In Finlandia il turpiloquio è un’arte antica che trae origine da arcane pratiche esorcistiche ma, in Jacopone da Todi come nelle lirica baltofinnica, gli strumenti del parlar triviale sono immancabilmente plastici riferimenti sessuali.
Alla nostra imprecazione più comune, cazzo!, il finlandese risponde con il corrispettivo femminile, vittu!, parola di origine scandinava innalzata da Ganander agli onori della lettera nel suo dizionario del 1878. Nei dialoghi dei liceali alla fermata dell’autobus la frequenza media dell’imprecazione è di circa un “vittu” ogni cinque parole: neanche troppo, considerato che il finlandese è una lingua agglutinante.
Lo sviluppo idiomatico presenta un carattere non dissimile dal nostro: il genitivo vitun sää! è del tutto omologo al nostro “che tempo del cazzo!”, l’illativo painu vittuun! è gemello del veneto “va’ in mona!” mentre un’epizeusi come vitun vittu! sta a suo agio accanto alla fallica autoreferenzialità del nostro “eh che cazzo!”
La naturalezza dell’espressione finlandese ha tuttavia un respiro più audace: se in italiano un’espressione come “m’incazzo cazzutamente” risulterebbe un esercizio di manierismo, in Finlandia si possono liberamente comporre proposizioni contenenti solo declinazioni della parola in questione: vituttaa vitusti! è un grido di sconforto di fronte a un invalicabile impiccio, mentre älä vittuile mulle tai teen vittumaiset sulle! è l’auspicio a un reciproco contenimento di ulteriori, inutili fastidi. Insomma: in ogni angolo del mondo il linguaggio ha i suoi modi più o meno beffardi per ricordarci, con genitale insistenza, da dove veniamo tutti. (m.g.)