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Anna Soudakova: Cosa vedono i pini

All’interno delle minoranze ‘tradizionali’, gli scrittori rom finlandesi, in precedenza rappresentati da Veijo Baltzar (n. 1942), hanno trovato una fine osservatrice della loro comunità nella scrittrice, artista e fumettista Kiba Lumberg (n. 1956), autrice della Memesa-trilogia (2004-2008). Finnofona è anche la palestino-finlandese Umayya Abu-Hanna (n. 1961), mentre, d’altro canto, la letteratura della minoranza russa va sviluppandosi principalmente in russo, a parte poche eccezioni come la svedofona Zinaida Lindén (n. 1963). Hassan Blasim (n. 1973), regista e scrittore iracheno di lingua araba residente in Finlandia, ha vinto diversi premi letterari con opere tradotte in inglese (per es., Iraqui Christ, 2013). Con la presenza sempre maggiore di autori di origine non finnica, anche la nozione di ‘letteratura finlandese’ viene ormai a perdere il significato di letteratura nazionale.

Anna Soudakova (nata in Russia nel 1983) è una di quegli autori finnofoni che mette in discussione il termine di letteratura nazionale, essendo originaria di San Pietroburgo, ed essendo arrivata in Finlandia (Turku) da bambina. L’estratto che qui presentiamo, il capitolo “Conto alla rovescia” (Lähtölaskenta) è tratto dal romanzo Cosa vedono i pini (Mitä männyt näkevät), una storia familiare da cui si dipartono varie linee di racconto, che hanno nella figura del nonno il catalizzatore degli eventi. Una storia di persecuzioni e dislocazioni quanto mai attuale.

(Dalla voce di aggiornamento al lemma Letteratura finlandese dell’enciclopedia Treccani, scritta da Viola Čapková)

Anna Soudakova, da helmet.fi

Conto alla rovescia

da “Cosa vedono i pini” (Mitä männyt näkevät) Atena 2020

Clinica universitaria di Turku, 27 agosto 2012

Dopo aver percorso nella penombra l’interminabile corridoio del reparto, la stanza d’ospedale assomiglia per un attimo al cielo nei film hollywoodiani. Inondata dalla luce della tarda primavera, acceca il visitatore. Lentamente, inizio a distinguere il dispositivo col disinfettante sulla parete, le testiere curve dei lettini, le sedie di legno in attesa di essere occupate. Il televisore fissato al soffitto mostra un talk show senza voce. L’odore caratteristico della biancheria da letto lavata col detersivo asettico penetra nelle narici.

Due anziani siedono sui lettini di fronte, e agitano i piedi nei calzini forniti dall’ospedale. La vivace conversazione si interrompe quando entriamo.

“Ma guarda. Sangue fresco e bellezza! Che meraviglia!”

Mamma e nonna sorridono, facendo un cenno di saluto. Salve. Come se avessero capito quello che dicevano. So per certo che non è così. Le loro menti sono rivolte altrove –  dietro quella tenda, nel letto accanto alla finestra. Tum, tum, tum.

I due continuano a parlare mentre passiamo.

“Messi è il migliore, no?” gridano a Samuel, incollato al mio fianco.

Lo sguardo del ragazzo punta il pavimento, poi si aggiusta un po’ la maglietta del Barcellona. Lo abbraccio forte.

Dietro il séparé c’è silenzio. La nonna, la prima a raggiungere la finestra, ci fa cenno che il nonno dorme. Rimaniamo lì così, esitanti. Prendiamo a curiosare in mezzo alla stanza sotto lo sguardo indiscreto dei due anziani. La cupezza dell’ala A dell’ospedale è il loro regno.

La mattina, la mamma aveva fatto un ultimo tentativo per dissuaderci dall’intraprendere il lungo viaggio da Helsinki. Il prossimo fine settimana saremmo dovute comunque venire alla festa di laurea di Aleksei. D’altra parte, la voce della nonna era sembrata troppo debole al telefono, pronta a incrinarsi da un momento all’altro, come il ghiaccio la mattina dopo le prime gelate notturne. Riusciva soltanto a sospirare e a intensificare il silenzio all’altro capo del ricevitore. Allora, che fare? Nikolai aveva posato la tazza di caffè sul tavolo dicendo che se ora non fossimo andati a Turku, avrei potuto rimpiangerlo per tutta la vita. Sembrò un’affermazione grave. Ma aveva funzionato.

Il piede si muove sotto la coperta. Il nonno avverte il nostro arrivo e comincia a svegliarsi dal sonno indotto dalle medicine. Tum, tum, tum.

La pelle candida e sottile, i capelli bianchi come la neve sfilacciati in ogni direzione sul cuscino, un filo di barba sulle guance e le mani impotenti e filamentose disposte sulla coperta. Il camice da ospedale color lampone completa la disperazione attenuandola appena. Non lo riconosco. Dov’è finito quell’uomo allegro, corpulento, pieno di forza e di vita, che si assicurava sempre di avere i capelli ben pettinati e la barba rasata?

Lo ritrovo nei suoi occhi. Il suo sguardo cade su di me e mi riscalda.

Zdrastvuj deduška. Come stai?” lo saluto.

Il nonno forza un sorriso sul viso. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude. Continua a sorridere spostando lo sguardo su Samuel, ammicca, poi guarda Nikolai, la mamma, e infine si sofferma sulla nonna.

La nonna ha preso la mano del nonno. È l’unica cosa che la tiene in piedi. Non ricorda cosa significhi essere forte, più forte. Cerca di dimostrare al nonno che può farcela, ma tutti noi percepiamo l’aria nella stanza vibrare per il continuo tremore del suo corpo. Tum, tum, tum.

“La Svezia ha vinto”, ridacchia il nonno d’un tratto.

Siamo tutti talmente stupiti da sentire quasi le gambe venire meno.

“All’Eurovision” continua il nonno.

“Come lo sai?”

“Me l’hanno detto quei signori là.”

“E tu hai capito?”

“Ma io lo so, il finlandese.”

Il maggior talento del nonno: alleggerire l’atmosfera.

Le parole escono esitanti dalle labbra secche, ma un luccichio giocoso si è già acceso nei suoi occhi. Scoppiamo a ridere. Anche la nonna. Un barlume di speranza. Tum, tum, tum.

Allegramente, gli suggeriamo di fare due passi, ma il nonno rifiuta. Dice che è stanco e ha un po’ freddo. La nonna lo copre con una coperta di lana portata da casa, le cui linee multicolori disegnano una griglia sullo sfondo marrone. L’odore aspro e dolce mi ricorda l’infanzia. La coperta ha viaggiato dalla Carelia a San Pietroburgo e da lì fin qua. Come è possibile che le cose abbiano una vita più lunga di quella umana?

Nikolai va con Samuel a comprare un gelato alla mensa dell’ospedale. Noi altre lasciamo riposare il nonno ed usciamo a prendere un po’ d’aria fresca.

 Eccoci lì in piedi sul balcone inutilmente ampio dell’ospedale: tre donne, tre generazioni. Distogliamo lo sguardo da noi, respiriamo l’aria di primavera già fragrante d’estate e ci sosteniamo a vicenda nei nostri pensieri. Il tempo ha fatto il suo corso e ora l’equilibrio naturale è stravolto. La nonna si aggrappa a mamma, la mamma cerca sostegno in me. Mi chiedono un parere e guardano a me come se fossi la più avveduta. Come posso offrir loro un sostegno? Dietro quelle mura, il cuore ha già iniziato il suo conto alla rovescia, e presto si aprirà una crepa silenziosa che nessuno sarà in grado di fermare. Tum, tum, tum.

Via Kiinanmylly è coperta di tigli in fiore. Dall’altra parte della strada, i casermoni di Sirkkala, sede dell’università, sono deserti, i prati ben rasati. Gli studenti si affrettano per gli esami finali di maggio. Più lontano, la cattedrale annuncia le tre. Tu-tum, tutum, tu-tum. Turku raccoglie le forze. Il cielo è alto e azzurro.

“Bisogna ricordare al personale di accompagnarlo in bagno.”

“E di sicuro ha bisogno d’aiuto anche per mangiare. Dobbiamo dirlo alle infermiere.”

Banalmente quotidiano e concreto. Bisogna concentrarsi sui minimi dettagli, altrimenti la mente prende a vagare, terrorizzata al pensiero che si sia arrivati a questo punto.

“Le infermiere sanno bene quello che devono fare. Qui si prendono molta cura dei pazienti.”

So che la mia voce può sembrare rassicurante e affidabile. So che, almeno per un momento, la nonna crederà che la situazione è sotto controllo, e la mamma potrà far posto nel suo cuore almeno a un pensiero rassicurante: andrà tutto bene.

Nella stanza d’ospedale, Samuel lecca il gelato mentre due pazienti allegri lo interrogano:

“Ma Messi è davvero così bravo come dicono? Io faccio il tifo per il Turku, e non guardo nemmeno le altre partite.”

Il tocco del nonno è debole, e una paura accecante si impadronisce di nuovo del mio cuore. E se si accorgesse che gli angoli della mia bocca sono contratti e i denti serrati? Come riuscire ad essere forte? Guardo la mano bianca del nonno sul mio braccio e ricordo come l’abbia afferrata senza risparmiare forze. “Andrà tutto per il meglio”, aveva detto. Tum, tum, tum.

Ci salutiamo. Ci vediamo la prossima settimana.

“Sono sicura che riuscirai a venire alla festa di Alexei. Almeno per un po’, vero?”

Il nonno sorride dolorante, mi accarezza la guancia, stringe la mano di Nikolai con entrambi i palmi.

Quando prende Samuel per il fianco, come per abbracciarlo, la voce è familiare e chiara:

“La persona più importante di tutte. Eccola qui.”

(Dipinto del titolo e nel testo: “Ilta kohti” 1913, di Hugo Simberg, kansallisgalleria.fi)

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