Parlando con le mie amiche, mi accorgo spesso del loro bisogno di dare un senso alle cose sconosciute mettendole in relazione con ciò che già conoscono, che si tratti di un luogo completamente nuovo, di un piatto insolito o di un concetto innovativo: il cercare dei punti di riferimento familiari dà un senso di sicurezza e tranquillità. Mi è capitato di sentire confrontare i canali di Venezia con quelli del fiume Aura di Turku, ad esempio; un luogo che potrebbe risultare scoraggiante e sconosciuto si trasforma così in qualcosa che è possibile visualizzare e contestualizzare. Suggerire che Venezia assomiglia a “una Turku più grande” o paragonarla a un’altra città con i canali, per esempio, permette di coglierne l’essenza senza che sia necessaria un’esposizione diretta da parte di chi ascolta.
Per quanto a volte inopportuni, grazie a questi confronti le nuove scoperte diventano più accessibili e ci permettono di apprezzarle con maggiore chiarezza.
Un simile approccio l’ho sperimentato anche per quel che riguarda i commenti riguardanti i pasti offerte dalle mense universitarie finlandesi, dove ogni volta che nel menù compare un piatto più “esotico”, viene subito paragonato a qualche pietanza tipicamente finlandese, o comunque conosciuta da esperienze culinarie locali. La cosa che però mi ha portato a riflettere maggiormente è l’utilizzo da parte delle mie amiche dell’espressione “secco” per descrivere la (poca) qualità di una vasta gamma di piatti.
Questa definizione può riguardare la pasta o il riso quando il condimento non è giudicato abbastanza abbondante (intendendo per abbondante, in questo caso, un vero e proprio “galleggiamento” nel sugo o nella salsa di accompagnamento), ma può essere estesa anche a verdure o secondi piatti giudicati di una “brodosità” insufficiente.
La percezione della secchezza negli alimenti e, più in generale, il concetto stesso inteso come espressione di valori culturali assume generalmente una connotazione negativa, anche se non in tutte le culture a me familiari. E mi fa sorgere il dubbio: il fatto che nell’offrire un pezzo di pollo a un ospite si privilegi spesso il petto (più secco) rispetto alla coscia rappresenta una caratteristica tipicamente meridionale (in particolare campana), oppure è comune anche in altre regioni italiane?
Posso confermare, per un confronto internazionale, che nella Repubblica ceca la parte del pollo considerata più pregiata è invece proprio la coscia. Senza necessariamente ricorrere all’analisi comico-psicologica proposta dalla celebre opera teatrale Il petto e la coscia di Indro Montanelli, è evidente che il concetto di secchezza è spesso associato a significati negativi come la mancanza di umidità, l’assenza di vitalità o persino l’opacità.
Tuttavia, la parola secco (o asciutto) viene utilizzata frequentemente in poesia, prosa e altri contesti culturali con accezioni neutre o persino positive, per indicare una bellezza sobria, un’espressione chiara e precisa o un umorismo sottile, come nel caso della conclusione di una poesia di Kari Hotakainen, a commento di una fotografia: Sullo sfondo, tracce di società; / quelle si insinuano in ogni foto.
Tornando ai riferimenti gastronomici, la secchezza è una qualità apprezzata in molti Paesi perché consente di far emergere chiaramente i sapori autentici degli alimenti senza risultare eccessivamente dolce o grassa. Questo termine riveste, inoltre, un significato decisamente positivo anche nella cultura del vino: l’aggettivo “secco” indica un vino caratterizzato da un bassissimo contenuto di zuccheri residui e spesso considerato superiore rispetto ai vini demi-sec o amabili. Anche nel caso della frutta secca, l’aggettivo identifica una caratteristica desiderabile: la rimozione dell’umidità concentra i sapori e prolunga la durata di conservazione, trasformando questi prodotti in elementi essenziali della cucina tradizionale di molte culture.
Spesso, quindi, è proprio nella modestia, nella sobrietà e nella “secchezza” espressiva che risiede il fascino più autentico e profondo. E la letteratura finlandese, nella maggior parte dei casi, ne rappresenta un ottimo esempio.
(Sotto il titolo: Guillaume Romain Fouace, Natura morta 1876, da meisterdrucke.it. Tutte le immagini utilizzate sono tratte da wikipedia)