“Come posso mostrare a qualcuno i miei sentimenti se sono illegali e peccaminosi?” chiede l’eroina della trilogia Memesa (2004-2008), una ragazza attratta da altre ragazze. La prima opera di un’autrice roma finlandese è anche il primo romanzo sull’esperienza di una donna con un’identità lesbica nel contesto del ceppo Kàlo dei Roma finlandesi. “La Finlandia ha da tempo attuato la politica di tacere delle abitudini culturali, o almeno dei loro problemi”, leggiamo nel romanzo IrtiottoXXX (RotturaXXX, 2018), al momento, la più recente opera letteraria di Kiba Lumberg (Kirsti Leila Annikki Lumberg, 1956 -), artista versatile, nota come designer, romanziera e fumettista.
Come negli altri movimenti di emancipazione (ad esempio, quello degli afroamericani, o, in Finlandia, dei Sámi), anche nei movimenti di emancipazione roma iniziarono a un certo punto a farsi sentire le voci delle donne che sottolineavano come la loro posizione nella comunità specifica fosse basata sul genere e, quindi, molto diversa da quella degli uomini.
Il primo grande dibattito sulla posizione delle donne in una minoranza etnica in Finlandia si svolse grazie al movimento di emancipazione dei Sámi negli anni ‘80 e ‘90 del XX secolo, e nel 2013 fu pubblicato Queering Sápmi, nel quale vari protagonisti sámi non eterosessuali raccontano la storia della loro vita. Nell’ambito della minoranza roma finlandese, sia il dibattito femminista sia quello queer sono stati condotti negli ultimi due decenni parallelamente grazie a Kiba Lumberg.
I Roma finlandesi e “l’alterità interna”
L’opera della Lumberg tematizza la questione dell’alterità e della marginalizzazione multipla su più livelli. Come altre scrittrici roma, esprime quella che Paola Toninato definisce “una sorta di coscienza multipla”, la consapevolezza della marginalizzazione della donna roma e l’esclusione dal gruppo dominante così come dal suo stesso gruppo etnico.”
Kiba Lumberg nasce a Lappeenranta, città della Finlandia orientale, in una famiglia di Roma finlandesi Kàlo, residenti principalmente in Finlandia e Svezia. I Kàlo arrivarono in Finlandia dalla Svezia nel XVI secolo, e fino al XX secolo vissero uno stile di vita nomade ai margini della società, cosa che Kiba Lumberg ebbe modo di sperimentare durante la sua infanzia nella Finlandia orientale. La posizione dei roma nella società (finlandese) può essere teorizzata grazie al concetto di “alterità interna” (the other within oppure domestic other) sviluppato da Jonathan Boyarin rifacendosi allo status degli Ebrei e alla minoranza roma così come applicato, ad esempio, da Deborah E. Nord nel contesto britannico. Si tratta dell’atteggiamento della maggioranza della popolazione nei confronti delle minoranze, percepite come straniere ed esotiche. Tale “alterità interna” è esoticizzata e demonizzata in modo simile all’alterità del geograficamente distante (ad esempio, l’alterità della popolazione coloniale nel caso di nazioni con un simile passato), ma è specifica per la sua vicinanza fisica.
In Finlandia, come altrove, troviamo la rappresentazione della “alterità interna” in relazione ai Roma principalmente nella letteratura del XIX secolo, dapprima in svedese e successivamente anche in finlandese. Le rappresentazioni dei Roma di quel periodo, ovviamente, appaiono nelle opere di autori di origine non roma, e sono legate al processo di risveglio nazionale finlandese, al quale la letteratura finlandese del XIX secolo contribuì, tra le altre cose, costruendo i prototipi della “finnicità”.
Nei tipi (stereotipi) dei personaggi “zingari”, gli autori proiettavano i loro desideri e le loro paure di una alterità demonizzata e fortemente sessualizzata, naturalmente connotate dal genere: “lo zingaro” è il “buon selvaggio”, “figlio della natura”, mentre “la zingara” è una strega-danzatrice animale, allo stesso tempo affascinante e ripugnante.
Danzatrice è anche la più famosa, e possiamo dire la più interessante, “zingara” della letteratura finlandese del XIX secolo, la ragazza Homsantuu dal dramma Työmiehen vaimo (La moglie dell’operaio, 1885), ad opera della drammaturga finlandese Minna Canth.
Homsantuu è solo per metà di origini roma, e usando la terminologia odierna potremmo definirla il tipico personaggio ibrido con costanti problemi di identità: vive ai margini del proletariato urbano che fa da sfondo alla storia, ma è incapace di inserirsi nella comunità “zingara” che incontra nel corso del dramma. Dopo un tentativo fallito di uccidere l’amante traditore, quando viene arrestata per soddisfare la legge e la giustizia, pronuncia una delle repliche più rivoluzionarie che risuonarono nei teatri finlandesi di fine XIX secolo: “La vostra legge e la vostra giustizia, quelle avrei dovuto uccidere!”
Gli autori roma in Finlandia
Come per le letterature di altre minoranze, che sono riuscite a prendere la parola relativamente di recente grazie all’autoraffigurazione, anche nella letteratura scritta dai Roma finlandesi troviamo molti stereotipi rappresentativi della loro comunità, dei loro costumi e i dei loro rappresentanti individuali. È una questione interpretativa se considerare questi stereotipi “riciclati” in modo creativo e sovversivo, ad esempio ironicamente o addirittura parodicamente, o se gli autori roma a volte non riescano soltanto a sottrarsi alla loro forza. In Finlandia, gli autori roma esordiscono sulla scena letteraria nella seconda metà del XX secolo, come Veijo Baltzar (1942), a lungo percepito come portavoce dei roma finlandesi, e ultimamente anche oggetto di scandalo.
Negli ultimi decenni sono comparsi altri nomi di spicco, come Armas Lind (1927), un attivista la cui vita è stata segnata da un importante avvenimento della storia del XX secolo: l’evacuazione della popolazione finlandese dalla provincia orientale della Carelia, in gran parte passata all’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, e l’emigrazione di molti finlandesi in cerca di lavoro in Svezia negli anni ‘60 e ‘70.
Lind pubblicò un romanzo di tono autobiografico, Caleb. Romanipojan evakkotaipale (“Caleb. Evacuazione di un ragazzo roma”), ritenuto un documento unico sulle esperienze dei Roma della Carelia durante, appunto, il periodo dell’evacuazione. Il romanzo fu pubblicato in svedese nel 2004 (in finlandese solo nel 2010). Come i primi romanzi di Baltzar, anche questo di Lind rivela caratteristiche tipiche della letteratura delle minoranze etniche: contestualizza lo sviluppo del personaggio principale (o dei personaggi) con il destino di tutta la famiglia (o delle famiglie), testimonia il razzismo e le ingiustizie a cui è esposta la minoranza roma e la loro emarginazione su più livelli; il tutto, dal punto di vista maschile. Tale è anche il romanzo Miehen tie (La via dell’uomo, 2008) di Rainer Friman (1958 -), che offre al lettore la storia della gioventù romaní sullo sfondo di un’analisi acuta e critica della società finlandese.
Dopo Memesa, hanno visto la luce altre pubblicazioni basate sull’esperienza di una ragazza e giovane donna roma: un anno dopo Samettiyö, uscì Käheä-äääninen tyttö (Una ragazza dalla voce rauca, 2009) un libro per metà autobiografico e per metà documentaristico di Riikka Tanner e Tuula Lind. L’opera racconta della vita di Tuula Lind sullo sfondo storico dei Roma evacuati dalla Carelia negli anni ’40, e descrive la dura realtà dei bambini romaní sistemati negli orfanotrofi ed esposti all’assimilazione forzata. Il motivo del ruolo opprimente dell’abito roma, sia simbolicamente sia concretamente, appare anche nella storia della vita di Lind, quando lei indossa l’abito tradizionale romaní e trascorre un’intera giornata da “vera zingara”: “Ci volle quasi mezz’ora per vestirsi. Ci si abitua a questa veste? Pensai, in parte ansiosa.” – “… già la sera stessa presi la decisione finale; non indosserò mai più gonne gitane.”
Memesa: liberarsi dalla gonna zigana
Nella trilogia Memesa ritroviamo temi simili, anche se scritti sotto forma di fiction (anche i nomi dei protagonisti sono cambiati). La trilogia segue il destino di una ragazza roma dalla prima infanzia all’età adulta: all’inizio del primo romanzo, Memesa ha cinque anni e alla fine dell’ultimo, il personaggio principale è una quarantenne.
Cresce in una famiglia roma di Lappeenranta, nella Finlandia orientale, e la sua infanzia e adolescenza sono segnate dalla violenza che lei stessa subisce e vede intorno a sé. Sebbene questa violenza prenda anche la forma di scontri tra uomini o donne adulte, per la maggior parte si tratta di violenze maschili contro le donne: il padre picchia la madre, il fratello maggiore picchia Memesa e la sorella di Memesa, che subisce violenza all’interno del matrimonio, è sottoposta al giudizio delle donne roma più anziane, tra cui la madre della protagonista, le quali concordano sul fatto che “questo è il destino delle zingare”. Tuttavia, ci sono anche “rinnegati”, come la zia di Memesa, la quale sostiene la convinzione della protagonista che l’unico modo per evitare la vita a cui è destinata una ragazza all’interno della comunità roma è quello di abbandonare la comunità stessa. Memesa è fisicamente forte e in grado di difendersi, ma crede di non essere comunque capace, alla fine, di sfuggire il destino di moglie roma maltrattata. Alla fine del primo romanzo, dopo aver letteralmente graffiato gli occhi di un roma che la molesta sessualmente, scappa di casa.
“Se dovessi indossare quella gonna zigana […], non sopravviverei. Mai. Anche nella morte c’è liberazione, nella schiavitù morirei viva, e non lo voglio”, dichiara Memesa alla polizia, all’inizio del secondo romanzo, supplicando di non essere rimandata a casa e di essere invece portata in un istituto per l’infanzia. Anche lì, tuttavia, sarà testimone di violenze psichiche e fisiche, come descritto anche nel libro succitato della Lind. Memesa dimostrerà, di nuovo, di essere in grado di affrontarle e di sapersi prendere cura di se stessa, oltre a resistere ogni tentativo della famiglia e degli altri membri della comunità roma di riportarla “dove appartiene”. Crescendo, Memesa riesce a risanare alcune delle sue ferite, inizia a lavorare e diventa pienamente consapevole del suo orientamento sessuale, ma rifiuta di ammetterlo. Nonostante gli sforzi per essere “normale” e per avere relazioni con gli uomini, si innamora delle ragazze della zona. E inoltre si rafforzano le sue inclinazioni artistiche.
Nella terza parte, Memesa studia alla Scuola d’arte applicata e diventa un’artista alla ricerca di se stessa nel suo lavoro creativo e attraverso i legami, per lo più infelici. Tende ad innamorarsi di donne bisessuali che alla fine la abbandonano scegliendo l’uomo. Mentre è in viaggio di studio in Jugoslavia, dove fa la conoscenza della cultura roma locale, un drammaturgo roma, desideroso di sposare una occidentale, cerca inutilmente di sedurla. Memesa si rende conto che la gerarchia dell’alterità è ancora più complicata di quanto pensasse. Il padre di Memesa muore e, nell’ultima parte del romanzo, la successiva partecipazione alla Biennale di Venezia e altri successi creativi si fondono con la straziante peripezia di una fatale e squilibrata relazione con una donna di nome Helena-Marie. Alla Biennale, Memesa espone un’opera, una installazione che richiama la Farfalla nera di Kiba Lumberg: una gonna lunga di pizzo, parte del costume tuttora indossato dai Roma Kàlo, con un coltello che la tiene inchiodata alla tavola di legno con le sbarre. Ancora una volta, torniamo al simbolo della “gonna zingara” come uniforme da prigioniera, come la definì la piccola Memesa dopo la sua fuga da casa. Per l’intera sua vita da adulta, Memesa cerca di risolvere i rapporti con le sue origini e radici roma e con la comunità con cui aveva rotto i rapporti. La fine del romanzo può essere letta nel contesto delle reazioni negative e delle minacce da parte dei Roma finlandesi, provocate dall’opera di Kiba Lumberg.
Stile particolare e temi scomodi
Nella sua recensione di Notte di velluto, la studiosa finlandese Päivi Koivisto critica lo stile del romanzo, che “non offre [al lettore] molto diletto”. Una eccessiva successione di frasi concise e troncate; il linguaggio colloquiale dei personaggi roma non sembra autentico, a parte il dialogo in dialetto careliano. Koivisto si domanda anche come il lettore debba reagire alla descrizione dei Roma da parte della Lumberg, la quale fa uso di tutti gli stereotipi interiorizzati dalla popolazione maggioritaria, ed esprime un interesse a trovare una scrittrice roma che non abbia reciso i legami con la propria comunità. E aggiunge, tuttavia, che secondo le interviste della Lumberg, questo è improbabile che accada, poiché, nella comunità roma, le donne sono costrette al silenzio.
Per un critico letterario formatosi secondo la maniera europea e occidentale di affrontare la letteratura, è difficile non concordare, almeno in parte, con le critiche della Koivisto. Lo stile della Lumberg e la composizione dei suoi romanzi (in particolare di Notte di velluto) non sono uniformi. Tutto ciò dimostra l’imbarazzo tipico della critica nei confronti della questione della “qualità letteraria” della scrittura roma, un problema ben noto dai numerosi dibattiti nell’ambito degli studi letterari postcoloniali e degli studi indigeni, come anche dal dibattito circa la letteratura etnica.
Secondo Karolína Ryvolová, “I testi degli autori roma non somigliano alle opere della popolazione maggioritaria, il che confonde il lettore portandolo ad interpretare la cosa come un segno di dilettantismo [ma] questo [le diverse qualità della scrittura roma] è proprio il motivo per cui questa giovane letteratura è così forte e affascinante”. Sempre la Ryvolová, ne spiega in maggior dettaglio le caratteristiche: “La produzione letteraria roma presenta a prima vista una certa “diversità”. Conserva alcuni elementi orali, di solito non associati all’espressione letteraria. La narrazione è di solito lineare, con un frequente uso del dialogo, le frasi semplici sono preferite alle frasi complesse. Un elemento importante è quello dell’allusione e dell’ellissi. […] Non possiamo generalizzare in nessun modo, nessun testo di uno scrittore roma presenta tutte queste caratteristiche; e ciò che è molto importante, naturalmente, è la lingua dell’originale. Ma poiché la scrittura letteraria non manifesta molte ispirazioni ad autori roma precedenti, e poiché tutti gli autori sono autodidatti, a volte possono presentare differenze e diversificazioni nuove e completamente inaspettate”.
In termini di caratteristiche di genere, la trilogia di Memesa è un tipico bildungsroman, che traccia lo sviluppo dell’eroe o eroina dall’infanzia all’età adulta (anche con la sua variante, il romanzo sull’artista, in questo caso donna) con molte caratteristiche autobiografiche, come ha sottolineato l’autrice stessa. Più precisamente, si tratta di un bildungsroman femminista (lesbico / queer), ma anche di un romanzo su una artista: il tema della ricerca dell’identità, la non convenzionalità del personaggio principale, il modo in cui sfugge le norme della sua comunità, il motivo della fuga da essa sono costanti di questi generi, tra cui “l’etnoautobiografia” di autrici di minoranze etniche. Nel contesto nordico, a questo proposito, possiamo ricordare gli autori sámi e la scrittrice finno-estone Sofi Oksanen.
Come osservato dalla studiosa finlandese Päivi Lappalainen, la trilogia Memesa mostra, oltre alle caratteristiche dei tipi di romanzo succitati, anche quella dei libri per l’infanzia. Come sottolinea Lappalainen, il motivo della ragazzina “mashiaccio” (Memesa), è il motivo di una bambina solitaria, incompresa da quelli che la circondano (controbilanciati dai personaggi delle donne roma non convenzionali, come la stessa Memesa, alle quali lei funge da modello) e anche il motivo del fuggire via di casa e le pratiche del realismo magico (come le conversazioni con la nonna Emilia, morta da tempo) sono convenzioni ben note nella letteratura per l’infanzia e nei romanzi per ragazzi. Le descrizioni della violenza, spesso di natura sessuale, sono in parte estranee alle forme tradizionali del genere, sebbene in particolare la letteratura nordica infantile sia rinomata per il fatto di non evitare i toni più cupi della vita dei giovani e degli adulti, anzi di affrontarli spesso apertamente.
La riflessione sulle convinzioni letterarie, non solo di genere, chiaramente evidente nella trilogia, spinge il lettore all’eterna questione emergente nelle letterature delle minoranze etniche: nell’interpretazione di testi del genere, quanta enfasi debba essere posta sulle convenzioni e sugli stereotipi usati dai loro autori, come anche se sia appropriato considerare i singoli personaggi ed elementi dell’opera come fenomeni intertestuali o addirittura, usando la terminologia della teoria letteraria, quali segni distaccare dai loro referenti o da ciò a cui si riferiscono nel “mondo reale”. Tali letture, comuni nella pratica accademica, sono poli opposti delle interpretazioni che prevalgono tra il vasto pubblico di lettori, che spesso va concentrandosi su parallelismi diretti con ciò che accade nel mondo esterno, vale a dire, con quale livello di “verità” l’opera ritrae la realtà.
Così fu anche nel caso della ricezione della serie televisiva della Lumberg Tumma ja hehkuva veri (“Sangue scuro e caldo”, 1997-98), che fu poi adattata nel 2013 in un musical di successo, sia per pubblico sia per critica, andato in scena al teatro di Helsinki Savoy. Nella sua critica alla struttura patriarcale dei Kàlo finlandesi, la serie per molti versi lascia presagire la trilogia Memesa. La comunità roma disapprovò bruscamente l’opera, e in occasione della replica della serie televisiva, si scatenarono su internet dibattiti sulla credibilità della rappresentazione della vita della comunità Kàlo e sull’(in)adeguatezza del “lavare i panni sporchi” di questa comunità chiusa “in pubblico”, vale a dire davanti agli occhi della maggioranza. Tuttavia, come sottolinea Kiba Lumberg già nelle interviste degli anni ‘90, le sue opere riguardano principalmente la maggioranza della società, descritta, tra l’altro, molto criticamente sia attraverso la rappresentazione degli “zingari” / roma nella letteratura del XIX secolo, sia più recentemente nella trilogia Memesa; la voce narrante della trilogia della Lumberg demistifica sistematicamente la reputazione di varie istituzioni finlandesi, come la scuola, gli istituti di assistenza per l’infanzia e gli anziani, gli ospedali, e persino la polizia, vale a dire quelle istituzioni che esercitano potere sui marginalizzati, come le minoranze etniche ma anche i bambini, i malati, i vecchi e i disabili. La narrazione della Lumberg prova a presentare un’immagine chiara e imparziale di chi opera in queste istituzioni, appartenente alla maggioranza della popolazione. L’eroina Memesa si trova a fronteggiare varie prepotenze, compreso il bullismo, quando ospite di tali istituzioni, che sono, però, anche il luogo dove la protagonista riesce ad avere incontri positivi, come, ad esempio, l’incoraggiamento ricevuto dalla sua insegnate in Farfalla nera. Attivista che lotta per i diritti di tutti coloro che non hanno l’opportunità o la forza di difendersi, la Lumberg si ricollega alla linea del summenzionato classico finlandese Minna Canth, e la figura di Memesa può essere vista come l’erede del personaggio ibrido Homsantuu.
Qualunque stereotipo e convenzione siano stati usati dalla Lumberg, e sebbene non offra un approccio letterario formalmente innovativo dal punto di vista critico, il lettore dei suoi testi esperisce un senso di urgenza e autenticità. Oltre alla possibile esperienza della “lettura di una storia” (sebbene semplice, per qualcuno), il libro presenta anche qualità essenziali non letterarie. Introdurre il tema dell’identità lesbica nella popolazione roma è stato un atto di grande audacia, specialmente nell’ambiente d’origine della Lumberg. Con lo stesso coraggio, l’autrice confronta anche gli stereotipi della società finlandese apparentemente progressista.
Nel suo ultimo romanzo, IrtiottoXXX, la Lumberg continua la sua critica: questa volta si concentra sulla vita culturale, in particolare sul tema della censura e del nepotismo nelle istituzioni culturali finlandesi e sulla stampa. L’artista Memesa, “in parte romaní” appare nel libro come un personaggio secondario, un’amica della protagonista-narratrice Nina, una giornalista che ha perso il lavoro dopo aver denunciato “argomenti scomodi” in modo “scomodo”, e alla fine è anche la stessa Memesa a doversi allontanare dalla Finlandia. La storia è ambientata in Italia, già presente in Samettiyö, quando Memesa, già da adulta e artista, si reca alla Biennale di Venezia. Questa volta il palcoscenico degli eventi rappresentati nel romanzo è un paesino italiano di montagna, dove Nina trova rifugio, in cerca di una nuova vita. “Quale donna può non voler tornare a casa? Ci sono forse più persone che vogliono cercarsi una nuova casa e lasciarsi la Finlandia alle spalle?”, si legge alla fine della storia di Nina. L’ultimo lavoro di Lumberg apre un nuovo capitolo della sua carriera letteraria. (Trad. it. di Antonio Parente)
Fonti primarie
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Lumberg, Kiba (2018), IrtiottoXXX. Tampere: Mediapinta.
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Fonti secondarie:
Kauranen, Ralf, Parente-Čapková, Viola & Vuorinne, Anna (upcoming), Escapes of a “Mad Artist”: Intersectional Identities in Kiba Lumberg’s Comics. Approved for the volume Hertrampf, Marina. Ortrud, von Hagen, Kirsten (eds) Selbst- und Frembilder von Roma in Comic und Graphic Novel: Vom Holocaust bis zur Gegenwart,München: Akademische Verlagsgemeinschaft München.
Koivisto, Päivi (2008), “Taiteilija, kapinallinen”. Kiiltomato 24 Nov. 2008. http://www.kiiltomato.net/kiba-lumberg-samettiyo/
Lappalainen, Päivi (2012), “Haluan löytää oman tähteni” [“I Want to Find My Own Star”], in: Kurikka, Kaisa/Löytty, Olli/Melkas, Kukku/Parente-Čapková, Viola (eds): Kertomuksen luonto [The Nature of Narrative], Jyväskylä: Jyväskylän yliopisto [Nykykulttuurin tutkimuskeskuksen julkaisuja 107], 177–186.
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Ryvolová, Karolína (2017), “Literatura Romů může lidi sbližovat”. Blog “Hatefree”, Lukáš Houdek 21 April 2017. https://www.hatefree.cz/blo/rozhovory/2117-karolina-ryvolova
Toninato, Paola (2014), Romani Writing. Literacy, Literature and Identity Politics. New York & London: Routledge.
(Foto del titolo di Crista Lassfolk-Feodoroff)