“C’è qualche accenno a fatto reale o storico in fondo a questa più alta avventura dell’epos finnico, il ratto del Sampo?”, si chiedeva Domenico Comparetti nel saggio Il Kalevala o la poesia popolare dei finni (1891). Chiunque, negli ultimi due secoli, si sia occupato della lirica e dell’epica popolare baltofinnica, dagli etnologi di inizio Ottocento agli scrittori del dopoguerra, ha prima o poi ceduto alla tentazione di offrire una propria interpretazione sull’origine e sul significato del suo elemento più misterioso e contraddittorio, il sampo, simbolo celeste fin dalla sua creazione eppure oggetto conteso per caratteristiche del tutto mondane: la garanzia di un benessere fatto di sale, dispense piene e, ovviamente, soldi in quantità.
Elias Lönnrot ne ha fatto una sorta di colonna portante nell’eclettica intelaiatura narrativa del Kalevala, cucendo cicli nei quali il manufatto è descritto come il palladio delle genti di Kalevala e di Pohjola: la forgia del sampo da parte del fabbro Ilmarinen, colui che fabbricò la volta celeste, per ottenere la mano della bella figlia del Nord la cui avida madre, la signora di Pohjola, chiude la preziosa cornucopia nel monte roccioso, la spedizione degli eroi di Kalevala nella terra del Nord per recuperare un bene ormai diventato strumento di potere come l’Unico Anello di Tolkien, la fuga da Pohjola inseguiti dall’arcigna dama mutatasi in un mostruoso uccello con le schiere armate tra le ali e la distruzione del sampo in mare aperto con la conciliante allegoria dell’epilogo, i frammenti portati dalle onde per offrire alle terre dell’uomo un briciolo della perduta età dell’oro.
Ma laddove il mito è stato avaro di spunti per la soluzione dell’enigma, gli studiosi hanno dovuto ricorrere alla propria immaginazione nel tentativo di capire cosa effettivamente intendessero i popoli dell’antichità boreale con quella parola tanto familiare e affidabile da prestare il nome a banche e fondi assicurativi, eppure così criptica e sfuggente.
Per Lönnrot si trattava della statua della divinità biarma Jómali, oggetto di culto e, per la ricchezza delle offerte, di alcuni tentativi di saccheggio da parte di avventurieri norreni, per Carl Axel Gottlund era la sopravvivenza del mito greco del vaso di Pandora, per David Emanuel Daniel Europæus un’imbarcazione e, fuori dalla Finlandia, per Jacob Grimm un mulino, per Karl Joseph Simrock un’allegoria del sole (posizione poi ripresa da Iivar Kemppinen), per Jens Andreas Friis un tamburo sciamanico e per John Croumbie Brown uno scudo guerresco. La ricerca sull’origine del sampo ha imboccato la via del rigore scientifico con gli studi di Kaarle Krohn e, negli anni Trenta del secolo scorso, grazie allo sforzo del linguista Eemil Nestor Setälä e del folclorista Uno Harva (nato Holmberg).
Una delle caratteristiche strutturali delle strofe trocaiche baltofinniche, il parallelismo (finlandese kerto), ovvero la ripetizione in un distico del medesimo significato in forma e con un lessico diverso, offre significativi spunti nell’interpretazione del significato delle parole attraverso gli epiteti (toisintonimet), dei quali il più comune, per il sampo, è kirjokansi, “coperchio screziato”, richiamo simbolico alla volta celeste come una “calotta istoriata”, ovvero tempestata di stelle. A partire da ciò Harva, pioniere della storia delle religioni in Finlandia, sviluppa l’ipotesi che l’oggetto conteso dalle genti di Kalevala e Pohjola sia stato in origine un elemento votivo legato all’elemento centrale nella concezione geocentrica diffusa presso tutti i popoli uralici, l’axis mundi o il pilastro (sammas) che regge l’“ornato guscio” della volta celeste la cui rotazione, in assenza di attrito, è garantita dal “chiodo del Nord” (finlandese pohjannaula, sámi d’Inari poahi-nävli) su cui essa poggia, a sua volta appellativo della stella polare. Un tema cosmologico prettamente ugrofinnico si inserisce dunque in un quadro demetrico collegato con l’allegoria della prosperità nel motivo norreno del mulino miracoloso, la cui più nota rappresentazione è quella del Grotti, al centro del canto delle Eddica minora (Grottasǫngr): l’abbondanza sarà assicurata in terra a ogni uomo finché il cielo, con la sua olimpica austerità, continuerà a roteare in bilico su quell’aculeo e non s’impiccerà troppo degli affari nostri.
L’idea viene sviluppata dall’autore nel saggio Il furto del sampo (Sammon ryöstö, 1943), oggi disponibile in traduzione italiana nell’edizione della casa editrice viterbese Vocifuoriscena. Il testo è preceduto da un articolo di Eemil Nestor Setälä originariamente scritto in tedesco, L’enigma del sampo (Das Rätsel vom Sampo, 1933), sintesi dei contenuti di un corposo trattato sull’argomento, L’enigma del sampo (Sammon arvoitus, 1932), l’humus sul quale Harva ha coltivato la propria teoria (il tema della “doppia natura” del sampo, continuazione del motivo cosmogonico nella forgia, sammon taonta, e oggetto ambìto nel ciclo dei pretendenti, kilpakosinta, verrà ulteriormente sviluppata da Matti Kuusi), e seguito da un ulteriore approfondimento, una recensione del libro firmata da Väinö Salminen, tra i maggiori studiosi di lirica popolare della prima metà del secolo scorso, Una nuova soluzione per l’enigma del sampo (Uusi sammon arvoituksen ratkaisu), pubblicato sulla rivista “Virittäjä” nel 1944.
L’intento dell’editore Dario Giansanti è stato quello di offrire al lettore italiano, in meno di trecento pagine, una panoramica degli studi classici completa ed esaustiva su un paradigma nell’interpretazione del simbolo del sampo oggi unanimemente considerato il più conforme al metodo scientifico. Si toutes les énigmes sont résolues, les étoiles s’éteignent, scriveva Baudrillard: dopo la pubblicazione del saggio di Harva il sampo non ha smesso di far brillare l’interesse della comunità intellettuale finlandese e vi sono stati ulteriori tentativi di aprire nuove prospettive nella spiegazione sulle origini e sul significato del misterioso manufatto descritto nelle strofe dei rapsodi o runolaulajat.
Una delle interpretazioni più recenti è quella dello scrittore, poeta e drammaturgo Paavo Haavikko che, nella sua ingegnosa parafrasi del ciclo sul furto del sampo contenuta nella raccolta di poesie Venti e uno (Kaksikymmentä ja yksi, 1974) come nella sceneggiatura della trasposizione televisiva del Kalevala, l’Età del ferro (Rauta-aika, 1982, regia di Kalle Holmberg), si è trovato a riflettere sul significato del mitico oggetto conteso, immaginando si trattasse di uno strumento per la coniazione del solidus custodito a Bisanzio, un apparecchio in grado di far sembrare oro ciò che non lo è (falsificazioni di monete bizantine avvennero effettivamente in Svezia attorno all’anno Mille), reso oggetto di un saccheggio durante una spedizione di genti finno-careliane giunte nel Mediterraneo per vie d’acqua.
Non sappiamo esattamente se l’obiettivo più autentico nell’elaborazione di un tema caro all’autore, il rapporto tra denaro e potere come tensione tra forze sacre e demoniache, fosse la speculazione metastorica attorno al ruolo di un simbolo o il seme di una parodia intertestuale (nella versione a fumetti della Disney ideata da Don Rosa, The Quest of Kalevala, Paperon de’ Paperoni parte alla ricerca del sampo dopo aver trovato un frammento degli appunti di Lönnrot, che aveva personalmente conosciuto in Scozia nel XIX secolo) ma, di fronte a un enigma avvincente e mai completamente risolto, è difficile tenere le proprie avide mani lontane dalla ricchezza di quel caleidoscopico mulino che è la fantasia popolare.
Editore Vocifuoriscena 2021
(Per le foto utilizzate, siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)