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La strage dell’innocenza

L’idea di “Innocence” ha preso piede nel 2013, quando Kaija Saariaho invitò a cena Sofi Oksanen e Aleksi Barrière dopo essere stata contattata dalla Royal Opera House per verificare la “possibilità di scrivere un’opera ispirata al mondo contemporaneo.” E quale dramma rende meglio il nostro tempo della strage inspiegabile, in una scuola, provocata da un giovane che “senza apparenti motivi” spara su altri giovani, su un professore?

Questo il nocciolo del testo scritto da Sofi Oksanen, di sicuro la scrittrice più potente nel mondo letterario finlandese contemporaneo. La storia è ambientata in una scuola internazionale di Helsinki, con studenti di tutto il mondo, e la babele di lingue di quel piccolo mondo diventa un modello del nostro mondo globale, plurietnico. Se l’inglese è la lingua della comunicazione, sulla scena si parlano e cantano  tante lingue diverse, ciascuna con l’intonazione, i ritmi e le espressioni emotive di una cultura differente. Contrassegnata da note musicali diverse, in sintonia coi diversi linguaggi. Un lavoro colossale, frutto di quattro anni di ricerca.

Saariaho, Barrière, Oksanen

Il microcosmo di quella scuola diventa una piattaforma girevole, nella bella scenografia costruita da Chloe Lamford che sistematicamente ruota mostrando i “continenti” di quell’universo: un edificio a due piani diventa di volta in volta un ristorante o un’aula scolastica, una veranda o una cucina.

L'”ouverture”, suonata a sipario chiuso, inizia con colori scuri e minacciosi. Segue un assolo di fagotto, una melodia breve e intensa, più volte ripetuta, quasi un leit-motif.

La storia è semplice. Tuomas e Stela, lui un giovane finlandese, lei una ragazza rumena, si sposano. Stela è felice e ignara della tragedia che ha colpito la famiglia del marito dieci anni prima. Alla festa di matrimonio una cameriera cèca, Tereza, viene chiamata all’ultimo momento a sostituire una cameriera malata. Scopre di conoscere la famiglia dello sposo: per lei la famiglia “è finita dieci anni prima”. La madre di Tuomas avrebbe voluto invitare alle nozze il figlio maggiore, ma il padre sentenzia che non appartiene più alla famiglia. Tereza però non riesce a trattenersi, e svela tutto a Stela e agli invitati al matrimonio. Il fratello assente è l’autore di una strage, avvenuta nella International School, in cui sono morti dieci studenti, tra cui sua figlia Markéta, e un professore.

La rivelazione scatena angosce, in alcuni, in altri forme di rimorso, in qualcuno sensi di colpa. Ma anche una sorta di resa dei conti, che progressivamente getta nuova luce su un fatto atroce che, dieci anni prima, sembrava risolto con la condanna dell’unico colpevole.

Il dramma, un po’ come nel teatro greco, viene dapprima enunciato, con un’attribuzione di colpa. Che col passare del tempo viene dialettizzata, passa di mano in mano, costruendo alla fine una sorta di senso di colpa collettivo. Tredici figure, come nell’Ultima Cena, continuano a interrogarsi, anche se chi ha tradito è uno solo. Dice la compositrice, in un’intervista: “la mia opera è un po’ un thriller, perché scopriamo solo un poco alla volta i rapporti tra i personaggi, tra le lingue, tra ogni cosa.”

L’opera, in scena in un unico atto, è strutturalmente divisa in cinque parti che si  svolgono su due diverse linee temporali: la festa di matrimonio nel presente e l’evento traumatico di dieci anni prima nel racconto e nella memoria. A volte le due linee temporali corrono in parallelo e si sovrappongono. Nuovi brani vengono aggiunti gradualmente, dando allo spettatore un quadro completo della tragedia solo nel finale.

Vilma Jää

Gli studenti eseguono fino alla fine il loro recitativo plurilingue, mentre a cantare tra loro è solo Markéta, una intensissima Vilma Jää, i cui gorgheggi, ispirati al joik sámi,  sono come la nostalgia di un passato arcaico ormai fuori del tempo. Il coro da camera della Filarmonica Estone accompagna fuori scena, come da un mondo estraneo a quell’orrore. A collegare i due mondi ci pensa l’orchestra, in grado di cucire e collegare, senza mai sovrapporsi alle voci, anzi accompagnandole con grazia ed eleganza.

La prova vocale drammatica più convincente è senz’altro quella della cameriera/madre di Jenny Carlstedt. Ma tutto il cast è di buon livello.

Uscendo dall’Opera, restano nelle orecchie e negli occhi suoni, situazioni, e personaggi. Ma è soprattutto quella concordia dissonans delle lingue a lasciare le impressioni più profonde. Si può convivere, oggi, parlando idiomi comuni, e restare in sintonia senza perdere qualcosa, senza sentirsi derubati di qualcosa di più profondo, di “nostro”?

Assomiglia tanto all’Europa di oggi, quest’opera bella e terribile. Anche il nostro continente diviso sui princìpi, anche la Finlandia, sembrano tutti aver perduto qualcosa che fino a pochi anni fa era dato per scontato. La pace? La neutralità? L’innocenza?

INNOCENCE

Musica di Kaija Saariaho

Libretto di Sofi Oksanen

Drammaturgia di Aleksi Barrière

Regia di Simon Stone

Orchesta dell’Opera di Helsinki diretta da Clément Mao-Takacs.

(Per le foto pubblicate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)

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