Corpo fiammante, l’ardore di una pubblicità gigante:/ GITANAS! GITANAS!/ il fischio cristallino della locomotiva nella campana di vetro: / Parigi – Berlino – Costantinopoli.Questo è l’incipit della poesia “Gitanas”, una delle più citate quando si discorre delle prime opere poetiche di Mika Waltari (1908-1979), testi pieni di estasi, incantamento e fascino dei fenomeni emblematici della vita moderna, fortemente romanticizzati ed esteticizzati.
I titoli delle prime raccolte di Waltari, Lauluja Saatanalle (Canti per Satana, raccolta inedita, 1926), Sinun ristisi juureen (Ai piedi della tua croce, 1927) e Valtatiet (Autostrade, 1928) descrivono in modo sintomatico il cammino artistico-intellettuale di ricerca dell’autore, a quel tempo all’incirca ventenne. Nella sua prima raccolta Waltari, figlio di un pastore protestante e lui stesso studente di teologia, invoca il suo “nobile e glorioso signore, Satana”, che lui chiama “il mio Dio”. Satana è “meraviglioso”, “scuro e cupo” ed associa la forza creativa e il desiderio di conoscenza, non soltanto artistica: “La sete mi donasti, / una fame e una sete inestinguibili”. Allo stesso tempo, Satana è “il padre dell’orribile e fantastico dubbio”, simbolo di tutto ciò che durante l’infanzia e la giovinezza dell’autore veniva considerato proibito in quanto “peccaminoso”. Nella raccolta successiva Waltari fa umilmente ritorno alla fede dei padri, per poi, però, distaccarsene ancora una volta, e continuare così il suo cammino di ricerca.
La “peccaminosità” era per Waltari legata alla vita bohémien, più specificamente agli incontri con un gruppo di giovani poeti chiamati Tulenkantajat (I portatori di fuoco). Fu questo il primo gruppo letterario della giovane generazione di autori di lingua finlandese della Finlandia indipendente, ed i critici letterari, successivamente, iniziarono ad associarli alle prime manifestazioni del Modernismo d’avanguardia nella letteratura in lingua finlandese.
Naturalmente, tutto ciò non vuol dire che la poesie di Waltari di quel periodo non siano interessanti, se non altro anche perché nei suoi testi riscontriamo la cristallizzazione dei temi tipici del Waltari scrittore: il fascino del già citato “peccato”, l’accentuazione del tema della solitudine come condizione di base dell’essere umano, l’oscillazione tra estasi e disperazione, il cosmopolitismo o per lo meno l’internazionalità, la suggestione esercitata dalla metropoli, dal progresso tecnologico (il cosiddetto romanticismo delle macchine) e, parallelamente, dal già menzionato esotismo, in particolare dai motivi egiziani, all’epoca in gran voga.
Così come in altri paesi europei, anche in Cecoslovacchia e in Finlandia questo culto della contemporaneità può essere considerato come una reazione alla prima guerra mondiale (in Finlandia forse piuttosto alla guerra civile del 1918), una risposta specifica, imbevuta dello spirito nazionalista caratteristico per quelle nazioni che ottennero l’indipendenza negli anni 1917-1918, e che negli anni Venti si dedicarono alla costruzione dello Stato indipendente. Il desiderio di dimenticare i traumi della guerra si fonde con le posizioni vitaliste, la celebrazione della giovinezza, del culto del corpo e della vita. L’arte diventa l’arte di vivere, secondo le parole di Karel Teige “l’arte di vivere e di godere”, che “deve essere in ultima analisi ugualmente ovvia, piacevole ed accessibile come lo sport, l’amore, il vino e tutte le delizie.” Nel contesto finlandese il “programmatismo aprogrammatico” è più che evidente nei testi pubblicati sulla rivista Tulenkantajat, e nello stesso manifesto (o meglio antimanifesto) del gruppo di autori che siamo soliti raggruppare sotto quel nome:
La vita è sacra. Noi amiamo la vita. L’arte è sacra. Noi la serviamo. Nessun programma sopravvive più generazioni e nessuna verità è eterna. Lo scopo della vita è continuare a viverla. Pertanto, il nostro unico obiettivo è: la libertà intellettuale, la libertà di poter criticare tutto, di poter trattare di tutto. Non riconosciamo le autorità, in quanto, a causa della loro posizione, mostrano la propria codardia nei confronti della vita. Guardate: com’è meravigliosamente giovane la nostra terra, com’è piena di forza! Venite, non abbiate paura: Vi è stato assegnato il compito di creare qualcosa di nuovo e importante. Spezzate la catena che vi stringe i cuori: Siate voi stessi, sperimentate la vita!
L’orientamento del Poetismo ceco e dei giovani letterati finlandesi degli anni Venti era dunque caratterizzato dall’eclettismo e dalla mancanza di una profondità filosofica, come sottolineato dalla dichiarazione di Teige: “Il poetismo non ha alcun orientamento filosofico. Sarei piuttosto propenso a riconoscere un’affinità col dilettantismo, con un eclettismo pratico, elegante e di buon gusto”. È discutibile in che misura a questa tendenza possano essere attribuiti gli aspetti problematici che un lettore di oggi sicuramente riesce a cogliere nei testi in questione. Oltre alla dimensione di genere (per quanto riguarda il lavoro di Waltari, la problematica rappresentazione della donna è ben nota) è soprattutto la citata passione per l’esotismo che ha dato origine alle poesie e ai testi di quell’epoca. Dal punto di vista attuale, difficilmente possiamo descrivere questi testi se non come razzisti, o, per usare la nota caratterizzazione di Edward Said, “imbevuti dello spirito dell’orientalismo”, anche se ogni analisi, naturalmente, deve tener conto del contesto nel quale tali testi originarono negli anni Venti. L’identificazione dei rappresentanti della “razze scure” col barbarismo e l’animalismo, compreso il confronto diretto con gli animali, la proiezione delle caratteristiche che inorridiscono ed affascinano un giovane rappresentante della “razza bianca”: tutto ciò è riscontrabile nelle prime opere di Waltari, e sono questi i punti più controversi per un lettore contemporaneo. Ingenua e impropria può apparire ai nostri giorni anche la celebrazione del “moderno paesaggio contemporaneo”, rappresentato dalla grande città, e del trasporto automobilistico, dell’automobile come simbolo o emblema della vita moderna.
In questo contesto, alcune poesie di Waltari si presentano quasi come una sfida; oggigiorno non possiamo leggere questi testi se non come un commento ironico, sarcasticamente mordace di ciò che la civiltà e il “progresso”, rappresentati dalla razza bianca, e specificamente dall’“uomo bianco”, hanno finito per perpetrare. Come osservato da Päivi Lappalainen già nel 1990, ad esempio, nella poesia di Waltari “Hopeahaikara” (La cicogna argentea – un riferimento alla marca di automobili Hispano Suiza) l’auto personificata è sia un affascinante feticcio sia il simbolo minaccioso della disumanizzazione.
Nel secondo decennio del nuovo millennio ancora più eloquente risuona la poesia intitolata “Me valloittajat” (Noi, i conquistatori) soprattutto quando contestualizzata nella critica ai sovrani senza scrupoli, come espressa nei romanzi storici di Waltari. In un simile riferimento contestuale, l’esotismo delle correnti moderniste o semi-moderniste del periodo tra le due guerre mondiali acquista nuovi significati.
[…]
e noi conquistammo il mondo con la forza della razza
bianca segnando le nostre strade con croci che marciscono
e sepolcri che svaniscono.
A colpi di vanga e di zappa, col fucile sottomano, creammo
i terrapieni delle ferrovie;
il primo treno saettò roboante lungo i binari
fino ai Grandi Laghi salati.
Con colpi esplosivi e cariche di dinamite trivellammo
i tunnel nel monte;
aprimmo al mondo i pozzi di petrolio delle Ande e
le miniere di rame.
Orbi di febbre innalzammo ponti
per attraversare corsi ignoti;
trasportammo i tronchi di mogano dell’Amazzonia
con zattere giganti.
[…]
Nessuno conosce i nostri nomi; le croci di legno
marciscono; le nostre lapidi svaniscono nella sabbia.
BIBLIOGRAFIA
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Lappalainen, Päivi, „Koko Euroopalle sä kättä annat.“ Tulenkantajien kosmo-
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Tuhkanen, Totti, Futurismi ja vastahakoiset suomalaiset. Settentrione. Rivista di studi italo-finlandesi. Anno I, 1989.
(Traduzione di Antonio Parente)
Tratto da Ancora Imparo. Raccolta di scritti in onore di R. Pieraccini. A cura di R. Andronico, A. Parente, M. Viitasalo. Helsinki: The Pieraccini Foundation 2013, pp. 316-323.
La Rondine – 14.2.2018