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Il folletto e i doni del Natale

HALTIAN JOULULAHJAT

di Juhani Aho

da “Lastuja I-III” WSOY 1920

I bambini erano saliti sulla collina per trascorrervi la vigilia di Natale, e ora scendevano di gran carriera lungo il pendio per poi risalire, finché l’oscurità crescente non rese ogni ascesa sempre più faticosa. Heikki, il più piccolo del gruppo, al quale per sua sfortuna era toccata la slitta meno agile e comoda, arrancava sul terreno in pendenza, fermandosi ogni tanto a riprender fiato, seduto davanti alla sauna che si trovava press’a poco a metà strada tra il cortile e la riva del lago.

Stremato dallo sforzo, alla fine si lasciò cadere sulla slitta e chiuse gli occhi per concedersi un istante di riposo. Seduto lì, nel mezzo del pendio con la schiena appoggiata alla parete della sauna, gli balenò per la mente uno di quei pensieri che solo un ragazzino riesce a concepire:

«Chissà come fa quel castrone a trainare quel barile d’acqua così pesante…»

Non aveva ancora finito di formulare quel pensiero, quando, da dietro la sauna, sbucò un folletto, uno di quegli angioletti che Heikki vedeva spesso popolare i suoi sogni notturni e talvolta perfino, di giorno, le fantasticherie a occhi aperti. Gli somigliava in tutto e per tutto, sia per l’aspetto che per la statura, come l’immagine riflessa che aveva più volte contemplato nell’enorme specchio della sala. Di conseguenza, Heikki non provò alcun timore quando la creatura gli rivolse la parola:

«Da solo, senza il mio aiuto, non ce la farebbe mai.»

«In che modo lo aiuti?»

«Vieni con me e lo vedrai. Resta pure seduto sulla slitta, la traino io.»

«E dove stai andando?»

«Vado a consegnare i regali di Natale.»

«Anche a me?»

«No, perché ieri hai frustato il cavallo, sebbene già tirasse il carro con il barile colmo d’acqua.»

«E a chi li porti, allora?»

«A tutti gli animali maltrattati, percossi e tormentati da gente crudele.»

«Perché mi conduci nel bosco?» domandò Heikki, vedendo il folletto dirigersi verso il cancelletto del recinto. Per quanto la neve non fosse compatta, la slitta non sprofondava.

«Porto i regali di Natale alle lepri.»

«Regali di Natale alle lepri? Sei davvero buffo…»

«Taci adesso.»

Dopo aver percorso un breve tratto, il folletto emise un fischio basso, ed Heikki vide spuntare  da un cespuglio vicino una lepre bianca, che si fermò davanti al folletto rizzandosi sulle zampe posteriori.

«Auguri di Buon Natale! Sono venuto a informarti che ho abbattuto alcuni pioppi al margine del campo, senza che nessuno se ne accorgesse. Ora si può andare dappertutto, senza più temere i lacci, che ho tagliato, né il cane, che ho rinchiuso nella cuccia. Fa’ sapere agli altri che possono venire a prendere il loro pasto di Natale.»
«Senti un po’, non andartene ancora… Se per caso incontri le pernici, avvisale: che vengano pure sotto il granaio a beccare i chicchi natalizi… Il gatto, per queste feste, se ne sta tutto il tempo acciambellato sulla stufa della stalla.»

La lepre saltellò via tutto felice, facendo persino una capriola lungo il cammino.

«Ci andranno davvero?» chiese Heikki.

«Va’ a vedere tu stesso domani, e lo saprai.»

«Sei tu che spezzi i lacci delle trappole per le lepri?» chiese allora Heikki, ricordandosi di quante volte il fratello maggiore si era lamentato che le lepri gli danneggiavano le trappole.

«Sì, me ne occupo io, taglio le corde, faccio inceppare i fucili e lancio incantesimi sui cani. Inoltre, do consigli agli animali su dove trovare da mangiare, spazzo la neve dai campi e faccio cadere gli alberi col vento… se non badassi a loro, tutti le buone bestiole del bosco si estinguerebbero presto.»

«La mamma, a Natale, mette sempre fuori i fascetti d’orzo per i passeri…»

«Sì, quando glieli faccio sistemare io. Se è impegnata in altre faccende e se ne dimentica, allora mi metto a cinguettarle all’orecchio come un passerotto, finché se ne ricorda.»

«L’hai fatto anche oggi? La mamma, tutto d’un tratto, ha esclamato: “Ah, e non bisogna dimenticare i passeri!”»

«Proprio così, in quel momento ero lì, dietro il suo orecchio, solo che voi non potevate vedermi.»

Mentre parlava, il folletto avanzava a passo lieve come un cane, lungo il sentiero che conduceva al cortile. Giunti davanti alla stalla, afferrò Heikki per le braccia e lo fece scivolare dalla finestrella direttamente sul soffice fieno della greppia. Si sporse poi anche lui e, insieme a Heikki, si lasciò cadere proprio di fronte al cavallo, finendo nella mangiatoia appena riempita a metà di biada.

«Perché non mangi?» chiese il folletto.

Il cavallo, però, non rispose, rimanendo immobile, la testa china, le labbra tremanti e le orecchie flosce.

«Morello!» mormorò il folletto con dolcezza, dandogli delle pacche sul collo.

Il cavallo sbuffò lievemente e sollevò appena la testa.

«Non gradisce quello che ha da mangiare» concluse il folletto. «Non è capace di esprimere lamentele, ma io comprendo i suoi pensieri. Per tutto l’anno ha dovuto trainare carichi pesanti, quasi sempre da solo. Poco prima di Natale, è dovuto anche andare e venire dalla città per riscuotere i soldi delle feste, nonostante il percorso ghiacciato. C’era premura, e si procedeva veloci, senza nemmeno scendere dalle slitte in salita, nonostante Morello si fermasse in attesa. Poi ogni giorno la stessa storia: una volta i tronchi, un’altra il fieno, mattina e sera a trascinare su per il pendio il pesante barile dell’acqua. E ora non riesce neppure a mandar giù un boccone, nonostante abbia cibo a sufficienza, per via della pena che lo affligge, perché nessuna mano gli accarezza il muso, o gli dà pacche riconoscenti sul collo; sulla schiena sente soltanto il morso della frusta. Ieri questo ragazzo ti ha colpito, Morello, ma da oggi non accadrà più. È vero, Heikki?»

«Non lo farò mai più» promise il ragazzo, sentendo un nodo stringergli la gola.

«E da grande non alzerà la mano su di te, né permetterà che altri ti facciano del male. Promette di comportarsi bene con te e con tutti gli altri cavalli e animali. Su, Heikki, vieni ad accarezzalo.»

Morello sollevò a poco a poco la testa, rizzò le orecchie, e i suoi occhi rivelarono una calma crescente.

«Anche per te verranno dei giorni felici, Morello» continuò il folletto, con voce sempre più affabile. «Domani il padrone metterà dei campanellini sulla tua imbrigliatura, redini e cinghie nuove con le fibbie lucenti. Gli altri cavalli ti guarderanno con invidia, lassù sul poggio della chiesa, e ti paragoneranno a uno stallone. E se riuscirai a superare l’inverno, poi tornerà l’estate, capisci? L’estate. Allora si potrà andare al pascolo, correre liberi dove si vuole, affondare nell’erba alta fino quasi alle ginocchia, galoppare lungo le rive del lago, brucare i prati freschi nelle notti serene e riposare all’ombra fresca del bosco durante il giorno. Che ne pensi di una vita così, Morello?»

A quelle parole il castrone emise un lungo sospiro, le narici si dilatarono e il collo si piegò per strappare un fascio di fieno dalla greppia.

«Ecco, gustalo pure! Pensa a quello che ti ho detto e non lasciare che i pensieri tristi e le preoccupazioni ti tormentino. Anche Heikki verrà a trovarti ogni giorno.»

Contento, il cavallo arricciò le labbra, tentando di leccare il ragazzo, poi affondò il muso nella biada fino alle narici, e cominciò a masticare rumorosamente.

«Sì, mastica pure, mangia tutto» lo esortò il folletto. «Ora ce ne andiamo e ti lasciamo in pace. A presto, Morello, e buon Natale!»

«Non gli hai dato nessun regalo natalizio?» osservò Heikki, dopo aver attraversato il ponticello ed essere uscito dalla finestrella, ritrovandosi davanti al fienile; il ragazzo riprese posto sulla slitta.

«Non consideri doni il fatto che gli abbia alleggerito il cuore e la mente? Se ne ricorderà fino all’estate» replicò il folletto.

«Se ne ricorderà davvero?»

«I cavalli hanno buona memoria. Se una sola volta all’anno ricevono un po’ di bontà, se qualcuno li tratta con dolcezza, ricorderanno soltanto quegli attimi felici, dimenticando i giorni più duri, e saranno desiderosi di trainare anche i carichi più pesanti. Ora capisci come faccia a trascinare quel gran barile d’acqua? E ora, buon Natale anche a te.»

«Te ne vai già?»

«Ho una gran fretta. Devo andare nella stalla a confortare le vacche, che passano tutto l’inverno legate… già muggiscono perché avvertono la mia presenza. E devo visitare ancora molte case, perché stasera mi aspettano anche tanti ragazzini come te, Heikki. Abbi cura di Morello, mi raccomando.»

«Non lo picchierò mai più!» gridò Heikki con fervore, ma proprio in quell’istante il folletto diede un possente calcio ai pattini, e la slitta scattò via come lanciata giù per una discesa. Quando Heikki si riprese dallo stupore, si accorse di trovarsi esattamente dov’era prima che il folletto comparisse: seduto sulla slitta, in mezzo agli altri bambini.

«Dov’eri finito? Ti abbiamo chiamato molte volte» gli dissero. «Ti eri addormentato?»

«Non si deve più picchiare Morello» rispose Heikki.

«Ma che vai dicendo?»

«Bisogna dargli una pacca sul collo a Natale» insisté il bambino. «Quando sarò grande, non permetterò più a nessuno di fargli del male.»

Gli altri bambini lo deridevano, ma Heikki continuò a parlare di lepri e di pernici, e di come a Natale bisognasse pur dar loro qualcosa da mangiare. Che venissero l’indomani a vedere con i propri occhi.

Per tutta la sera della vigilia ripeté ostinatamente le stesse cose, senza curarsi delle risate degli altri, che consideravano quelle sue affermazioni mere fantasie.

Heikki, tuttavia, era così convinto delle rivelazioni ricevute dal folletto che la mattina di Natale, appena gli fu possibile, si recò al campo per vedere se la lepre fosse davvero venuta a rosicchiare le foglie dei pioppi. Sì, c’era la sua traccia, e anche le impronte delle pernici davanti al granaio. Si diresse poi alla stalla, dove trovò Morello rotondo come una botte, che gli lanciò uno sguardo benevolo. Anche le mucche, distese, ruminavano placidamente, come se non mancasse loro nulla.

Ma sulla via del ritorno, dopo la messa di Natale, Heikki vide un uomo frustare il proprio cavallo. Allora gli sfuggì un grido: «Non fargli del male!» L’uomo si voltò così sorpreso da smettere di agitare la frusta, che lasciò cadere accanto a sé nella slitta.

Juhani Aho col figlio Heikki a Tuusula nel 1897

(Immagine del titolo da digi.kansalliskirjasto.fi)

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