioni  intertestuali minori: nella Fiammiferaia (1990) Iris, il personaggio principale, richiama sia la tragica fine della fiaba di  Andersen “La piccola fiammiferaia”, sia il testo di una fiaba classica finlandese di Anni Swan (1875-1958) intitolata “Povera Iris” (1916), che descrive le barriere insormontabili tra le classi sociali e si conclude con un lieto fine non molto convincente.

III. “La rappresentazione del popolo / della nazione”: il melodramma impegnato

A cominciare dal XIX secolo, l’arte finlandese sostenne un dialogo variegato con l’eredità del risveglio nazionale, e molti autori dell’epoca presero posizione contro gli ideali sopra descritti, anche in maniera molto radicale. Il “filosofo nazionale” finlandese J.V. Snellman (1806-1881), ideatore del concetto di patriottismo monolingue (nella fattispecie di lingua finlandese), tracciò per l’arte finlandese, in particolare per la letteratura, una linea vincolante di effetto didattico sul popolo / sulla nazione. La forma d’arte da lui considerata desiderabile era una sorta di moderato realismo “ideale”. Il sogno di Snellman era quello di livellare le differenze sociali prevalenti nella società finlandese attraverso l’attività patriottica. Le classi alte, che al tempo di Snellman parlavano quasi esclusivamente lo svedese, dovevano essere “finnicizzate” attraverso l’adozione della lingua finlandese e la familiarizzazione con la cultura popolare finlandese. Le classi basse, di lingua quasi esclusivamente finlandese, dovevano a loro volta “elevarsi” grazie all’istruzione, mantenendo tuttavia la propria cultura popolare (di lingua finlandese), che sarebbe servita come base per l’identità nazionale. L’arte avrebbe dovuto assecondare questo programma creando modelli meritevoli di emulazione. Come conseguenza, secondo Snellman, lo svedese a poco a poco sarebbe scomparso dalla Finlandia; questa campagna alla fine sancì per davvero la vittoria della lingua finlandese, ma lo svedese rimane a tutt’oggi la seconda lingua ufficiale della Finlandia. Anche il ravvicinamento delle classi sociali fallì, almeno nel modo in cui era stato immaginato da Snellman. È vero che la società finlandese, come conseguenza dell’influenza storica di vari fattori, può essere considerata relativamente egalitaria a confronto con altre società che presentano una estrema stratificazione sociale, ma ovviamente le differenze tra le classi sono molto evidenti e rigide anche in Finlandia. La forte avversione per “i signori”, che per i “veri” finlandesi, vale a dire quelli di lingua finlandese, erano incarnati dagli esponenti delle classi sociali più elevate di lingua svedese, emerge sia nelle rappresentazioni di plebeismo idealizzato sia nella sua ironizzazione, ed i film di Kaurismäki ne sono una prova lampante. Come scrive Lyytikäinen, “Nei film di Kaurismäki, lo spazzino sembra ‘più finlandese’ rispetto ad un impiegato o dirigente di qualche ditta.” [7]

In alcuni periodi storici, come ad esempio nei periodi in cui il “popolo / la nazione” può essere cementato/a dal pensiero nazionalista nell’ambito del processo di risveglio nazionale o di una minaccia concreta, come pure in un periodo di prosperità economica e di uno stato sociale apparentemente funzionante, nella vita culturale può crearsi l’illusione del declino dell’importanza della gerarchia sociale. L’arte può avvalorare o mettere in dubbio questa illusione, cosa che Aki Kaurismäki ha cercato di fare nei suoi film della seconda metà degli anni 1980, periodo comunemente noto come l’apice della prosperità economica finlandese, rivelando il lato oscuro dello stato sociale nordico o, in questo caso, finlandese e rifacendosi così all’eredità della critica sociale di tanti artisti finlandesi poco propensi ad accettare il realismo ideale o idealizzato della tradizione snellmaniana; ad esempio i realisti e i naturalisti del XIX secolo, in particolare l’autrice di romanzi e opere teatrali Minna Canth (1844-1897), principalmente perché (così come molti altri artisti europei di quel periodo) nelle sue opere univa l’approccio realistico-naturalistico con gli elementi del melodramma.

Questa strategia fu giudicata in modo essenzialmente negativo dalla critica tradizionale finlandese e soltanto la ricerca contemporanea è riuscita ad offrire una nuova prospettiva in merito, come dimostrano sia i saggi sugli aspetti di genere nelle opere di Minna Canth sia la mostra Eroi ed eroine della quotidianità, tenutasi nel 2011 nel museo d’arte di Helsinki, l’Ateneum. Le opere della Canth possono essere viste come “melodrammi impegnati” (melodrams of demand) – con questo termine Andrew Nestingen [8] indica i film di Aki Kaurismäki, rappresentante, in questo senso, di una tendenza più ampia nella cinematografia nordica degli ultimi due decenni, della quale fa parte, ad esempio, il regista svedese Lukas Moodyson. [9] Per quel che riguarda l’arte cinematografica, è qui rilevante sia la tradizione nazionale (tra i registi finlandesi noti per i loro melodrammi possiamo citare soprattutto quelli che Kaurismäki prende a modello, vale a dire Valentin Vaala (1909 – 1976 ) e Teuvo Tulio (1912-2000) e, in ambito internazionale, Frank Capra e Douglas Sirk. Il melodramma impegnato cinematografico è, secondo Nestingen, un film storico e specificatamente politico, che rivede le convenzioni del melodramma in modo da porre domande sulla trasformazione sociale, la disoccupazione, il clochardismo, il razzismo e la prostituzione. In un contesto simile, Peter T. Schepelern definisce i film di Kaurismäki delle “allegorie didattiche”,  e sottolinea la tecnica di fusione del melodramma con la critica sociale. [10]

IV.   Gli eroi e le eroine della quotidianità, anti-eroi senza paura e riprovazione

I melodrammi impegnati si incentrano sul destino di personaggi emarginati, sventurati. Nell’ambiente nordico i melodrammi cinematografici classici avevano luogo in campagna; [11]  nella cultura e nell’arte finlandese, l’emarginazione e la vita ai margini della società sono associate anche ai motivi dello sradicamento dalle proprie origini e alla vita clochardesca, che richiamano il tema della migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, l’industrializzazione e l’urbanizzazione della Finlandia, la storia della “fine dei vecchi tempi”, con i quali nell’arte finlandese ci si confronta ancora oggi e che Kaurismäki concepisce come la ricerca del tempo perduto o, meglio ancora, come la creazione di quel tempo. Nella letteratura, nelle rappresentazioni teatrali e nei film finlandesi, lo schema narrativo dell’arrivo in città (Helsinki) di un innocente sempliciotto di campagna e la conseguente caduta morale o di altro tipo presenta una forte somiglianza con le storie di altre culture extra-europee, ma serve anche a pretesto per poter trattare di problemi sociali attuali.

da Wikipedia

In questo contesto, il racconto forse maggiormente conosciuto è Ad Helsinki (1889) del classico finlandese Juhani Aho (1861-1921), tra l’altro autore anche del testo originale da cui Kaurismäki trasse il suo film muto Juha. Aho tematizza la fine dei tempi antichi nel contesto finlandese in varie situazioni e forme, dal comico, al tragicomico e quindi al tragico. Anche se Helsinki, paragonata alle metropoli europee, non dà l’impressione di una grande città nemmeno oggigiorno, l’arrivo dalla campagna finlandese nella capitale, caratterizzata da Kaurismäki come un “colosso terrificante”, può essere letto in modo non soltanto ironico.

Nell’arte finlandese, il motivo delle conseguenze tragiche della migrazione dalla campagna alla città ha dato vita a tutta una gamma di anti-eroi ed -eroine senza fissa dimora (da un punto di vista reale ma anche simbolico), e alla descrizione della loro tragica vita tra le «crepe» della società, incapaci di trovarvi il proprio posto. I «perdenti» di Kaurismäki sono i chiari eredi di questa tradizione, sia che si tratti dei personaggi della «trilogia dei perdenti» della seconda metà degli anni 1980, sia dalla successiva “trilogia finlandese”. Gli emarginati antieroi tragici sono stati i protagonisti centrali dell’arte finlandese fin dal XIX secolo. Non è un caso che tra i vari personaggi dell’“epos nazionale” finlandese, il Kalevala (prima edizione 1835, seconda edizione completa 1849), quella a cui si sono ispirati maggiormente varie generazioni di artisti sia la figura “perdente” di Kullervo, il tragico eroe solitario che finisce per suicidarsi, e che spesso viene visto come l’incarnazione dei lati oscuri della mascolinità finlandese. Nella concezione di Kaurismäki, però, troviamo anche umorismo e iperboliche assurdità, come emerge per esempio nella sua raffigurazione del problema dell’alcolismo, tradizionalmente uno dei più grandi problemi della società finlandese, in particolare degli uomini.

Nonostante l’«alleggerimento» della pesantezza dei temi succitati, nella trilogia dei perdenti ritroviamo onnipresente lo sradicamento inteso sia in maniera concreta sia simbolica: La meccanizzazione del lavoro quotidiano, o per usare le parole di Sakari Toiviainen “L’automatizzazione dell’umanità” [12], è un sintomo specifico di alienazione nella Fiammiferaia, dove Kaurismäki spinge molti dei suoi metodi, incluso il minimalismo, fino quasi all’assurdo.

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In Ariel (1988) viene poi esplicitamente presentato il tema dell’abbandono della campagna e il trasferimento dal Nord povero e pieno di disoccupazione al più ricco Sud della Finlandia. I  protagonisti dei film di Kaurismäki mostrano una resiliente tenacia, la leggendaria sisu finlandese, concetto al quale si è attinto a piene mani nel processo di costruzione della identità nazionale. I suoi film utilizzano, in vari modi, questo ideale “positivo” dell’eroe finlandese, un combattente solitario e tenace, appunto, che fa assegnamento solo su se stesso, mentre nelle rappresentazioni tradizionali finlandesi del XIX secolo anche su Dio, e nei film di Kaurismäki piuttosto sulla solidarietà delle persone vicine.

Kaurismäki stesso osserva che, se non si considera l’ipocrisia della Chiesa, alcuni valori cristiani sono per lui certamente meritori, “ad esempio la compassione e la carità”, come è testimoniato dal monumento all’Esercito della Salvezza che il regista erige nel L’uomo senza passato, dove pone l’accento non tanto sulla dottrina cristiana, quanto piuttosto sui meriti di questa associazione umanitaria nella società finlandese e sugli aspetti nazionali del funzionamento di questo Esercito, come è stato osservato ad esempio da Sanna Peden. [13] Irma, la protagonista che lavora per l’Esercito della salvezza non compie nessun tentativo di convertimento di M alla fede cristiana, ma più volte lo pungola a “mettersi su e farsi animo” – “la grazia di Dio regna nei cieli, ma qui sulla terra bisogna anche essere in grado di aiutarsi da soli”, affermazione che, nel contesto finlandese, può anche essere interpretata come un’esortazione a dar dimostrazione, finalmente, della sisu. A tal proposito, più che eloquente è la seguente dichiarazione di Kaurismäki: “La religione cristiana e io – semplicemente non riusciamo ad andare d’accordo . […] Sono ateo. Ma sono cresciuto in un paese protestante, cosa che probabilmente ha lasciato il segno su di me.” [14] Nelle opere di Kaurismäki troviamo numerosi riferimenti e citazioni biblici, tuttavia l’aspetto trascendente, paragonabile alla visione cristiana del paradiso, è formato da una società solidale costituita da individui ideali. [15] Come è stato più volte osservato, non vi è  traccia di solidarietà politica o ideologica con la “classe operaia” o di considerazioni di rivolta collettiva e cambiamento radicale dell’ordine sociale. I personaggi di Kaurismäki cercano di avere successo nella società secondo le regole in vigore (il film che più evidenzia tale caratteristica è probabilmente Nuvole in viaggio, del 1996 ) e se poi compare il motivo della «rivolta», essa è solitaria e disperata, come nella Fiammiferaia, dove ritroviamo il classico schema di costruzione dell’identità finlandese (in particolare, per quel che riguarda la «rappresentazione del popolo nazionale») che ha una sua lunga tradizione nell’arte finlandese.

L’orgoglio e l’autostima sono le caratteristiche più marcate dei personaggi di Kaurismäki, i quali rifiutano di accettare la “vergogna ereditaria” di coloro i quali, nelle varie generazioni, si ritrovano sui livelli più bassi della scala sociale. I ricercatori che si sono concentrati sullo “studio degli affetti”, i divulgatori di tali ricerche e i giornalisti hanno di recente dibattuto copiosamente sull’importanza cruciale delle varie forme di vergogna e imbarazzo nella cultura finlandese e anche di quelle “specificamente finniche”[16]. I film di Kaurismäki sostengono un dialogo produttivo anche per quanto riguarda questo particolare aspetto della società finlandese.

Un capitolo a parte è quello dell’approccio del regista alle questioni di genere, il che, ovviamente, richiederebbe uno studio a sé. Da una parte troviamo la raffigurazione di personaggi femminili forti, che in tutto e per tutto equivalgono quelli maschili, anzi possiamo perfino sostenere che spesso li oscurino, particolare questo evidente soprattutto nei casi, quasi commoventi, dei “sempliciotti finlandesi” (“финские дураки “, per usare le parole delle protagoniste femminili del film Tatjana), che fungono da illustrazione da manuale del vecchio adagio secondo il quale gli uomini finlandesi “non parlano e non baciano”. Le donne vengono spesso ritratte come attive e dinamiche, sotto tutti i punti di vista; la figura della donna nordica forte e indipendente, così ricorrente nell’arte finlandese, è incarnata soprattutto da Ilona in Nuvole in viaggio, dove però, la soluzione usata da Kaurismäki è stata di forzato ripiego, a causa della prematura morte di Matti Pellonpää e della successiva decisione del regista di sostituirlo nel ruolo principale con la protagonista femminile, interpretata da Kati Outinen. D’altra parte, nel mondo di Kaurismäki, è riscontrabile anche una divisione molto tradizionale dei ruoli e perfino altre stereotipizzazioni: Le donne perbene cucinano e fanno le pulizie, quelle un po’ meno affidabili si truccano e leggono le riviste di moda; gli uomini perbene sono in ogni circostanza colleghi e amici su cui poter contare, gli uomini malvagi sono disonesti e violenti. Nessun personaggio dei film di Kaurismäki sembra essere radicalmente insoddisfatto del proprio ruolo di genere, e nel nostalgico ritratto della società umana non troviamo altre forme di orientamento sessuale se non quelle eterosessuali.

 V. Ricordando la realtà com’era e non è mai stata

Le principali caratteristiche dei film di Kaurismäki, come ad esempio un misto di realismo o naturalismo e melodramma, le ritroviamo sottolineate in vari saggi sul regista, e i critici cinematografici fanno tuttora riferimento alla già citata questione della realtà e della veridicità. Spesso viene sottolineato il fatto che il film Ariel sia dedicato “alla memoria della realtà finlandese” (“suomalaisen todellisuuden muistolle”). In un’intervista con Peter von Bagh [17], così come in altre occasioni, Kaurismäki, interrogato sul significato di questa dedica, sottolinea come la Finlandia agraria, quella della sua infanzia, sia stata sistematicamente eliminata a partire dagli anni 1960; il film Tatjana, secondo le parole dello stesso regista, è il suo addio personale alla Finlandia nella quale è cresciuto, e che, con suo sommo dolore, si è persa per sempre . [18]

Così come gli eroi di Calamari Union (1985), Kaurismäki ha più volte sottolineato la sua impressione di essere arrivato “in ritardo di troppi anni.” “Il progresso è la cosa peggiore che conosca” e “Devo essere una specie di mostro, nato troppo tardi” sono le frequenti dichiarazioni del regista. La dedica o il sottotitolo del film Ariel veniva giustamente interpretato anche come un appunto ironico al fatto che il ricordo degli anni 1980, in Finlandia in genere visti come un periodo di prosperità e di benessere, non veniva concepito in modo univoco dall’intera popolazione finlandese. Relativamente alla problematica succitata concezione delle opere di Kaurismäki come “riflesso della realtà finlandese”, va notato che anche la parola muisto può essere tradotta non solo come un “in memoria”, ma anche come “ricordo” e può essere intesa come un riferimento alla natura artificiale non solo dei ricordi e della memoria in quanto tali, ma di ogni rappresentazione più o meno artistica. Se c’è qualcuno conscio del fatto che il film sia una costruzione estetica, questi è Aki Kaurismäki.

Il modo in cui il regista crea nei suoi film un’immagine anacronistica della Finlandia è stato analizzato più volte: Peter Von Bagh parla della Finlandia di Kaurismäki e di Kaurismäki-Finlandia (“Kaurismäki-Suomi”) [19] , Pietari Kääpä di “Kaurismäki-Landia” [20], Markku Koski [21] e altri di Akilandia, di un mondo stilizzato con i propri valori, creato per lo più con i requisiti scenografici del periodo 1950-1970;  un mondo che ha davvero poco in comune con la cosiddetta realtà storica. Il punto focale di questo mondo è la città di Helsinki, la cui atmosfera la ritroviamo anche nella descrizione kaurismäkiana di tutte le altre città. Come afferma una giovane ricercatrice finlandese, Liisa Aalto, a proposito del realismo nei film di Kaurismäki, “così come il film postmoderno imita apertamente, parafrasa e cita vari stili, Kaurismäki nelle sue opere imita, parafrasa e cita il realismo cinematografico; sceglie alcuni tratti tipici della ‘realtà’, li esagera, o trasporta la ‘realtà’ verso nuovi limiti.” In altre parole, “Kaurismäki imita il realismo con mezzi postmoderni.”  [22]

In contesti simili, altri ricercatori, ad esempio Sakari Toiviainen [23], parlano di neorealismo e, parallelamente alla letteratura, si potrebbe sviluppare una teoria di “postrealismo”, utilizzato nell’analisi della prosa finlandese contemporanea, tra l’altro, a proposito della controversa rappresentazione della classe operaia finlandese nelle opere del classico vivente del romanzo operaio Hannu Salama (1936), il cui lavoro può essere descritto come una sovrapposizione di metodi realisti e postmoderni. Secondo lo stesso Kaurismäki, l’illusione della realtà finlandese perduta, che lui presenta suggestivamente allo spettatore, è soprattutto pastiche e citazione visiva di vecchi film finlandesi. Quasi surreale, poi, è il linguaggio davvero unico utilizzato da Kaurismäki – una sorta di miscela senza tempo di finlandese letterario, arcaico e un po’ strano, che non ha nulla a che fare con gli sforzi di una rappresentazione realistica del modo di parlare dei personaggi della classe operaia, e che risulta piuttosto essere fonte di defamiliarizzazione e di eccentrica comicità.

Nonostante questi processi grazie ai quali il regista crea l’inimitabile complesso dell’Akilandia, nella sua strategia possiamo riscontrare anche il nostalgico desiderio di preservare e mantenere più elementi concreti possibili. Anche sotto questo aspetto, Aki Kaurismäki fa parte del novero di artisti capaci di richiamare in anticipo l’attenzione su questioni delle quali negli anni 1980 si iniziava a discutere pubblicamente. In relazione al film Amleto si mette in affari (1987), Kaurismäki sottolineava come quasi tutti gli esterni usati nel film furono demoliti subito dopo la sua conclusione: “Gli architetti e gli ingegneri si sono levati a difesa di singoli, piccoli edifici, ma non riuscirono ad arrestare la distruzione a tappeto del periodo 1965-1985. Non posso perdonar loro questo insuccesso. Un simile reato non sarebbe potuto essere commesso altrove in Europa.” Naturalmente si potrebbe polemizzare con quest’ultima affermazione, ad ogni modo, Kaurismäki qui fa riferimento al dibattito che andava sviluppandosi in Finlandia negli anni Ottanta, e il cui emblema più tardi divenne il fenomeno chiamato “il morbo di Turku” (“Turun tauti”).

Il rapido sviluppo della società finlandese, la crescita della popolazione nel dopoguerra, la modernizzazione e l’urbanizzazione di una società in precedenza prevalentemente agraria portarono ad un’ondata inarrestabile di costruzioni di spirito funzionalista in vari sensi della parola – sia in termini generali (l’esigenza di abitazioni funzionali, accessibili, nell’ambito dello stato sociale, a più ampi strati della società) e sia per quel che riguarda la famosa scuola di architettura finlandese. I cambiamenti più significativi di questa tendenza toccarono principalmente l’ex capitale finlandese Turku dove si dice che durante il boom imperante di tale trend, vale a dire gli anni 1960 e 1970, ogni anno venissero demolite centinaia di antiche costruzioni. Sebbene la Finlandia non sovrabbondasse nemmeno prima di edifici storici (a causa della breve tradizione urbana, e dell’uso del legno come principale materiale da costruzione) successivamente a questa “ondata di distruzione” il numero diminuì vertiginosamente. [24]

L’ossessione da archivista di Kaurismäki può quindi essere analizzata sotto vari aspetti. Coloro i quali studiano quelli formali dei suoi film (ad esempio Jochen Werner) richiamano l’attenzione sull’ispirazione che il regista trae dalla fotografia, riconducibile, tra l’altro, ai classici della fotografia finlandese del periodo a cavallo del XIX e XX secolo, quando svolse un ruolo importante nella costruzione dell’iconografia del tradizionale stile di vita, delle tradizioni popolari e del paesaggio finlandesi. Tale legame è esplicitato, ad esempio, dai richiami ai lavori di uno dei più famosi fotografi finlandesi I.K. Inha (1865—1930), il quale fu giornalista, scrittore, traduttore e con le sue famose fotografie creò quella che ancor oggi è l’iconografia vivente della provincia orientale della Carelia finlandese, “tesoro” della letteratura popolare e del folklore. Tradizionalmente, il background europeo di Inha nel campo della fotografia e l’ispirazione che trasse nel suo lavoro dai predecessori e contemporanei europei vengono di solito sottolineati soltanto en passant, nel tentativo di presentare il suo lavoro come un’autentica e veritiera testimonianza della “vera finnicità”.

Nel primo decennio del XX secolo, Inha si dedicò anche a cogliere il volto della capitale finlandese che andava modernizzandosi rapidamente. Questo desiderio di archiviazione a futura memoria non esisteva allora, ovviamente, solo in Finlandia, tuttavia, il giovane Stato investì con grande intensità in questa attività: nei primi decenni del XX secolo fu istituita una commissione per preservare il passato di Helsinki e per questo progetto di archiviazione del volto della capitale che andava scomparendo furono assunti vari fotografi, tra cui la famosa Signe Brander (1847—1942). Progetti simili continuarono anche nel corso del XX secolo. Come sottolinea la nota esperta dell’aspetto archivista dell’opera di Kaurismäki, Satu Kyösola, [25] evidenziando i vari edifici di Helsinki che ormai non esistono più e che Aki Kaurismäki sistematicamente “cattura” nei suoi film, possiamo dire che il regista abbia numerosi antenati diretti, che risalgono addirittura al periodo precedente alla nascita della cinematografia.

Per quanto riguarda i dibattiti sul significato di termini come realismo, archiviazione e nostalgia, la stessa Satu Kyösola [26] considera una scena del film Tatjana come l’esempio per eccellenza (1994): una delle protagoniste del film, l’automobile Volga nera, che trasporta i personaggi principali, compreso “il bevitore cronico di caffè” Valto (Mato Valtonen, il quale immagina l’intera scena), sfonda la vetrina di un caffè retrò, dove è possibile scorgere nel televisore del locale una band inglese famosa in Finlandia negli anni 1960,  “The Renegades”. Il motivo del vetro (quello rotto della vetrine e quello dello schermo TV), che può riflettere, collegare e separare, offre una vasta gamma di opportunità per ponderare sulla realtà del film di Aki Kaurismäki così come sulle rappresentazioni della realtà, dei sogni, delle idee, delle immagini e dei ricordi in generale, che da sempre sono oggetto di riflessione nei film e nelle arti, non soltanto visive.

Kyösola interpreta la scena come risultato di un sogno ad occhi aperti di Valto, l’illusione rotta è “invetrata”, in altre parole, è circondata da un muro impenetrabile che protegge i ricordi / i costrutti del passato, mentre lo schermo televisivo sottolinea la distanza insormontabile tra il presente e il passato. E non sarebbe Kaurismäki, se anche in questa la scena il regista non si spingesse ancora più in là, salendo ad un livello successivo: Valto ordina un “caffè piccolo” e il flemmatico cameriere / proprietario libera il bancone spostando rumorosamente le schegge della vetrina e disturbando così l’ascolto del concerto dei Renegades; a quel punto Reino (Matti Pellonpää) si sporge dal finestrino e intima: “Silenzio, ci sono i rocker che suonano”.

Giocando con i vari simboli della rappresentazione, che Henry Bacon descriveva come “poetica del dislocamento” (displacement poetics, “sijoiltaan olon poetiikka”) [27] Kaurismäki caricaturizza e mette in evidenza la realtà finlandese. Nei suoi melodrammi impegnati Kaurismäki, già durante gli anni 1980, con brillante intuizione sottolinea i problemi e le questioni che la società finlandese ha iniziato a dibattere solo successivamente sia nei forum pubblici sia in quelli accademici. I film di Kaurismäki conducono un dialogo con la tradizione culturale finlandese ed extrafinnica, nell’ambito del quale il regista è riuscito, per citare Pietari Kääpä, a “trascrivere” le specificità culturali finlandesi in un linguaggio cinematografico capace di parlare al pubblico di tutto il mondo, riuscendo però ad evitare il “nazionalismo banale”, sempre causa di incomunicabilità e trasferimento di opere artistiche in contesti culturali diversi da quelli di origine. [28] Questo dialogo è multiforme, paradossale ma sicuramente prolifico e mostra tra l’altro la necessità di una rivalutazione radicale della dicotomia “finlandese” e “non finlandese” e di molte altre antitesi simili. Kaurismäki, inoltre, ci permette di guardare in nuovo modo ai classici della letteratura europea e finlandese, e, grazie alle sue trascrizioni originali, ci spinge a riconsiderare del tutto anche i paradigmi interpretativi.

[1] Lyytikäinen, Pirjo 1999. Birth of a Nation. In Lehtonen, Tuomas M. S. 1999: Europe’s Northern Frontier. Perspectives of Finland’s Western Identity. Jyväskylä: PS-KUSTANNUS, 164.

[2] Lacey, Liam 2011. Kaurismaki’s ‘Le Havre’ serves up trademark wit – on a baguette’. Available at: http://www.theglobeandmail.com/news/arts/movies/kaurismakis-le-havre-serves-up-trademark-wit-on-a-baguette/article2025494/

[3] Klinge, Matti 1990. Let Us Be Finns. Helsinki: Otava.

[4]  Chauvin, Jean Sebastian 2001. ’Le roi vagabond’. Cahiers du cinéma Nov. (573): 70–73. Citato in Kääpä, Pietari 2004. The Working Class Has No Fatherland: Aki Kaurismäki’s Films and the Transcending of National Specificity. In Nestingen, Andrew 2004: In Search of Aki Kaurismäki: Aesthetics and Contexts. Special Issue of Journal of Finish Studies, 83 /77–95/.

[5] Si veda, ad esempio, Parente-Čapková 2006: ‘Finská literatura’. In Humpál, Martin, Kadečková, Helena, Parente-Čapková, Viola, Moderní skandinávské literatury 1870–2000. Praha: Karolinum, 446–448.

[6] Puukko, Martti 2000. Keskustelu Aki Kaurismäen kanssa. Parnasso (4), 469.

[7]  Lyytikäinen, Pirjo. ‘Birth of a Nation’. In Lehtonen, Tuomas M. S. 1999: Europe’s Northern Frontier. Perspectives of Finland’s Western Identity. Jyväskylä: PS-KUSTANNUS, 164. 

[8]  Nestingen, Andrew 2008. Crime and Fantasy in Scandinavia. Fiction, Film and Social Change. Seatle & London: University of Washington Press; University of Copenhagen: Museum Tusculanum Press.

[9] Il regista svedese Lukas Moodyson (1969) famoso nel genere del “melodramma impegnato” sia per il film che parla dell’amore tra due ragazze in una città di provincia svedese, Fucking Åmål (1998), sia soprattutto per il film Lilja 4-ever (2002), la tragica storia del traffico sessuale di una ragazza dell’ex Unione Sovietica, venduta in Svezia come schiava, dove il tema dei senzatetto e senza fissa dimora è in ironico contrasto con l’immagine tradizionale stereotipata della Svezia come di un paradiso sociale, la “casa per tutti” (folkhemmet, letteralmente “la casa del popolo / della nazione”).

[10]  Schepelern, Peter 2010. The Element of Crime and Punishment: Aki Kaurismäki, Lars von Trier and the Traditions of Nordic Cinema. Journal of Scandinavian Cinema (1): 1, 99.

[11] Sulle caratteristiche del melodramma rurale del Nord (rural melodrama) si veda, ad esempio, Andrew Nestingen (2008: Crime and Fantasy in Scandinavia. Fiction, Film and Social Change. Seatle & London: University of Washington Press; University of Copenhagen: Museum Tusculanum Press); come anche Anu Koivunen 2003. Performative Histories, Foundational Fictions. Gender and Sexuality in Niskavuori Films. Helsinki: Finnish Literature Society, Studia Fennica Historica 7.

[12] Toiviainen, Sakari 2004. The Kaurismäki Phenomenon. Translated by Lola Rogers. In Nestingen, Andrew (ed.): ‘In Search of Aki Kaurismäki. Aesthetics and Contexts’ 28, cit. L’articolo è una versione riveduta del capitolo ‘Kaurismäki-ilmiö’ dell’opera di Sakari Toiviainen, Levottomat sukupolvet. Uusin suomalainen elokuva. Helsinki: Suomalaisen Kirjallisuuden Seura 2002.

[13] Peden, Sanna 2007. Soup, soap and national reawakening: the ambiguous role of the salvation army in The Man without Past (2002). Wider Screen 2/2007. http://www.widerscreen.fi/2007-2/soup-soap-and-national-reawakening-the-ambiguous-role-of-the-salvation-army-in-the-man-without-past/

[14] Werner, Jochen 2005. Aki Kaurismäki. Mainz: Bender, 328.

[15] Si veda ad esempio Myllylahti, Eevi 2008 Identiteetin sakralisaatio Aki Kaurismäen Suomi-trilogian elokuvissa. Pro gradu–tutkielma, Uskontotiede, Turun yliopisto, 81.

[16] Kainulainen, Siru & Parente-Čapkova, Viola (eds) 2011. Häpeä vähän! Kriittisiä tutkimuksia häpeästä. Turku: Utukirjat, Turun yliopisto.

[17] Von Bagh, Peter 2006. Aki Kaurismäki. Helsinki: WSOY, 64

[18] Citato in Toiviainen, Sakari 2002, ”Kaurismäki-ilmiö”. In Toiviainen, Sakari, Levottomat sukupolvet. Uusin suomalainen elokuva. Helsinki: Suomalaisen Kirjallisuuden Seura, 91; si veda anche Toiviainen, Sakari 2004. The Kaurismäki Phenomenon. Translated from Finnish by Lola Rogers. In Nestingen, Andrew (ed.): In Search of Aki Kaurismäki. Aesthetics and Contexts. cit., 27, 29, 38.

[19] Ad es. Von Bagh, Peter 2006. Aki Kaurismäki . Helsinki: WSOY.

[20] Kääpä, Pietari 2004. The Working Class Has No Fatherland: Aki Kaurismäki’s Films and the Transcending of National Specificity. In Nestingen, Andrew (ed.): ‘In Search of Aki Kaurismäki. Aesthetics and Contexts’ cit., 81.

[21] Ad es. Koski, Markku 2002. ’Romantiikkaa, nostalgiaa vai melankoliaa’. Filmihullu 2/2002.

[22] Aalto, Liisa 2004. Akilandian utopia. Aki Kaurismäen „yhteiskunta“ ja tyyli kolmen työläisrepresentaation kautta tarkasteltuna. Pro gradu -tutkielma, Taiteiden tutkimuksen laitos, Turun yliopisto, 19 e altro.

[23] Toiviainen, Sakari‚ The Kaurismäki Phenomenon, cit.

[24] Si veda ad esempio Klami, Hannu Tapani 1982. Turun tauti. Kansanvallan kriisi suomalaisessa ympäristöpolitiikassa. Helsinki: WSOY.

[25]  Kyösola, Satu 2004. The Archivist’s Nostalgia. Translated from French by Lonnie Rentereia. In Nestingen, Andrew (ed.): ‘In Search of Aki Kaurismäki. Aesthetics and Contexts’ cit.

[26] Kyösola, Satu 2004. The Archivist’s Nostalgia. Translated from French by Lonnie Rentereia. In Nestingen, Andrew (ed.): ‘In Search of Aki Kaurismäki. Aesthetics and Contexts cit., 53.

[27] Bacon, Henry 2003. Aki Kaurismäen sijoiltaan olon poetiikka. In Ahonen, Kimmo et al. (eds): Taju kankaalle: Uutta suomalaista elokuvaa paikantamassa. Turku: Kirja-Aurora.

[28] Kääpä, Pietari 2004. ‘The Working Class Has No Fatherland: Aki Kaurismäki’s Films and the
Transcending of National Specificity’. In Nestingen, Andrew (ed.): ‘In Search of Aki Kaurismäki’ cit.

Questa è una versione riveduta e aggiornata del saggio  “Kaurismäkiho Akilandie” di Viola Parente-Čapková, pubblicato in Aki Kaurismäki: Světla soumraku, Kamila Boháčková (ed.), Casablanca, Praha 2011, 30-53.

(Questa è una versione riveduta e aggiornata del saggio “Kaurismäkiho Akilandie” di Viola Parente-Čapková, pubblicato in Aki Kaurismäki: Světla soumraku, Kamila Boháčková (ed.), Casablanca, Praha 2011, 30-53)

(Foto del titolo: SPUTNIK)

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