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Il finlandese è una lingua incomprensibile? Anche colpa dei finlandesi

Silvie Mitlenerová, per un numero della rivista “Plav” dedicato alla letteratura contemporanea della migrazione, ha intervistato Viola Parente-Čapková, professore di letteratura finlandese all’università di Turku.

Dopo la seconda guerra mondiale, molti finlandesi hanno lasciato la Finlandia per dirigersi verso altre aree scandinave o comunque occidentali. Come si è evoluta la situazione dopo il crollo dell’URSS e qual è lo scenario attuale? La popolazione è in calo o in aumento?

Per quanto riguarda la migrazione, in particolare l’immigrazione, l’evoluzione in Finlandia negli ultimi decenni è stata diversa rispetto ai pochi decenni del dopoguerra prima del crollo dell’URSS. Nei primi anni del dopoguerra, la Finlandia stava ripagando i danni di guerra, era relativamente povera e non particolarmente attraente per nessuno. Di conseguenza le persone tendevano a lasciare la Finlandia, soprattutto per andare a lavorare in Svezia. Solo verso la fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80 la situazione cambiò, con la Finlandia che iniziò a prosperare, e molti di coloro che, in precedenza, erano partiti, fecero ritorno. Contemporaneamente, iniziarono ad arrivare in Finlandia i rifugiati, soprattutto dal Cile e dal Vietnam, ma non in gran numero. A causa della sua politica di cosiddetta neutralità attiva e di “amicizia e cooperazione con l’URSS”, la Finlandia non accettò emigranti politici dai Paesi occupati dall’Unione Sovietica.

Negli anni ’90, il numero maggiore di IMMIGRATI ha riguardato i rifugiati dalla guerra in Somalia; la minoranza somala è una delle più significative emerse in Finlandia negli ultimi decenni. Anche migliaia di persone provenienti dall’ex Jugoslavia, soprattutto dal Kosovo e dalla Bosnia, trovarono rifugio in Finlandia, prima della guerra. Dopo il crollo dell’URSS, molti estoni e persone provenienti da altre parti dell’ex Unione Sovietica, soprattutto dalla Russia, sono venuti in Finlandia per lavoro. Il rapporto con la Russia e la minoranza russa richiederebbe ovviamente un discorso a parte; uno dei progetti che ho condotto di recente si è concentrato, tra l’altro, sulla ricezione delle scrittrici russe in Finlandia, e i risultati sono stati molto interessanti nel quadro più generale delle relazioni finno-russe.

Durante gli anni ’90, emerse una categoria distinta di immigrati, rappresentata dagli ingriani, discendenti degli abitanti finlandesi dell’Ingria. Quest’area, situata a sud dell’istmo di Carelia e nell’ambito della regione baltica orientale, subì un passaggio significativo dopo la Rivoluzione d’Ottobre e il conseguente Trattato di Tartu, venendo incorporata nell’Unione Sovietica. L’annessione, tutt’altro che pacifica, coinvolse anche parti della Carelia. Molti ingriani furono imprigionati, perseguitati e deportati in Siberia, ma la gran parte di loro preservarono l’identità finlandese nonostante la dura repressione. All’inizio degli anni ’90, il presidente finlandese Koivisto concesse agli ingriani la possibilità di trasferirsi in Finlandia, concedendo loro lo status speciale di “rimpatriati”. Questo gesto suscitò reazioni contraddittorie, analogamente a quanto avvenuto per i careliani evacuati in Finlandia in seguito all’occupazione sovietica della Carelia. Nonostante la loro storia, molti finlandesi percepivano gli ingriani come russi, un amaro paradosso per un popolo che aveva sofferto sotto il regime sovietico proprio per avere custodito tradizioni finlandesi e fede luterana.

Nell’ondata migratoria successiva al 2015, il panorama migratorio finlandese ha visto un’alta percentuale di iracheni e afgani tra i nuovi arrivati. Attualmente, la Finlandia assiste a un incremento di individui provenienti da vari Paesi per motivi di studio o lavoro. Similmente ad altre nazioni europee, la Finlandia sta affrontando l’invecchiamento della propria popolazione e una crescente carenza di personale qualificato, ad esempio nel settore sanitario. Di fronte a questa sfida, le istituzioni finlandesi stanno attivamente incoraggiando l’immigrazione come soluzione strategica per colmare tali lacune.

L’atteggiamento dei finlandesi nei confronti degli immigrati è cambiato nel tempo? Il grande punto di svolta è stato ovviamente l’inizio della guerra in Ucraina, ma come si è evoluta la percezione negli ultimi dieci o vent’anni?

È una domanda complessa e di vasta portata. La risposta varia a seconda del gruppo demografico considerato, sia in relazione agli immigrati sia all’accoglienza ricevuta in Finlandia. Tradizionalmente, la popolazione finlandese è stata a lungo molto omogenea – e lo è tuttora rispetto a molti altri Paesi – il che ha generato una forte  diffidenza nei confronti di tutto ciò che è “straniero”. Questa situazione è notevolmente cambiata, soprattutto nella capitale e nelle città più grandi (per gli standard finlandesi) del sud del Paese, come Tampere e Turku. Tuttavia, come in ogni parte del mondo, esistono gerarchie tra i nuovi arrivati: chi proviene dal mondo occidentale è percepito in modo diverso rispetto ai rifugiati. Il termine “immigrato” o “migrante”  ovviamente tende ad essere usato con una connotazione negativa, riferirendosi principalmente ai rifugiati, ai richiedenti asilo e a coloro che provengono dai Paesi più “poveri”. Questo concetto è eloquentemente espresso dalla citazione scelta come titolo della tesi di dottorato di Hanna-Leena Nissilä (ora Määttä) dell’Università di Oulu: “La parola immigrato ha un sapore leggermente amaro”. La sua tesi analizza il processo attraverso il quale la cultura finlandese, in particolare la letteratura, negli ultimi decenni ha iniziato a superare vari tipi di confini, ad esempio nazionali e linguistici, tracciando la ricezione di questa letteratura “transfrontaliera”. È ovvio che la letteratura, come tutte le attività umane, è sempre stata una pratica transfrontaliera e molto spesso internazionale o transnazionale, ma l’eredità delle classificazioni “nazionali” del XIX secolo ci ha portati a considerare tutto ciò che non rientra in queste categorie come un’anomalia, piuttosto che il contrario.

Alexandra Salmela (foto teos.fi)

Una satira brillante e arguta sugli stereotipi relativi agli immigrati e agli stranieri in Finlandia è offerta dall’eccellente racconto di Alexandra Salmela Il reale, vero blues dell’immigrato (Se oikea, aito maahanmuuttajablues, 2009). Salmela allude ai pregiudizi e agli stereotipi caratteristici dei settori della destra estremista, ma anche all’ingenua esoticizzazione e allo sfruttamento degli immigrati per l’agenda portata avanti dagli intellettuali o dai politici di sinistra. L’atteggiamento verso i diversi gruppi di immigrati in Finlandia è quindi molto vario ed è difficile generalizzare. Tuttavia, è purtroppo vero che negli ultimi tempi la società finlandese è diventata molto più polarizzata su questo tema, con una ridotta propensione al dialogo da entrambe le parti. Recentemente sono emersi movimenti populisti che promuovono un’identità finlandese omogenea, una certa finnicità, pur non entrando nello specifico di cosa significhi, ma veicolando spesso e apertamente idee che possono essere descritte come razziste. Il RAZZISMO è stato discusso molto intensamente dai media finlandesi negli ultimi tempi. Un problema persistente è la scarsa rappresentanza di minoranze, sia storiche che recenti, nelle posizioni di vertice delle istituzioni finlandesi. Nell’ambito culturale, ad esempio, la maggior parte dei rappresentanti delle minoranze si sente ancora come figure simboliche o “esotiche”, percependo le discussioni come incentrate “su di loro ma senza di loro”.

Di recente, sono stati intensificati gli sforzi per rendere più evidente, in nuovi modi, non solo l’emarginazione degli immigrati degli ultimi decenni, ma anche quella delle minoranze tradizionali finlandesi, dai sámi ai roma. I membri di queste minoranze spesso ritengono assurdo che, nel contesto dell’alterità, della diversità culturale e del pluralismo, si faccia riferimento soltanto a coloro che sono arrivati in Finlandia negli anni ’90. D’altra parte, ogni minoranza, sia storica che recente, ha interessi e programmi specifici e di solito non sente affinità con altri gruppi che si definiscono o sono definiti, senza alcuna colpa, in contrapposizione alla popolazione maggioritaria, vale a dire i finlandesi finnofoni.

Cosa crede che attragga gli immigrati in Finlandia, un Paese nordico freddo e buio, con una lingua poco comprensibile?

 “Una lingua poco comprensibile”: è una formulazione simpatica e divertente. Ogni lingua è comprensibile per chi la parla e incomprensibile per chi non la conosce. La lingua ceca è forse comprensibile? Dipende da chi ascolta. Il finlandese è percepito come una lingua “difficile” perché non appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee parlate dalla maggior parte degli europei. Questo, da una parte, isola i parlanti finlandesi, ad esempio nel contesto della cooperazione tra i Paesi nordici, dove i rappresentanti degli altri Paesi generalmente – anche se non sempre – si comprendono a vicenda. Dall’altra parte, gli stessi finlandesi spesso contribuiscono alla mitizzazione della propria lingua (“Il finlandese è così difficile che nessun straniero può impararlo”), un atteggiamento che, ovviamente, è comune anche tra i cechi e i parlanti di altre lingue “poco comprensibili”.

Le ragioni che spingono gli immigrati a scegliere la Finlandia sono molteplici e complesse. Negli ultimi decenni, i fattori determinanti sono stati, senza dubbio, la prosperità economica e il sistema di WELFARE tipico dei Paesi nordici. Chi ha la possibilità di decidere dove trasferirsi o immigrare e mostra interesse per le specificità culturali, può essere attratto dalla lunga tradizione finlandese di uguaglianza. Questo principio include, ovviamente, l’uguaglianza di genere, che peraltro non si limita a una visione binaria ma, come di recente, enfatizza la pluralità di generi.

L’elogio dell’ISTRUZIONE finlandeseè diventato quasi un cliché e l’intero dibattito è molto interessante. Le persone al di fuori della Finlandia si chiedono spesso quale sia il “segreto” del successo delle scuole finlandesi. La verità è che non esiste un segreto o una formula magica; l’istruzione finlandese riflette semplicemente il meglio dell’atteggiamento dei finlandesi nei confronti della vita e della società. Principi quali la non violenza, la pazienza, un atteggiamento accomodante, il rispetto per la vita in tutte le sue forme, un ampio impegno per l’ambientalismo – per andare oltre lo stereotipo secondo cui i finlandesi sono particolarmente vicini alla natura -, la già citata uguaglianza e l’assenza di autoritarismo e di rigide gerarchie, considerando il bambino come un interlocutore a pieno titolo: in tutto questo, l’istruzione finlandese riflette l’ambiente circostante. Va però detto che trasferire questi valori in una società in cui i bambini sono costantemente esposti a messaggi contrari è un’impresa ardua. Naturalmente, per evitare che questa descrizione risulti eccessivamente idealizzata ed enfatica (anche se, perché non dovrebbe esserlo?), dobbiamo sottolineare che questa filosofia educativa si è diffusa e affermata in Finlandia in un periodo di prosperità economica, tra la fine degli anni ’70 e l’intero decennio degli anni ’80. In quel periodo, le risorse economiche disponibili hanno permesso di rimunerare adeguatamente gli insegnanti, rendendo l’insegnamento una professione allettante. Oggigiorno, purtroppo, la situazione sta cambiando, ma la Finlandia continua comunque ad eccellere rispetto alla maggior parte degli altri Paesi.

Come si sente lei, da immigrata, in Finlandia? Come sono stati i suoi inizi?

Non so quali siano stati esattamente gli inizi… Durante e dopo gli studi, ho trascorso lunghi periodi in Finlandia, partecipando a programmi post-laurea e scambi accademici. Pertanto, quando una collega dell’Università di Turku, professore di letteratura finlandese, mi ha invitata a un colloquio per un ruolo di assistente, mi trovavo già a mio agio in Finlandia, circondata da amici e colleghi. E, naturalmente, conoscevo già la lingua e la cultura finlandese. Credo quindi che il mio caso sia piuttosto atipico, e sono stata molto fortunata ad avere questi amici, colleghi e un ambiente familiare in cui io e mio marito condividiamo l’interesse per la lingua e la letteratura. Tuttavia, sono consapevole che l’esperienza può essere molto diversa per chi arriva in un Paese in cui tutto è completamente “estraneo”. Nell’ambito professionale, sto cercando di capitalizzare la mia capacità di avere una “doppia prospettiva” riguardo la società finlandese: quella di una straniera, che, ovviamente, per molti versi sono e rimarrò, e quella di una persona che vive in Finlandia da oltre vent’anni ed è “di casa” nella cultura finlandese.

Questo è più concretamente evidente in un progetto in cui abbiamo sviluppato metodi didattici per l’insegnamento della lingua finlandese per studenti avanzati attraverso i circoli di lettura. Analizziamo e discutiamo OPERE LETTERARIE che esplorano i punti forti o aspetti della finnicità, come l’uguaglianza, il rapporto con la natura, le identità linguistiche e di altro tipo. Selezioniamo testi che affrontano questi temi in maniera polemica, contraddittoria, caratteristica tipica della grande letteratura. Il nostro gruppo include sia madrelingua finlandesi che non: oltre a me e a diversi colleghi finlandesi, del team fanno parte Lenka Fárová del Dipartimento di Studi Finlandesi della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università carolina di Praga e la già citata Alexandra Salmela, che conduce laboratori di scrittura creativa. È estremamente motivante per i nostri partecipanti sapere che questa autrice, che ha imparato il finlandese da adulta, ha ricevuto prestigiosi premi letterari per le sue opere in finlandese.

L’intervista a Viola Parente-Čapková, pubblicata sulla rivista “Plav. Měsíčník pro světovou literaturu” (Mensile di letteratura internazionale) 2/2024, è stata condotta da Silvie Mitlenerová. Traduzione di Antonio Parente.

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