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Il “tipo” della letteratura finlandese

Durante il XIX secolo, piccole nazioni come la Finlandia e il Regno di Boemia erano sotto il dominio di imperi. Nella ricerca di indipendenza e di rinascita culturale, queste nazioni intrapresero un cammino per preservare e promuovere le loro identità uniche, traendo ispirazione non solo dalla propria storia, ma anche dalle lotte parallele di altre piccole nazioni. Riconoscendo il potere della letteratura nel promuovere l’identità nazionale, ci si rivolse alla creazione di opere capaci di fornire non soltanto un passato letterario intriso di mitologia, ma anche un senso di orgoglio e di unità. Ed è in questo spirito di incoraggiamento reciproco tra piccole nazioni, che è da leggersi lo studio sul “tipo” della letteratura finlandese di Jan Herben (1857-1936), politico, giornalista scrittore e storico moravo. 

Nell’articolo, che qui presentiamo per la prima volta in traduzione italiana, risulta evidente sia la creazione letteraria retrospettiva per legittimare la rivendicazione a nazione sia il potenziamento linguistico atto a rafforzare l’identità culturale. Pur non trovandoci d’accordo su alcuni punti che descrivono la lingua e la natura stessa della Finlandia e del suo popolo, crediamo sia uno scritto rilevante e significativo da un punto di vista critico-storico, per sottolineare anche come a volta sia importante trovare affinità  con altre culture per meglio sostenere la propria.

L’esempio finlandese per noi

Jan Herben (1857-1936)

(Atti della conferenza Moravia-Slesia. Ostrava, maggio e giugno 1918, 1/2 e 1/3)

Il risveglio religioso innescato da Lutero sollecitò anche in Finlandia un risveglio nazionale, come accaduto in molti Paesi durante la Riforma. Questo periodo segna l’inizio della lingua scritta finlandese. Agricola, il riformatore, si rivolgeva con i suoi testi tanto al clero quanto al popolo. L’impatto della Riforma sulla coscienza nazionale è evidente dato che, dopo i testi sacri, il predicatore di Stoccolma tradusse in finlandese un testo laico: il codice di leggi provinciali.

Prima della Riforma, non esisteva una letteratura finlandese scritta; si conoscevano solo preghiere cattoliche popolari. Tuttavia, una “lingua comune” ampiamente accettata era già in uso, come evidenziato dal fatto che, non appena emerse una lingua scritta, tutti gli scrittori finlandesi adottarono lo stesso dialetto senza deviazioni significative. Il finlandese è una lingua melodiosa, caratterizzata da un equilibrio tra vocali e consonanti e da una notevole varietà di suoni vocalici, particolarmente adatti alla poesia e alla musica. Dispone di molte parole di vivace espressività che, seguendo schemi tradizionali ereditati dalla tradizione popolare e dai poeti, permettono infinite creazioni. Il finnico eccelle nell’imitare i suoni e i colori della natura, più di molte altre lingue. Il popolo finlandese ha sempre avuto un innato senso delle immagini poetiche e un dono per la poesia, riconoscendo da sempre un alto valore ai compositori di canti e ai creatori di nuove parole.

Dal nostro punto di vista, il finlandese presenta molte parole lunghe e complesse. Anche la letteratura finlandese, come tutte le letterature europee, vanta monumenti di poesia popolare medievale che meritano riconoscimento nella storia letteraria. I canti più antichi risalgono probabilmente all’era pagana, come suggerito dal loro contenuto. Queste narrazioni celebrano figure mitologiche come il dio dell’acqua Väinämöinen e il dio dell’aria Ilmarinen. Tuttavia, è difficile stabilire con precisione l’antichità di queste canzoni popolari, considerando che il paganesimo perdurava ancora nel XIX secolo nelle regioni più isolate.

I finlandesi hanno conservato preziosi esempi di poesia medievale, includendo leggende e ballate cavalleresche, alcune delle quali rimangono poco conosciute nell’Europa centrale. Tra queste spicca la ballata della Morte di Elin, che esplora il tema della gelosia ed è considerata un gioiello della poesia medievale. La canzone popolare finlandese si distingue per la sua forma esteriore unica e la flessibilità nella costruzione, arricchita da ornamenti stilistici distintivi che la differenziano dalle altre canzoni, sia antiche che moderne. Il metro usuale consta di otto sillabe, strutturate in quattro trochei; una struttura apparentemente semplice ma estremamente variabile, grazie alla modulazione degli accenti e delle cesure. Le traduzioni ceche di Josef Holeček, come quelle raccolte nella “Kanteletar”, offrono una finestra su questa tradizione.

Dopo la Riforma, la lingua finlandese continuò ad esistere senza particolari sviluppi significativi. Tra il XVI e il XVIII secolo, i testi finlandesi erano prevalentemente di natura spirituale e includevano traduzioni di testi religiosi e inni liturgici. La Riforma favorì l’uso del latino e, poiché la Finlandia rimase legata alla Svezia, la predominante cultura svedese influenzò anche la lingua, consolidando lo svedese come lingua delle élite e delle classi superiori. Tuttavia, il senso di identità nazionale finlandese rimase forte, ulteriormente rafforzato dalla fondazione dell’Accademia-Università di Åbo nel 1640.

Il divario linguistico e culturale tra finlandesi e svedesi si manifestava non solo nell’uso dello svedese, ma anche nei discorsi accademici. Nel 1649, il reverendo Eskil Tetraeus, futuro vescovo, redasse una rudimentale grammatica finlandese. A Åbo emersero i primi patrioti finlandesi, i fennomani, una tradizione che proseguì con figure come Henrik Gabriel Porthan (1739-1804), descritto dallo storico della letteratura Emil Setälä come “la figura più importante dell’epoca”.

Paragonato ai riformatori cechi Dobrovský e Jungmann per il suo impegno nella scienza, nella poesia e nell’ideale nazionale, Porthan, un critico e filologo di formazione neoclassica dalla scuola storica di Göttingen, si dedicò alla linguistica e alla storia. Scoprì tracce dell’antico illuminismo finlandese e estese il suo interesse alla poesia popolare e alle questioni economiche per promuovere il benessere del paese; in una parola, fu un polistorico, un rappresentante significativo dell’epoca, guidando così una nuova generazione di finlandesi, riunitisi intorno a lui come discepoli e collaboratori.

Nel 1775, riconoscendo la necessità di un proprio organo di stampa, i finlandesi fondarono la prima rivista del paese, un mensile che tuttavia cessò le pubblicazioni dopo solo un anno. La scuola di Porthan collaborò strettamente con la generazione che assistette all’annessione della Finlandia alla Russia nel 1808, un evento che lo zar Alessandro definì come l’elevazione della Finlandia “al rango delle nazioni”. Questa visione fu tradotta dai finlandesi in un principio di autodeterminazione, eloquentemente espresso in una dichiarazione dell’epoca: “Non siamo svedesi, non vogliamo essere russi, dobbiamo quindi essere finlandesi”.

Questa dichiarazione di identità nazionale segnò l’alba della cosiddetta “fennomania”, un movimento mirato alla sovranità politica e culturale della Finlandia. I promotori di questa corrente si impegnarono a valorizzare la lingua finlandese nei campi scientifico, poetico, educativo e istituzionale. Il primo periodo di questo risveglio nazionale fu caratterizzato anche da sfide iniziali, come il confronto tra i vari dialetti, un dibattito simile al nostro riguardo l’uso di parole vecchie e nuove e delle norme ortografiche. L’adozione del principio “scrivere come si parla” incoraggiò gli autori a utilizzare i dialetti regionali nelle loro opere.

L’impatto di questa coscienza nazionale si riflette nelle opere di alcuni poeti contadini. Anche se le loro composizioni erano semplici e caratterizzate da rime elementari, analoghe alla poesia popolare del nostro contesto, riuscirono a catturare l’attenzione degli intellettuali verso una poesia popolare viva, emergente, autentica e distintiva. L’interesse per questo genere, già stimolato da Porthan, crebbe ulteriormente quando Johann Gottfried Herder, in Germania, evidenziò l’importanza di una poesia nazionale semplice.

Tra i numerosi raccoglitori di canti finlandesi, Elias Lönnrot si distinse per l’impatto duraturo delle sue opere nella memoria culturale europea. Il suo Kalevala è un capitolo distintivo della letteratura finlandese, un’epopea nazionale che si erge maestosa nella letteratura mondiale grazie al contributo di Lönnrot (1802-1884), senza paralleli nelle letterature moderne delle altre nazioni europee.

Anche prima di Lönnrot, alcuni cantori careliani avevano tentato di fondere diverse canzoni—note come “rune” e simili alle “byline” russe—in narrazioni coese. Lönnrot estese queste connessioni su una scala più ampia, unendo canzoni che raccontavano la ricerca di una sposa nella terra di Pohjola da parte di tre eroi finlandesi: il saggio Väinämöinen, il fabbro Ilmarinen e l’audace e controverso Lemminkäinen.

La trama si complica quando la bellissima figlia di Pohjola, sotto l’egida della madre, impone ardue prove agli pretendenti. Sposa Ilmarinen, e la storia prosegue illustrando le dinamiche della loro vita coniugale. Trasformatasi in personaggio malvagio, la donna viene eliminata dall’eroe Kullervo. Dopo la morte della moglie, Ilmarinen viene respinto dalla sorella minore della defunta. Infine, i tre eroi del Kalevala si coalizzano per marciare contro Pohjola, sconfiggerla e rubare il prezioso “sampo” dal nord. Tuttavia, una lite scoppia tra i rapitori, portando a ulteriori sviluppi.

La trama del “Kalevala” è piuttosto scarna e talvolta disunita, contraddistinta da contraddizioni interne; gli episodi tendono ad essere prolissi e digressivi, spesso a detrimento della coerenza complessiva, e risultano anche eccessivamente ripetitivi. Tuttavia, l’opera si distingue per il suo valore, poiché conserva numerosi elementi della enigmatica mitologia finlandese e brilla per la bellezza della sua poesia, soprattutto nelle parti liriche. Il poema ritrae vividamente la vita popolare e riflette magnificamente lo spirito nazionale finlandese.

Lönnrot ipotizzava che esistesse un’epopea nazionale riguardante la spedizione dei tre eroi del “Kalevala”, ma che col tempo questa si fosse frammentata. Si dedicò quindi al compito di ricomporla, ricostruendola dai frammenti residui. Benché l’idea iniziale di Lönnrot fosse errata, da tale errore nacque felicemente un’epopea nazionale.

Come si dovrebbe quindi considerare il “Kalevala”? È un’epica popolare e nazionale o l’opera di un poeta colto, un’epica artificiale? Non è un poema narrativo nazionale nel senso tradizionale, in quanto, complessivamente, non è l’opera di sconosciuti cantori popolari preservata e trasmessa oralmente dal popolo. Dopo la seconda edizione di Lönnrot, il “Kalevala” conta quasi 23.000 versi, un volume troppo ampio per essere contenuto nella memoria di un singolo individuo. Tuttavia, rimane un’opera popolare di valore narrativo, poiché ogni frammento proviene dalla poesia popolare di anonimi cantori contadini, conservatasi nella memoria collettiva fino al XIX secolo.

Qual è il significato dell’opera di Lönnrot in questo contesto? Mentre gli interpreti più antichi, tra cui spicca Domenico Comparetti, attribuivano a Lönnrot un grande merito di originalità e affermavano che ogni verso e ogni parola del “Kalevala” fossero intrinsecamente nazionali e di Lönnrot, interpreti più recenti, come Emil Setälä, sostengono che il contributo di Lönnrot sia sostanzialmente minore. Condivido questa visione. Il merito di Lönnrot risiede nell’aver raccolto e armonizzato tutti i canti disponibili relativi al tema, seguendo lo schema suggerito dai cantori popolari, riuscendo a unirli in un insieme più completo di quanto avesse fatto qualsiasi cantore popolare prima di lui.

Aveva accesso a un numero di canti vastamente superiore rispetto a quello conosciuto dai singoli cantori popolari e poteva attingere da una fonte ricchissima. Inoltre, grazie alla sua formazione letteraria, possedeva un acuto senso nella selezione dei brani. Più di tutti i suoi predecessori, Lönnrot dimostrò un talento poetico, un’intuizione e una sensibilità per la pura poesia finlandese. Il “Kalevala” è, quindi, sia un’epopea nazionale che una raccolta di canti popolari narrativi.

Il “Kalevala” fu seguito dalla Kanteletar, una raccolta di canti popolari emotivi e contemplativi. Elias Lönnrot, figura centrale nella raccolta di questi testi, lavorò insieme a numerosi predecessori e successori. Dopo vent’anni di raccolta, nel 1840 pubblicò l’opera, contenente 652 canti. Il titolo deriva dalla parola “kantele”, un popolare strumento musicale a corde finlandese, e dal suffisso “tar”, che significa figlia o fata, evocando così l’idea di “melodie fatate”. A questa raccolta ne seguirono altre, comprese collezioni di proverbi, indovinelli, favole e, verso la fine della sua vita nel 1880, una raccolta di canti magici.

Elias Lönnrot nacque nel 1802 in una famiglia di contadini e sarti. Dopo aver studiato medicina all’università, lavorò come medico di campagna fino al 1853; successivamente, fu nominato professore di finlandese all’università.

Il “Kalevala” e la “Kanteletar” infusero grande entusiasmo e stimoli nella vita culturale finlandese, divenendo pietre miliari per la lingua, che fino ad allora non aveva basi simili su cui fondarsi. Al pari dell’”Edda” norvegese, anche in Finlandia le raccolte di rune inaugurarono un nuovo periodo non solo per la poesia nazionale, ma per l’intero processo culturale del paese. La coscienza nazionale e il senso di identità finlandese si intensificarono, coinvolgendo gran parte delle classi colte.

Questo senso di patriottismo comune e unione sociale trovò riscontro anche nella letteratura finlandese di lingua svedese del periodo. Johan Ludvig Runeberg, svedofono, emerse come voce del patriottismo finlandese, celebrando la coscienza nazionale. Egli infiammò il sentimento nazionale, specialmente tra le classi superiori, lodando nei suoi versi il contadino finlandese come custode della nazionalità, dello spirito nazionale e delle tradizioni, idealizzando la vita rurale nello spirito del romanticismo prevalente.

Oltre a ciò, Runeberg esaltò la natura finlandese, i suoi peculiari umori e la vita naturale del paese. Compose anche canzoni patriottiche, tra cui “La nostra terra” (“Vårt land”), che divenne l’inno nazionale finlandese. Fu una fortuna per la causa finlandese che Runeberg possedesse non solo un’educazione classica ma anche un notevole talento poetico, il che gli conferì un’influenza irresistibile e di grande successo sulle classi elevate.

Nato nel 1804 a Jakobstad, Johan Ludvig Runeberg, figlio di un capitano, visse in condizioni economiche modeste durante gli anni universitari, sostenendosi con lezioni private. Divenne insegnante a 23 anni e nel 1837 ottenne una cattedra al liceo di Borgå. Nel 1857, abbandonò l’insegnamento per dedicarsi completamente alla poesia. Tuttavia, un ictus nel 1863 segnò l’inizio di un lungo periodo di sofferenze che si concluse solo con la sua morte nel 1877. Nonostante scrivesse in svedese, Runeberg non fu solo il poeta della minoranza di lingua svedese in Finlandia, ma divenne una figura emblematica per l’intera nazione. Fu il primo a cui la nazione dedicò un monumento in una posizione prestigiosa di Helsinki. Presso questo monumento, i finlandesi si radunavano per discorsi nazionali e manifestazioni per la libertà.

Runeberg aprì la strada a una serie di poeti svedesi che includeva Wecksell, Topelius e Tavaststjerna. Già prima del 1827, all’Università di Åbo, si era formato un gruppo di studenti finlandesi impegnati nella promozione della lingua finlandese e dell’indipendenza del paese. Dopo che un incendio distrusse l’università, questa fu trasferita a Helsinki nel 1828, e lì il gruppo crebbe con l’adesione di figure come Nordström, Castrén e alcune donne, tra cui la moglie di Runeberg.

In questo contesto, Elias Lönnrot propose la fondazione della Società per la Letteratura Finlandese e viaggiò in tutto il paese raccogliendo canti per gli archivi della società, che divenne un punto di riferimento culturale simile al nostro Museo Nazionale con la sua Matice česká. In questo periodo di fervore nazionale emerse anche Johan Vilhelm Snellman, filosofo e politico di orientamento hegeliano, che si dedicò principalmente a questioni sociali e politiche. Anche se scriveva in svedese, Snellman articolò con precisione il principio secondo cui la lingua finlandese doveva diventare il mezzo educativo del popolo diffondendovi una coscienza nazionale.

Nonostante la censura imposta dallo zar Nicola I nel 1850, che limitava la pubblicazione di testi in finlandese ai soli scritti religiosi ed economici, in Finlandia si lavorò instancabilmente per promuovere la cultura nazionale. Questo periodo, segnato dal regno più liberale dello zar Alessandro II negli anni Sessanta, noto come la “nuova epoca”, si distingue anche per l’assenza di un conflitto tra i dialetti; il finlandese delle regioni occidentali rimane la lingua scritta, pur non sottraendosi all’arricchimento portato dal materiale delle regioni orientali.  Gli anni ’60 furono contrassegnati da tre figure prominenti nella letteratura: i poeti Oksanen e Kivi e lo storico e statista Yrjö Koskinen.

Oksanen, pseudonimo del professore di lingua e letteratura finlandese August Ahlqvist (1826-1889), fu il primo vero poeta finlandese. Benché non fosse molto prolifico, con una sola raccolta intitolata “Säkeniä” (“Scintille”), riuscì a unire la chiarezza e la forza emotiva di Runeberg con i toni della purezza popolare del “Kalevala”. Oksanen era conosciuto anche in Boemia e aveva tradotto in finlandese alcune poesie e canzoni ceche, legandosi così alla generazione letteraria degli anni Sessanta.

Aleksis Kivi (1834-1872) è riconosciuto come il più originale tra gli scrittori finlandesi, simbolo della Tavastaland proprio come Lönnrot rappresenta la Carelia. Il critico letterario Setälä lo descrive come un autore che, prendendo spunto dalla Bibbia e dal “Kalevala” per esaltare l’istinto nazionale, e ispirandosi a maestri del calibro di Omero, Cervantes e Shakespeare, ha aggiunto una vivida rappresentazione della vita nella regione in questione. Prima ancora che i finlandesi disponessero di un proprio teatro, Kivi scrisse il dramma “Kullervo”, caratterizzato da una vena amletica, e “Lea”, pervaso da toni orientali.

Kivi eccelle nei ritratti della vita tavastlandese e il suo romanzo I sette fratelli è un’opera vibrante di colori, realismo robusto e sano umorismo. I finlandesi apprezzano particolarmente nelle sue opere la fiducia nella vittoria dell’illuminismo sulla crudele forza della natura e dell’uomo. Nonostante sia morto in povertà e solitudine, le sue opere in prosa sono considerate, insieme al “Kalevala” e alla “Kanteletar”, uno dei pilastri fondanti della letteratura finlandese.

Questa nuova struttura letteraria è stata eretta dalla generazione degli anni ’80, che ha amalgamato le correnti nazionali con la letteratura europea contemporanea. Tra questi scrittori si annoverano narratori popolari, romanzieri storici, drammaturghi (tra cui spicca Minna Canth), poeti lirici, e anche autori con tratti decadenti, oltre ai traduttori.

Dal 1880 al 1908, Setälä ha catalogato 13 nomi di rilievo, Juhani Aho, Ingman, Järnefelt, Pakkala, Kilpi, Linnakoski, Maila Talvio, Erkko, Minna Canth, Cajander, Kramsu, Manninen ed Eino Leino. L’antologia tedesca di Brausewetter integra questa lista con Juho Reijonen, e si distingue per l’inclusione di autori finlandesi svedofoni, come Johan Ludvig Runeberg, Zakarias, Topelius, Jonatan, Reuter, Karl A. Tavaststjerna, Mikael Lybeck, Adolf Paul, Jacob Ahrenberg, Konni Zilliacus, nonché scrittrici come Lilly Londén, Helena Westermarck, Parus Ater.

Questi autori di lingua svedese in Finlandia possono essere paragonati ai poeti tedeschi in Boemia pre-risorgimentali, che promuovevano il patriottismo ceco in chiave tedesca. In quel periodo, figure come Karel Egon Ebert traducevano canzoni ceche in tedesco e scrivevano drammi impregnati di spirito ceco, mentre Mořic Hartmann e Alfred Meissner, attraverso le loro opere, esprimevano una profonda empatia per le vicende ceche. Durante quel periodo, Karel Egon Ebert si dedicò alla traduzione di canzoni ceche in tedesco e alla scrittura di drammi patriottici quali “Wlasta” e “Bretislaw und Jutta”. Mořic Hartmann pubblicò le poesie “Kelch und Schwert” (Calice e Spada), in cui lodava il rito hussita e manteneva un vivace scambio con i giovani scrittori cechi, tra cui Václav Nebeský. Era profondamente legato al movimento e alla rinascita ceca. Nello stesso periodo, Alfred Meissner iniziò la sua carriera poetica sulla rivista tedesca “Muse”, diretta da Palacký, con la sua opera “Žižka”. Nella prefazione e nella postfazione, Meissner esprimeva una sincera e profonda simpatia per le sofferenze del popolo ceco, pur aspettando con impazienza il momento in cui si sarebbe deciso il futuro del paese, e il ceco o il tedesco ne sarebbero usciti vincitori.

Nella nostra letteratura è noto un solo scrittore finlandese di narrativa, l’eccellente Juhani Aho. Nato nel 1861 in un villaggio vicino a Iisalmi, figlio di un parroco, si è formato a Helsinki e ha intrapreso la carriera di letterato, pubblicando una rivista illustrata, redigendo un giornale politico, viaggiando per l’Europa, e così via. In lingua ceca sono stati tradotti due suoi racconti, “Maailman murjoma” e “Kuinka minä heräsin”, e l’opera “Katajainen kansani”, per opera di O. S. Vetti (entrambi nella Biblioteca Mondiale di Otto), e la novella “Yksin”, tradotta da Ivan Schulz (pubblicata nei Libri dei buoni autori). Considerato dalla critica finlandese il più eccellente tra gli scrittori viventi — almeno nel campo della prosa — Aho offre ai lettori cechi un parametro per valutare, in generale, il livello artistico degli scrittori finlandesi. Lettori che, tuttavia, potrebbero esprimere una certa delusione. Non c’è nulla di sorprendente, tanto meno di artisticamente accattivante, nemmeno negli estratti dell’ampia antologia di Brausewetter, un libro di 450 pagine. A parer mio, i nostri Stránecký, Kosmák, Pravda, Třebízský rappresenterebbero un vero ed entusiastico piacere per il pubblico finlandese.

Tuttavia, osservare lo spirito di questa attività artistica offre una prospettiva differente. Per non parlare dell’arduità, per un non nativo, di comprendere il significato della narrativa storica nazionale, perché, ad esempio, la menzione di eroi e personaggi, o la menzione di eventi storici e luoghi sacri della propria nazione, suscita un’ondata di sentimento nazionale, mentre per gli stranieri è un suono che cade nel vuoto. L’arte popolare finlandese si fa portavoce di idee che sono nate dalla nazione e che, colte dall’orecchio fine del poeta, si tramutano in forme indelebili. Elaborate dal talento artistico e da mezzi mirati, ritornano alla nazione rinvigorite, sostenute e restaurate come vangelo nazionale. La letteratura finlandese è profondamente democratica, in un Paese privo di un’aristocrazia tradizionale, e dove l’aristocrazia dell’anima risiede nell’istruzione.

Non mi dilungherò a fornire i nomi e le biografie dei più giovani scrittori finlandesi. Se dovessi elencare nomi di scrittori, delle loro opere e raccontare le loro vite, sarei di scarsa utilità per i lettori cechi, come se un cameriere in una taverna offrisse un semplice menu agli ospiti affamati e non portasse altro che piatti vuoti. Desidero, piuttosto, concentrarmi sullo spirito e sul carattere di questa letteratura, perché la considero eminentemente nazionale, nel senso più pieno del termine.

Per comprendere lo spirito di una nazione straniera, non dovremmo affidarci esclusivamente a libri stranieri, testi esterni. Come sostiene Volkonskij nelle sue “Letture di storia e letteratura russa”, è essenziale esplorare altre fonti. Ebbene, cosa si può dire dello spirito della letteratura finlandese? Sappiamo qualcosa della natura del Paese finlandese, della sua fisionomia naturale: un terreno paludoso e acquitrinoso con foreste gelate, poca terra coltivabile e prati; una popolazione scarsamente insediata, che vive più in solitudine che in comunità, nei villaggi; il lavoro è duro, incerto a causa del clima rigido, da cui la fame spesso disperata del Paese. Poche città, più poveri che ricchi. Tutto questo rende la nazione silenziosa, austera, dura, ma tenace come un ginepro.

La storia della nazione finlandese è segnata da una tardiva accettazione del cristianesimo, perché i missionari preferirono non spingersi in quella terra inospitale; la Riforma luterana ha preso piede nella nazione senza clamore, con una sorta di deliberazione sorprendente per qualsiasi nazione. I finlandesi hanno combattuto anche nell’esercito svedese durante la Guerra dei Trent’anni, ma non sono mai stati un popolo bellicoso. Dall’impero svedese passarono sono passati al dominio della Russia, combattendo tenacemente per la loro indipendenza, una lotta, tuttavia, non condotta con la spada, ma piuttosto con le armi dello spirito.

La letteratura finlandese rispecchia il carattere della nazione. Le opere letterarie esprimono lo spirito nazionale; poeti e scrittori incarnano l’essenza stessa di ciò che rappresenta l’identità nazionale. Ogni nazione ha un eroe nazionale che affascina particolarmente. Negli antichi poemi epici di cui è composto il “Kalevala”, gli eroi sono i tre fratelli kalevaliani, di cui il maggiore, Väinämöinen, è il prediletto nazionale, incarnando le virtù più ammirate e motivo di orgoglio per i finlandesi.

Nato da una fata dell’acqua e da un vento del mare, nelle poesie Väinämöinen viene descritto, fin dalla nascita, come “vecchio e saggio”. Approdato a riva trascinato dalle onde, riflette sul da farsi, dimostrandosi già maturo e sagace. Alla ricerca di una sposa, fallisce nel suo corteggiamento, e il “potente e saggio” dice di sé: “Quanto stupido son stato, / il mio senno già sparito! / Mi vantavo dell’acume, / del giudizio posseduto, / il mio cuore sì patrizio, / ormai andati come il tempo: / Ed adesso li ho smarriti, / nei miei giorni addolorati; / in questi anni indeboliti, / il cervello viene meno, / e la mente deperisce”.

Questa autocritica è ingenerosa; nelle vicende successive, Väinämöinen si rivela sempre un eroe potente, vecchio e saggio. Ma che tipo di eroe? In breve: non un eroe della ricchezza, delle guerre e delle lotte, come quelli tipici, ad esempio, delle culture di Grecia o Serbia. Non è il re Marko. Al contrario, è l’educatore della terra finlandese, il signore delle acque. Estirpa le foreste, libera la terra dalle bestie feroci e organizza con saggezza la vita umana nell’aspra natura finlandese.

Nei confronti dei suoi vicini, non si comporta da conquistatore; quando si trova a dover affrontare ostilità da mondi estranei, sfrutta tutto il suo ingegno e la sua saggezza per evitare conflitti, pericoli e calamità con i doni dello spirito, dell’intelligenza e dell’astuzia. Si dimostra invincibile grazie a saggezza e perspicacia, resistendo anche di fronte ai nemici più potenti, che potrebbero schiacciare Väinämöinen e la Finlandia grazie alla superiorità materiale.

La sua forza risiede nella parola, potente e saggia. L’eroe deve conoscere quella parola che scaccia le forze del male, che libera lo spirito dalla materia, che bandisce ogni male e dà la vittoria anche su una forza superiore. Se non la conosce lui stesso, sua madre o qualcuno della sua famiglia certamente la sa, perché è trasmessa come eredità familiare. La parola potente è la formula dell’incantesimo; la parola che scatena l’incantesimo, affrancando gli uomini e le cose dalle maledizioni.

In un momento difficile della sua vita, Väinämöinen si avventura nell’oltretomba per trovare questa parola, convito, come i suoi compagni, che ogni male possa essere sconfitto, che la magia possa essere bandita, che le malattie possano essere curate, che persino i morti possano essere strappati all’eterna falciatrice se il male è confrontato con la storia della sua origine. Così nel “Kalevala” sono frequenti i versi “che cantano l’origine delle cose”. L’eroe fa cantare il vecchio per sanare una ferita inferta dall’acciaio; raccontando la nascita dell’acciaio, lo si rende impotente! Väinämöinen è quindi l’incarnazione del finlandese: aratore, contadino e cacciatore. Nel poema che racconta le sue gesta, si manifesta un’avversione per strumenti di distruzione come il ferro che ferisce, l’arco che uccide e la nave che trascina nelle battaglie. L’eroe semina e ara la terra. Questa è stato, dalla nascita, lo scopo della sua opera: “Il potente Väinämöinen / meditando in riva del mare / alla spuma si appressò / di quell’acqua lungo il bordo. / Sei sementi nella rena, / sette semi cereali, / poco sopra il bagnasciuga, / tra i granelli di fin sabbia; / li nascose nelle pelli / di scoiattolo e faina”.

Lo scoiattolo gli rivelò un segreto: le colture non avrebbero prosperato senza prima dissodare il campo e liberare la foresta vicina gelata. Allora il potente e saggio Väinämöinen fece affilare l’ascia e cominciò a tagliare i boschetti, a radere la fitta foresta, a eliminare gli esili alberi di ogni tipo, lasciando solo una betulla su cui l’uccello potesse riposare e il cuculo cantare.

Väinämöinen è dunque un eroe benevolo, che nutre un profondo amore per il suo Paese, le sue foreste e la sua fauna. Quando pensa alla Finlandia da una terra lontana e straniera, il suo desiderio è profondo, primordiale. Ricorda sempre le meraviglie della Finlandia, la sua casa, i campi e i boschi scuri e profondi. Il sangue scorre dalla sua ferita mentre si affretta a salire sulla slitta, determinato a non morire in terra straniera, dove: “Ogni albero è periglio, / ogni ramo impedimento, / la betulla sol m’intralcia, / ogni ontano mi frusta.” Anche suo fratello avverte la mancanza del proprio Paese, riflettendo: “Il pensiero solo corre / alla terra desiata / dove attendere la morte”.

Un altro pregio di questo vetusto eroe saggio è la fama di cantore rinomato, il più celebre dell’intero nord. Persino nella fredda Lapponia conoscono la sua voce e la sua sapienza. Il giovane Joukahainen, sfidante audace, si reca in Finlandia per sfidare a spada tratta il venerabile cantore. Ma Väinämöinen accoglie il giovane presuntuoso con un disprezzo velato, rifiuta il duello e dimostra il suo potere: con un canto ammaliatore, fa sprofondare Joukahainen lentamente nella palude fino a soffocarlo. La liberazione avviene solo quando il giovane inizia a supplicare e promette a Väinämöinen la mano di sua sorella.

Joseph Alanen, 1919–1920

Quando Joukahainen, ardente di desiderio di vendetta, trama di uccidere Väinämöinen con l’arco, la madre lo mette in guardia: “Se uccidessi Väinämöinen, / di Kalevala il gran figlio / sparirebber tutti i canti, / dalla terra la delizia.  / Non ammutolir il suo canto / che si spanda la sua gioia”.

Il dono della conoscenza delle parole ammaliatrici è indissolubilmente legato al talento per il canto e la divinazione. Quando Väinämöinen affronta forze superiori, addormenta l’intero esercito nemico con i suoi incantesimi. Da questi sortilegi emerge l’astuzia, l’arma tipica dei deboli, che tuttavia stenta a nascondersi nell’insuperabile saggezza dell’eroe. Väinämöinen non ama rivelare le sue intenzioni, mantenendo i suoi propositi riservati. Anche nel viaggio per mare alla ricerca della sua sposa, quando la sorella lo interroga sulla destinazione, risponde evasivamente quando di andare a pescare salmoni, quando a cacciare oche selvatiche, quando ancora a partecipare a una guerra sanguinosa; solo dopo ripetute accuse di menzogna, confessa: “Vado solo a cercar sguardi, / la fanciulla corteggiare, / fino a Pohjola buiosa, / ed a Sariola brumosa / dove tutti son mangiati, / e gli eroi sono annegati”.

Questo è Väinämöinen. La letteratura finlandese moderna è una continuazione del “Kalevala” e Väinämöinen vi appare sotto mille spoglie e variazioni, ma sostanzialmente resta lo stesso vecchio, saggio — l’ideale nazionale. Come il popolo, così la letteratura, e viceversa: uno straniero che non sa nulla della nazione finlandese può formarsi un’idea di quella terra sconosciuta grazie alla letteratura finlandese, antica e moderna.

La letteratura autenticamente nazionale è inevitabilmente un riflesso della vita; pertanto, per lo straniero, essa funge da specchio attraverso il quale scorgere le qualità mentali, i sentimenti, le idee peculiari, le strutture sociali tanto del presente quanto del passato storico. La scrittura finlandese è terreno fertile per la saggezza di Väinämöinen. Gli autori mettono in risalto le virtù ritenute preziose e necessarie per la nazione, adottando un approccio realistico, talvolta persino crudo. Privilegiano la sostanza e disdegnano gli orpelli, perché, dopo tutto, cosa sono le parole sapienti, quel potere magico nelle loro parti, se non un potente strumento magico che va alla radice di ogni questione, e soprattutto di ogni male, rivelandone spietatamente le origini?

Questa è la fedele realtà: fin dall’inizio del risveglio nazionale, per oltre un secolo, lo scrittore finlandese è diventato non soltanto la guida del Paese ma anche la voce decisiva nelle manifestazioni più significative della vita culturale e nelle ardite lotte per l’indipendenza nazionale. Nel dibattito tra l’uso della lingua svedese o finlandese, gli scrittori hanno avuto un ruolo cruciale. Non sono rimasti in silenzio nemmeno durante le discussioni sui bisogni educativi della Finlandia, sull’università, sulla necessità del teatro, sull’istruzione femminile. Alla fine del XIX secolo, quando la Russia stringeva i suoi artigli sulla libertà finlandese, i leader dei gruppi politici erano in prima linea nel movimento di difesa, ma erano i poeti finlandesi a cantarne consapevolmente la resistenza.

Uno di loro, Juhani Aho, è noto per il suo libro sulla Finlandia, Katajainen kansani. E ancora, è proprio perché la nazione riconosce nei suoi poeti e scrittori gli autentici portavoce ed espressori dello spirito finlandese che essi ricevono l’attenzione dovuta e vengono ascoltati attentamente. Non c’è forse altra nazione in cui la parola degli scrittori detiene tanto potere quanto in Finlandia. La grande influenza degli scrittori nordici, come quella degli scrittori russi, trova un parallelo nel pubblico finlandese, ancora immerso nella mitica società kalevaliana, dove, in ogni questione di rilievo, è indispensabile la presenza del cantore-saggio, l’uomo delle parole potenti e sapienti: “Vani i canti dei bambini, / come i loro piagnistei: / e vagiscono menzogne / anche i canti di fanciulle! /, Che il gran saggio sia a parlare / dalla panca a canticchiare”, chiedono gli ospiti al matrimonio di Ilmarinen a Pohjola. Cercano un uomo così. Allora il vecchio Väinämöinen prende la parola ed esclama: “Se nessuno m’accompagna / e con me il canto intona, / anche solo posso farlo / deliziandovi con rune, / perché fatto sono pel canto / io cantore sempreterno, / cognitor di vie di versi / pur in terre sconosciute”.

Le rune sono custodi della saggezza nazionale della Finlandia. I consigli e l’esperienza di Väinämöinen animano la letteratura finlandese di oggi, così come la tattica politica: contro la superiorità materiale, si forgi lo spirito come arma. I finlandesi non hanno mai promosso rivoluzioni armate; hanno sempre puntato sulle idee, facendo della rivoluzione mentale il loro strumento di progresso, privilegiando l’astuzia dei deboli sulla violenza. In una parola: la ragione, la ponderatezza e un certo pragmatismo prevalgono nella scrittura finlandese, dove gli slanci emotivi sono rari.

Il finlandese si sente impotente di fronte alla natura, come di fronte alle forze schiaccianti degli oppressori politici. Nelle foreste dimenticate da Dio, sulle montagne, nei precipizi e sulle rocce fangose viveva un tempo il principio del male finlandese, il dio Hiisi; oggi persiste sotto forma del gelo finlandese, oscuro, inevitabile, pestilenziale. Contro questa minaccia, non si può agire con la violenza, ma con la conoscenza e le strategie economiche, un insegnamento tratto sia dalla mitologia sia dalla realtà pratica. Non è con la rassegnazione, ma con il lavoro costante che si evita la catastrofe.

La letteratura finlandese ci insegna come i finlandesi non siano mai stati un popolo di guerrieri, arroganti, potenti o dominatori. Pur avendo combattuto contro i vicini, come i fratelli del Kalevala con la Pohjola del nord, non hanno mai cercato di sottometterli. Invece, trovano la felicità nella tranquillità della propria casa, della propria terra. Il focolare domestico, caldo e accogliente, la casa circondata da stalle per il bestiame e sorvegliata da cani fedeli, con orti, campi e boschi a contorno, rappresentano per i finlandesi il più alto ideale di felicità terrena.

“Tutti gli dei dei finlandesi avevano mogli e figli, il che ci fa capire quanto la vita familiare fosse loro cara fin dai tempi antichi e come il valore della famiglia fosse radicato in loro” (Holeček). Anche nella letteratura finlandese moderna, come nelle canzoni popolari, riecheggia lo stesso tono. Non conosco altra letteratura che celebri tanto la casa e il calore familiare. Nemmeno nella poesia russa si trovano tante espressioni dell’amore dei genitori per i figli, dei figli per i genitori e dei genitori tra loro. I sentimenti degli innamorati sono spesso secondari rispetto all’amore del sangue familiare. Il “Kalevala” e la “Kanteletar” sono soprattutto inni alla famiglia.

La spiegazione è evidente: le famiglie lontane vivono l’una per l’altra con un amore reciproco profondo. I lamenti di chi è solo e abbandonato sono strazianti, e l’orrore della solitudine rende la vita insopportabile. Un giovane canta a se stesso davanti a una birra: “È una gioia possedere / un giovenco nel boschetto, / l’agnellino lì sul ceppo, / maritarsi a una fanciulla, / e un bimbetto che gattona; / Sono allegre le serate, / una gioia conversare / oggi anche più allegria, / un gran spasso qui stasera”.

Altri cantano: “Il mio pan non è mai sfatto / anche se di pula è fatto; / l’atrui pan mangiato in fretta / spacca i denti ad ogni fetta. / Il mio viso, che sommosse, / dalle gote sempre rosse / come un giunco lieve al vento / fiorito al sol, dolce cimento. / Beato il bimbo per suo padre, / piccolino, per sua madre! / Triste è se perde il padre, / ancor di più quand’è sua madre: / solo dev’ trovare le quadre. / Senza padre erra e s’abbatte / anche quando il sole batte, / senza madre vita stilla / anche se la luna brilla.”

Nelle condizioni finlandesi, non invocare azioni morali è poco saggio, e anzi nella letteratura finlandese, tendenzialmente sobria, è da ritenersi persino illecito. Presupponiamo un profondo senso morale nella letteratura finlandese, e lo troviamo. I finlandesi hanno sempre creduto in qualcosa di più alto e migliore. La religione, e il protestantesimo in particolare, non potevano che rafforzare e purificare questa convinzione. I giorni paradisiaci dell’ortodossia medievale sono ovviamente lontani anche in Finlandia, ma pochi nei Paesi cattolici riescono a comprendere ciò che il protestantesimo ha lasciato nel carattere nazionale, anche se la sua forza originaria si è affievolita o forse è degenerata completamente nella mancanza di rispetto per la fede. Si vedano Norvegia, Svezia e Danimarca!

Non conosco lo stato attuale della religione in Finlandia, ma mi è stato assicurato da esperti che la vita finlandese è ancora religiosa, e da alcuni discorsi nel Parlamento finlandese so che le donne sono le protettrici intoccabili di questo fuoco sacro. La castità, la purezza e la verginità delle ragazze sono molto apprezzate nel Paese. Si è conservata una vecchia canzone, “La foresta battezzata”, in cui si dice: “Perché il canto degli uccelli è assente / e i cuculi non verseggiano più? / Perché nessun uccello dai nidi di ginepro / cinguetta più per noi? / Perché gli uccelli non cantano, / i cuculi non fanno capolino? / La fanciulla sotto il verde ciuffo della purezza / ha rinunciato alla sua, / alla selva nel grembo, tra gli abeti rossi. / Il boschetto è addolorato dalla vergogna, / gli alberi ne sono intristiti, / il fogliame è appassito, / le foglie cadono, / il muschio si ammuffisce, / l’erba appassisce, / gli uccelli son zittiti, / i cuculi volati via. / La foresta non invigorisce / finché il sacerdote non la battezza / lavandone via il peccato.

Da quanto ho detto è forse chiaro che nella scrittura finlandese non ci siano toni solari ed esultanti, né espressioni elementari di passione, né molte esclamazioni liriche. In diverse caratterizzazioni della letteratura finlandese si dice che alcuni poeti e romanzieri siano dotati di umorismo; non si tratta, però, di scrittori allegri, frizzanti e appassionatamente esuberanti; così non ce ne sono. Ma anche quando esaminiamo l’umorismo finlandese, scopriamo che è solo un sorriso ironico appena percettibile sul volto di un uomo austero, rispetto all’umorismo di un russo o di un inglese. Ironia o satira piuttosto che umorismo; ironia amara, mai compiaciuta. Le battute, gli aneddoti, le farse e le barzellette nella letteratura finlandese sono del tutto assenti.

Tuttavia, la letteratura finlandese offre un raro vantaggio, una peculiarità esclusiva che arricchisce il tesoro letterario mondiale. Si tratta dei grandiosi quadri naturalistici dei poeti finlandesi. Nelle arti visive, li paragonerei alle immagini create dal pittore norvegese come accompagnamento al testo di “Peer Gynt”. Con la sua bellezza unica, la natura finlandese ripaga il suo popolo di tutte le sofferenze che altrimenti gli procura. Ed è questa la bellezza che i poeti hanno saputo cogliere.

La lingua finlandese ha la capacità di esprimere una varietà di suoni che, pur essendo riconoscibili in altre lingue, non trovano in esse corrispondenti lessicali. Ancora più sorprendente è la sua ricchezza nel descrivere i colori, le loro sfumature e la loro mescolanza. “È caratteristico delle lingue moderne, più sono colte più tendono ad essere povere in questo senso. Le lingue slave si collocano a metà strada.” A questa abbondanza di concetti concreti, espressi da un’uguale ricchezza di parole, si aggiunge una lingua melodiosa, dotata di un maggior numero di vocali rispetto all’italiano, che regola la sua musicalità con l’armonia vocalica. Con 15 casi e 5 forme verbali all’infinito, offre una varietà espressiva senza paragoni, forse unica al mondo. Una lingua del genere è di per sé poesia e musica, capace di dare una veste affascinante anche ai luoghi comuni. Gli esperti di lingua finlandese affermano che persino i documenti legali, scritti in finlandese, possono essere letti come poesie. Tuttavia, nella traduzione questa bellezza si perde.

Non posso esprimermi direttamente su questo, perché la mia conoscenza della letteratura finlandese si basa esclusivamente su traduzioni in ceco e in tedesco. Ho letto quello che ho potuto trovare, ma non posso presumere che i traduttori scelgano sempre le opere migliori e più rappresentative. Quello che è davvero intrinsecamente nazionale si apprezza meglio in patria, nella cultura di origine, così come i pensieri nativi sono percepiti più chiaramente quando gli scrittori introducono elementi che sfidano lo spirito nazionale.

Un osservatore straniero coglie piuttosto ciò che è diverso e distinto nella letteratura di un altro Paese, e solo chi possiede una conoscenza almeno basilare della storia, della politica, della natura e della vita economica della nazione in questione può intuirne lo spirito letterario. Può persino nutrire dubbi sulla propria percezione dell’idea di nazione, quando la conoscenza teorica viene messa a confronto con le espressioni contemporanee della letteratura. “Lo spirito nazionale della letteratura è celebrato dagli storici della letteratura finlandese”, scrive il professor Setälä, e in altre opere (ad esempio in “Kultur der Gegenwart”) se ne parla con un trasporto quasi reverenziale. Questa è per me una testimonianza fondamentale.

A parte la bellezza e la ricchezza della lingua, posso solo aggiungere, basandomi sulle mie impressioni personali, che la forma della letteratura finlandese è in perfetta sintonia con il suo contenuto. I mezzi espressivi sono sobri ed essenziali. I poeti e i prosatori finlandesi scrivono in modo semplice, usando poche parole, senza abbellimenti o artifici artistici. Non mi risulta che vi siano talenti insinceri, dediti a tecniche poetiche elaborate o alla ricerca di mode effimere.

È un po’ come leggere il “Kalevala” e la “Kanteletar”: ancor oggi vi riecheggia, tra le pagine, il canto dell’uccello per eccellenza, il cuculo. Nelle foreste della Finlandia vivono quasi tutti gli uccelli che cantano anche nei nostri boschi, ma la poesia finlandese evoca soprattutto il semplice canto del cuculo. Allo stesso modo, tra gli alberi la betulla, candida e riccioluta, rimane la più amata. La stessa innocenza che traspare dalle antiche rune si riflette come purezza, derivante da un’innata castità, ed è una qualità espressiva molto forte tra i poeti e gli scrittori di narrativa finlandesi.

Da un punto di vista puramente artistico, la letteratura finlandese potrebbe deludere i nostri critici più esigenti, come già sottolineato. Sono poche le opere che superano il livello, ad esempio, della nostra letteratura della metà del XIX secolo, il che è comprensibile: la letteratura finlandese ha lasciato la sua culla solo negli anni Sessanta del XIX secolo. Eppure, anche a questo livello, dobbiamo riconoscere che la letteratura finlandese è profondamente nazionale e continua a suscitare interesse oltre i confini della sua patria.

Lo spirito, il carattere nazionale dei finlandesi si manifesta anche nelle arti visive. Non so nulla della musica finlandese, ma ho una certa familiarità con diversi dipinti di Akseli Gallen-Kallela. Le sue tele, sia quelle che rappresentano epiche scene imponenti, anche nelle dimensioni, tratte dal “Kalevala”, sia le immagini della vita quotidiana (feste di primavera, persone intente a bere, la costruzione di case, ritratti) offrono uno stile unico e distinto da tutto ciò che conosciamo. Non è né tedesco né slavo, né italiano né inglese, e men che meno francese, il che è tanto più sorprendente in quanto Gallen-Kallela si è formato nelle scuole parigine, come molti dei nordici. La maggior parte dei nostri artisti, quando tornavano da Parigi, dipingevano e scolpivano proprio come si dipinge e scolpisce a Parigi. Sì, quando nella primavera del 1914 osservammo i modelli per il monumento a Žižka, vi riconoscemmo subito l’influenza della scultura e dell’architettura tedesche, che avevano costruito per sé un monumento imperituro sul campo di battaglia di Lipsia. Žižka e il monumento alla vittoria a Lipsia!

Esprimere il carattere nazionale finlandese di Gallen-Kallela non è semplice. Si tratta di un’amalgama di contenuto e forma. I suoi dipinti parlano della grandiosità della natura finlandese, suggerita dalle acque, dalle numerose foreste, dalla neve e dalla nebbia. Il popolo di Gallen-Kallela è pensieroso, chiuso in se stesso, austero: cacciatori, pescatori, contadini e boscaioli, ma il riflesso di questo popolo della terra cupa rimane sui volti e sulle figure di intellettuali, uomini e donne (nel dipinto “Symposion”, l’immagine della madre di Gallen-Kallela).

L’elemento nazionale finlandese nella forma delle linee di Gallen-Kallela si manifesta in una sorta di durezza del tratto, eppure è rigoroso e preciso e, pur non essendo immediatamente piacevole, è fortemente decorativo. I colori dei dipinti—mi è difficile esplicitarli—sono semplicemente e intrinsecamente finlandesi. Akseli Gallen-Kallela, dopo anni di apprendistato, di avventura e viaggi in Europa, ha scelto di vivere in una solitaria casa nei boschi della Finlandia, diventando un punto di riferimento per i giovani finlandesi, che lo considerano maestro e fondatore di quella scuola.

Le belle lettere finlandesi, nonostante la loro relativa giovinezza e incompletezza, hanno da tempo attirato l’attenzione oltre confine. Nel 1899 fu pubblicata a Lipsia un’antologia di poesia finlandese, “La Finlandia nell’immagine della sua poesia e dei suoi poeti”, a cura di Arno Brausewetter. Questo quadro poetico della Finlandia è composto da un mosaico di poesie, racconti, schizzi e novelle.

Se l’intenzione di Brausewetter era di raccomandare la Finlandia e i finlandesi all’attenzione dei suoi connazionali nel momento in cui la Russia attaccava per la prima volta il libero Paese della Finlandia; se Brausewetter pensava di suscitare il più vivo interesse per i finlandesi attraverso un’immagine della poesia finlandese, e se con quell’immagine voleva dimostrare che i finlandesi sono sì una nazione piccola, ma non per questo priva di peculiarità intellettuali, anzi che il loro sviluppo di appena un secolo dimostra l’autostima nazionale e l’arricchimento della cultura europea, il suo lavoro ha avuto successo. È stato in grado di raccontare aspetti magici del Paese e del suo popolo attraverso esempi tratti dalla poesia popolare finlandese e dalla letteratura. La Finlandia è uno dei luoghi più magnifici del mondo, dove la sussistenza si conquista attraverso aspre lotte con la natura, ma proprio per questo ha dato vita a un popolo che, nonostante i suoi difetti e le sue debolezze, possiede qualità rare e significative.

In Finlandia si assiste a uno sviluppo intellettuale e artistico straordinario e del tutto peculiare. L’estinzione di questa giovane cultura sotto l’oppressione russa comporterebbe la perdita e l’impoverimento non solo dell’Europa ma dell’intera umanità. Brausewetter ha attinto direttamente dalle parole degli scrittori finlandesi, che descrivono un Paese e un popolo che meritano di essere conosciuti. Esaminando a nostra volta questi scrittori, possiamo confermare le loro affermazioni, perché in esse si riflettono in modo chiaro e indiscutibile il carattere distintivo e innegabile del popolo finlandese e le facoltà mentali della nazione. A tal proposito, riflettiamo anche sulla letteratura ceca.

Jan Herben, disegno di Hugo Boettinger, 1927

(Traduzione dal ceco di Antonio Parente)

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