Ogni lingua, più o meno, ha i suoi sì. Noi italiani abbiamo un’abbreviazione di sic est, “così è”, i finlandesi un allungamento di una vocale, joo, che è piuttosto un “così sia”.
La parola ha, ovviamente, uno zio scandinavo, jo (svedese moderno jå) ma il nipote d’oltre Botnia ha da tempo seguito la sua strada e, con i padri nobili, kyllä, niin, aivan e altri avverbi di affermazione ha perso ogni contatto.
Nella sua compostezza joo è un inno alla vita: se al telefono con una suocera loquace il silenzio non viene scandito da uno joo mormorato ogni cinque secondi, si è portati a pensare che il genero o la nuora, dall’altra parte del filo, siano deceduti.
Come parte del discorso, joo ha il compito di ricordare che, nel linguaggio, la logica è un optional; locuzioni come joopa joo, all’incirca “eh sì che sì” o joo mutta ei, “sì ma no” hanno nel dialogo la medesima funzione dell’ananas sulla pizza: sono ornamenti del tutto privi di decoro. Le varianti jaa, jaha, jaaha e juu servono a sottolineare che, in Finlandia, è possibile intavolare una conversazione stiracchiando vocali a caso dietro una semivocale palatale senza alcuna pretesa di contenuto. Con una opportuna sequela di emissioni sonore a bassa frequenza, l’interlocutore sarà sempre convinto che l’altro gli stia dando ragione, a tutto vantaggio della coesione sociale e dell’armonia tra gli individui. (m.g)