Scriveva Romano Luperini di Montale, qualche tempo fa: “Proviamo a considerare la poesia di Montale da una certa distanza, come un paesaggio visto da lontano o come una catena montagnosa descritta da una pianura… Nei libri successivi il passaggio dalla prosa al diario disegna una linea ormai piatta e orizzontale.” Una orografia della poesia montaliana che invita a vederla “da una certa distanza” tenta anche Hannimari Heino con la sua antologia montaliana tradotta in finlandese, col testo a fronte, dal titolo Tuo minulle auringonkukka – Portami il girasole (editore Parkko).
Prima di tutto va detto che era ora. A quasi un secolo dalla prima edizione italiana di Ossi di seppia qualcuno in Finlandia (un nuovo e promettente editore di Turku, Parkko) s’è ricordato di uno dei massimi poeti del Novecento europeo, tradotto in passato solo con pochi versi in qualche antologia.
Montale per molti è “solo” un premio Nobel (come pare inevitabile, mi pare, nei commenti sulla stampa finlandese), e invece si tratta di una figura intellettuale che ha segnato il pensiero moderno e attraversato i vari canoni del Novecento per arrivare fino a noi. Da tutto questo i lettori (e in parte gli scrittori) finlandesi, sono stati esclusi.
Penso alle tante imprese della collaborazione italo-finlandese, le serie di Convegni dedicati agli scambi tra i due Paesi, senza mai porre in maniera sistematica la questione dei classici italiani, vale a dire di quei testi fondanti della cultura europea. Le poesie di Montale sono uno di questi classici, ma, a guardare al passato, la lista è infinita: cito, uno per tutti, l’Ariosto. A quanto ne so, siamo sempre a quel centinaio di versi dell’Orlando tradotti da Yrjö Jylhä in Italian kirjallisuuden kultainen kirja (WSOY, 1945).
Dunque grazie a Hannimari Heino, poetessa e traduttrice di lungo corso, che ha deciso di affrontare da sola questa montagna, col coraggio di un’apripista. Come nelle scalate alpine, aiuta molto poter seguire la “via” tracciata da altri, che permette di misurarsi, nel tempo, anche con le forme della traduzione. Per fare un esempio per l’inglese, quanto conterà per un traduttore moderno di Montale rifarsi alla “via” tracciata da Arrowsmith con la sua sensibilità verso la cultura classica?
Detto del progetto, e della qualità dell’edizione, qualche appunto sulla traduzione, che faccio con la prudenza e la circospezione che si deve avere quando si parla di una lingua che non si conosce adeguatamente, e dunque ci si espone a fraintendimenti. Le mie dunque sono riflessioni “da lontano”.
Hannimari Heino ci offre una versione attenta e rispettosa della lettera del testo. Che non vuol dire “letterale”, in senso riduttivo. Il suo è uno sforzo di seguire “passo passo” il fluire delle parole. Impresa non piccola, tenuto conto della distanza lessicale e sintattica delle due lingue, la “sfida linguistica” che Montale pone a ogni suo traduttore, non solo in finlandese.
Un altro aspetto rilevante per chi traduca testi poetici è misurarsi con il ritmo, le assonanze, le rime, la musicalità. La Heino dichiara francamente ciò che ha fatto (p. 16): si è affidata soprattutto al ritmo e alla musicalità, senza porsi il problema di una metrica esatta, ma sfruttando allitterazioni e omofonie tipiche della tradizione finlandese. A volte questo sforzo mimetico arriva a cercare anche nel testo italiano analogie rassicuranti. Alle pp. 40-41 (Non chiederci la parola) lo sforzo di rendere le allitterazioni dell’italiano nel finlandese arriva a questo esito:
perduto in mezzo a un polveroso prato.
outona nuutuneella niityllä.
In questo senso trovo riuscita la traduzione del Motteto 11, L’anima che dispensa, in cui l’anima e la voce sono le parole chiave. Qui le melodie popolari, furlana e rigodone, sono lo spunto per esprimere lo scetticismo del poeta verso una forma troppo ‘diffusa’ di emozioni momentanee. Tutto può essere poesia, ma ci vuole una grande capacità di ‘condensazione’ per non cadere nella cantilena, nel do-re-la-sol-sol, il solfeggio che chiude il mottetto. Qui la centralità della sillaba (della nota) La è evidente: L’anima, furlana, della strada, s’alimenta, della chiusa, la ritrova, la tua voce, ecc., e rimanda a quel bla-bla-bla delle espressioni momentanee e caduche (che ritroviamo altrove, per esempio in Satura). La versione di Heino rende adeguatamente la musica e il senso riposto di quel cantilenare:
Aänesi on tätä sielua siellä täällä.
Langoilla, siivillä, tuulessa…
Una strategia raffinata, che rimanda a un lettore esperto, capace di avvertire differenze e affinità.
Sul piano lessicale, invece, la scelta di accompagnare il lettore “un passo alla volta” non sempre porta a risultati convincenti. Ecco questa strategia ben visibile nel primo verso dell’”osso” già citato a pp. 40-41:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato…
Älä pyydä meiltä sanaa joka kartoittasi kaikin puolin…
Qui è evidente che il rispetto del contenuto lessicale non tiene conto non solo del computo delle sillabe, ma anche del ritmo. E ciò ci riporta a una domanda fondamentale: a chi è rivolto questo volume? Hannimari Heino nella sua Introduzione ci dice che la sua scelta è rivolta anche a un genere di lettore “che non abbia competenza nel campo della letteratura italiana”. Una dichiarazione che, personalmente, mi lascia dei dubbi, almeno per la strategia di traduzione dichiarata. Perché un lettore “ingenuo”, per così dire, dovrebbe rivolgere la sua attenzione soprattutto al testo tradotto, e lì trovare senso e musicalità dell’originale. Mentre invece la strategia adottata di una precisa “letteralità”, e di grande rispetto degli elementi ritmico-musicali, fa leva semmai su una certa competenza del lettore nel padroneggiare l’originale come prima lettura, cercando poi conferme nella traduzione.
Un lettore come quello auspicato dalla traduttrice non trova nel testo finlandese quella condensazione di pensiero che l’originale offre. Così, per esempio, in un testo notissimo degli “Ossi di seppia”, Meriggiare pallido e assorto, incontriamo quel tempo sospeso tipico di questa fase di Montale, affidato all’infinito dei verbi: ‘Meriggiare – ascoltare – spiare – osservare’, che poi improvvisamente si contrae in un ‘andando’ all’inizio dell’ultima strofa, prima di abbandonarsi nuovamente al ‘sentire’. Qui la traduzione finlandese perde questa sincope, questo spostamento dell’accento, affidando solo all’infinito l’intera sequenza, che termina con Ja kulkea… ihmetyksen vallassa.
Un dubbio simile mi pone la traduzione di uno dei “Mottetti”, il sesto, dove la differenza di aspetto verbale nell’incipit, m’abbandonava, e mi chiesi, si perde nel finlandese jätti… ja mietin. In casi come questo, mancando una equivalenza dei sistemi verbali, forse il punto è la scelta del tipo di verbo.
Anche questo è ritmo, ma del pensiero, e non conta meno di quello musicale.
p. 83: kohtalosi “il tuo fato”, ma l’originale ha un dativo: “al tuo fato”.
p. 110: quinzaglio : guinzaglio.
p. 114: sangue tua : sangue tuo
A pagina 108 mi ha colpito la traduzione di: cadenza di carioca con “kuuliaisen tanssin tahdin”. Qui, come è stato fatto per furlana e rigodone a p. 121, avrei conservato il nome della danza brasiliana, dandone il significato in nota, come fatto per i due balli precedenti. Come segnala Dante Isella, nel suo fondamentale commento dei Mottetti, carioca è una voce che “fa serie con furlana, rigodone…”
Eugenio Montale
Tuo minulle auringonkukka – Portami il girasole
Editore Parkko – Turku, 2018, pp. 307
La Rondine – 21.12.2018