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Arto Paasilinna: Dio ci scampi dai finlandesi

Auta Armias”

WSOY 1989, pp. 276

Romanzo

Anche Dio a volte sente il bisogno di una vacanza, per riposarsi non solo dallo stress causatogli dal diavolo e dai suoi intrighi, ma anche da un’umanità ingrata e costantemente in guerra. Prima però di andare in ferie, deve trovare un sostituto. La scelta cade su Pirjeri Ryynänen, gruista finlandese, che diventerà, quindi, il Suo vicario. Dall’altezza della sua gru, Pirjeri ha un’ampia visione del mondo, e gode al contempo di un certo distacco. Pirjeri non è affatto un credente, ma sfruttando la sua posizione elevata ha preso l’abitudine di parlare con Dio e di fare delle rimostranze.

San Pietro e l’Arcangelo Gabriele lo scelgono tra centinaia di altri candidati, ma presto si pentiranno della loro scelta. Il vicario, anche se solo per un periodo di tempo limitato, ha in mente grandi progetti per trasformare e magari sovvertire l’ordine celeste: vuole spostare il paradiso dalla Bulgaria alla Finlandia, insegnare agli angeli l’alfabetizzazione informatica, o deporre il Papa eccessivamente conservatore, e infine dedicarsi persino alla creazione di nuove specie animali. Ma questo è troppo…

Arto Tapio Paasilinna

(Kittilä 1942 – Espoo 2018)

Figlio di un agente di polizia di stanza a Petsamo, Arto nacque a Kittilä dove la famiglia si era trasferita in tempo di guerra. Non è l’unico dei fratelli ad avere successo: il fratello Erno è stato uno degli scrittori più apprezzati del dopoguerra oltre che critico acuto e polemista, Reino è stato dapprima un noto giornalista televisivo, poi diplomatico e politico.
Gli studi di Arto Paasilinna arrivano fino ai corsi nell’Università popolare della Lapponia. Negli anni ’60 fa le prime prove come giornalista, prima in un giornale, poi come redattore di una rivista.  Le prime prove come scrittore sono documentari o reportage, da cui passa poi al romanzo. Il testo d’esordio Operazione Finlandia è del 1972, ma il primo grande successo arriva nel 1975 con L’anno della lepre, testo tradotto in moltissime lingue che lo consacra alla fama internazionale.

Una fama consegnata prevalentemente alla sua qualità di “umorista”. Qualità che gli ha dato il suo successo più grande soprattutto all’estero. In patria, come è noto, è stato spesso snobbato, soprattutto dall’establishment letterario (tutta da godere la perfidia nascosta in questo serissimo profilo biografico). Le ragioni di questa fortuna così contraddittoria vanno forse cercate nel diverso orizzonte d’attesa del pubblico dei lettori nel mondo nordico e in paesi come, e soprattutto, Francia e Italia.

Le sue storie bizzarre piacciono tanto a noi mediterranei (non a caso in primis nella patria di Rabelais)  non solo perché portano in una realtà lontana nello spazio, nel Grande Nord, ma perché ci fanno ritrovare qualcosa di lontano nel tempo. Un qualcosa che ci appartiene, e che perciò amiamo. Ci fanno riprovare sotto la maschera carnevalesca i profumi di una maniera narrativa che riporta a una tradizione letteraria, e a una cultura popolare, con cui abbiamo perso in parte i contatti. Qualcosa come un profumo delle storie di Apuleio, dei misteri medievali, della tradizione picaresca, e non che questo scarseggi nella letteratura italiana o francese contemporanee, dove anche oggi non mancano scrittori umoristici e grotteschi, ma questi li sentiamo forse troppo legati a una borghese urbanità, o inibiti dall’aggredire e mettere alla berlina una morale pubblica, una fede, ormai piuttosto deboli, tanto da essere materia di dibattiti televisivi. Un grottesco da camera, avrebbe detto Bachtin, che non s’azzarda a spaziare nei territori estremi toccati dalla fantasia di Paasilinna, un giullare cui è ancora rimasta da irridere la morale finlandese coi suoi residui di puritanesimo. È quel medioevo l’oggetto primario del suo riso. Decisiva è però l’ambientazione. I paesaggi dei boschi e della tundra, un mondo apparentemente selvaggio popolato di lupi e di orsi, e di esseri umani non meno feroci e ululanti, costituisce uno scenario “esotico” in cui le antiche fiabe acquistano una qualità sorprendentemente nuova, sembrano inedite e perciò accattivanti.

Al contrario il lettore finlandese, cui quel mondo antico è poco noto, non apprezza per ovvii motivi quel paesaggio, fin troppo frequentato, forse anche perché non riconosce affatto la descrizione che ne fa Paasilinna, essendo la sua aspettativa di lettore quella del tradizionale mondo finlandese degli avi.

In una produzione molto varia, per qualità di invenzione e di scrittura, i suoi testi più convincenti sono quelli in cui si misura con le grandi catastrofi: alluvioni, suicidi di massa, Apocalissi, in cui troviamo celebrazioni di antieroi, votati a imprese apparentemente insensate, gente che lancia giavellotti da un pozzo, personaggi che sovente fanno mestieri ormai in disuso, come quello del Mugnaio, che esistono ormai più nei libri di storia, o di fiabe. Ambienti e vicende si mostrano a noi in una luce antica, estranea alle motivazioni psicologiche del dramma borghese, fin dalle prime righe. In questi testi va cercata la sua grandezza, e studiata la sua qualità di scrittore, tutt’altro che ingenuo, e questo è un capitolo ancora lacunoso in mezzo a tante generiche celebrazioni.

Dio ci scampi dai finlandesi

Capitolo I

Dio è un bell’uomo. È alto 1,78, ben proporzionato, una complessione fisica leggermente tozza, ma il portamento è aggraziato. Ha un viso dai lineamenti puri, il naso dritto e la fronte alta. Lo sguardo è mite ma determinato, anche se piuttosto stanco. Le orecchie, prive di cerume, non sono a sventola. Dio non ha barba né baffi. È di carnagione scura, ha i capelli lisci che porta con la riga, a destra per chi lo guarda. La capigliatura è piuttosto corta, le tempie coperte da una lanugine grigia. Nonostante ciò, all’apparenza Dio non sembra eccessivamente in là con gli anni.

Le dita sono lunghe e sottili, disadorne di anelli. Non ha nemmeno il pomo di Adamo.

Dio indossa un abito grigio di flanella, che gli calza alla perfezione. Dal modello, si direbbe acquistato negli anni ’50. La giacca è a doppio petto con bottoni neri e i pantaloni hanno i risvolti. Ai piedi, scarpette basse con le stringhe, misura 42, di morbida pelle nera conciata. Dio indossa mutande corte. Il panciotto sotto la giacca e le bretelle sotto il panciotto. La camicia è di cotone di alta qualità, ma non è firmata, così come tutti i capi da lui indossati.

Non usa l’acqua di Colonia, ma non puzza di sudore, emana invece una tenue fragranza virile. La voce è baritonale.

Dalla persona si irradia un evidente carisma. Dà l’impressione di avere una vasta cultura, e anche la sua eccezionale intelligenza traluce dagli occhi. La nobile fronte dell’Onnipotente è solcata da rughe causate da travagli e affaticamento.

È il Dio dei cristiani, Creatore del cielo e della terra, Padre, Onnipotente, Nostro Signore, l’Altissimo, Misericordioso… è conosciuto con molti nomi. Nostro Signore non assomiglia del tutto alla rappresentazione umana di Dio, non è un vecchione malandato dalla barba grigia, e non porta il caffettano o il vincastro, né l’aureola gli aleggia sulla testa. Somiglia a un uomo, e non all’idea umana di Dio, e come potrebbe essere altrimenti, avendo Lui creato l’uomo a sua immagine.

Dio e suo figlio condividono dei tratti comuni. Senza dubbio, Gesù è figlio di suo padre, pur avendo ereditato delle caratteristiche dalla madre Maria. Si potrebbe dire che Gesù ha il naso della mamma, ma gli occhi del papà.

L’Onnipotente dimora sia in cielo che in terra e, per il tramite degli angeli, è onnipresente. Regna grazie alla capacità divina di muoversi sempre e ovunque grazie alla forza del pensiero, e ovunque vada i suoi aiutanti lo seguono con tutto l’occorrente.

Così ci appare Dio Onnipotente, Signore del cielo e della terra.

Dio se ne stava sprofondato in una comoda poltrona di pelle, la sua chaise longue preferita al centro della stanza, nella torre rotonda di un vecchio maniero in Bulgaria. Le rovine odierne erano state erette molto tempo fa sul monte Sjutkja, tra il paesino di Hjomakurdzal e la città di Dospat. Il castello, che un tempo ospitava un convento di suore, era ora disabitato. In Bulgaria, il numero di suore era andato diminuendo e le famiglie nobili si erano estinte; la rivoluzione, poi, gli aveva sferrato il colpo di grazia. I dintorni erano collinari, a Dio piacevano le ampie vedute. Era un giorno nuvoloso di settembre. Diversi corvi svolazzavano tra il castello e le pendici delle montagne vicine, facendo un gran baccano dato che un’aquila affamata volteggiava minacciosa in alto tra le nuvole.

Centinaia di milioni di anni fa, all’alba dei tempi, nella mente di Dio era balenata l’idea di creare un bel pianeta tutto nuovo, una sorta di sferoide, dove divertirsi a organizzare tante forme di esistenza felice. A quel tempo Dio era ancora giovane e smanioso di esperimenti. Raccolse facilmente le risorse per costruire la terra dagli scarti che roteavano nell’universo circostante, in particolare quelli di una piccola stella detta Sole. Dopo aver risolto le questioni della gravità, dell’orbita e altre faccende basilari, Dio iniziò a riempire il nuovo pianeta di vita.

All’inizio fu un lavoro di estremo interesse e soddisfazione. Dio creò varie cellule e organismi primitivi, la cui intensa attività diede origine alla vita. Popolò il nuovo pianeta di vari crostacei e gasteropodi e lasciò che la sua immaginazione si sbizzarrisse in esperimenti su diverse strutture corporali, configurazioni genetiche, biodinamiche, combinazioni di colori e forme di vita; lasciò che gli organismi si riproducessero e crescessero liberamente. Dopo qualche secolo iniziò a dedicarsi ad animali un po’ più complessi, inizialmente a pesci e rettili. Successivamente, l’Onnipotente si immerse con entusiasmo nella creazione di uccelli e, per finire, di mammiferi, fino a quando, insensatamente, partendo dai mammiferi più intelligenti tirò fuori la scimmia e, alla fine, una creatura a sua immagine, l’uomo. Fu la sua ultima creazione, della quale successivamente Dio doveva pentirsi amaramente.

Dio è per natura buono e voleva infondere la stessa bontà anche nell’uomo. Nel fervore del lavoro creativo, tuttavia, dovette verificarsi un intoppo, un maledetto pasticcio; durante la creazione, evidentemente Satana era riuscito a inserire i propri geni diabolici nella nobile linea di sangue dell’uomo, e da allora l’umanità è stata soltanto fonte di sofferenza per Dio. Forse l’opera di Satana era addirittura iniziata nella fase dei mammiferi superiori. Infatti, quando Dio stava progettando il lupo, intendeva creare un simpatico animale peloso che tollerasse le dure condizioni delle regioni fredde della terra. Dio immaginava il lupo come una creatura innocua e tollerante che avrebbe mangiato l’erba e si sarebbe aggirata in branchi felici per le pianure innevate. Quando nacque il lupo, Dio dovette ammettere che ci doveva essere stato un errore. Il lupo cercò di azzannargli la caviglia e Dio dovette sopprimerlo; tuttavia, la bestia si era già diffusa in tutto l’emisfero settentrionale. La stessa cosa accadde anche nel caso degli altri predatori, che iniziarono a comparire in ogni angolo del mondo, fino a quando, alla fine, l’uomo stesso si rivelò come la bestia più sanguinaria di tutte, una creatura a volte addirittura diabolica.

Nostro Signore sperava che l’uomo diventasse il salvatore dell’intero creato, e quindi lo dotò di ragione e di un ricco repertorio di sentimenti. L’uomo avrebbe dovuto liberare il mondo dalle bestie feroci e truculente. È vero che, occasionalmente, anche qualche essere umano decente s’era visto. Ma la maggior parte dell’umanità era così bellicosa, avida, disgustosa e ossessionata dal potere, che Dio non poté far altro che osservare afflitto il risultato finale.

Più l’uomo si inciviliva, più si comportava da mascalzone. Nel corso della storia, imparò a formare nazioni e anche a produrre tecnologia militare. Infinite furono le guerre sanguinose, e per il mondo furono disseminati più che mai dolore e miseria.

Duemila anni fa, Dio cercò di salvare la situazione inviando il suo unico figlio, Gesù, a riappacificare le genti. Fu una soluzione di emergenza.

Ma si rivelò un fallimento totale. Gli umani seguivano la loro natura, rendendo la vita di Gesù sulla terra un inferno, lo coprirono di bestemmie, e molti non lo presero nemmeno sul serio. Alla fine, arrivarono addirittura al punto di uccidere quel giovane innocente e credulone in uno dei modi più crudeli. Senza nessuna misericordia, inchiodarono Gesù vivo mani e piedi alla croce. Dio non ebbe altra scelta che resuscitare suo figlio dai morti e richiamarlo in paradiso a leccarsi le ferite.

Al momento, Gesù si aggira da qualche parte per l’universo in compagnia di un certo Rutja. Per quanto Dio ricordi, il succitato Rutja è figlio del Dio finlandese del tuono, quindi un collega di Gesù, o almeno un suo pari grado nell’ordine divino. Ah, quel Gesù, pensò Dio, ormai stanco. In effetti aveva davvero fatto il possibile per salvare il mondo, ma l’umanità non si era fatta correggere dalle sue semplici parole.

Dio era quindi deluso e stanco. Il suo buon cuore non poteva più sopportare la sofferenza causata dal genere umano. Per un attimo ebbe la lugubre idea di far uscire dall’orbita l’intero pianeta maledetto: ciò avrebbe significato una fine del mondo, ma limitata. Fine della storia! La Terra avrebbe oscillato lungo il suo asse, fiondandosi nel gelo dello spazio esterno e schiantandosi in pezzi dopo essersi scontrata con un buco nero senza fondo.

E tuttavia Dio non portò a compimento questo pensiero disperato. Dopo tanti milioni di anni, era pur riuscito a creare forme di vita così belle e meravigliose sulla Terra! Sarebbe stato un peccato distruggere tutto solo a causa della malvagità umana.

Che ci fosse ancora una speranza? Avrebbe dovuto ancora una volta affrontare la feroce battaglia contro il male, radunare le truppe celesti e scacciare la malvagità dalle vie battute dagli uomini? Sarebbe servito uno sforzo immenso, Dio lo sapeva. Ma si sentiva ormai troppo stanco per affrontare una lotta del genere. Sentì che la sua presa sugli affari umani andava allentandosi, e se fosse continuato così, si sarebbe completamente esaurito. Nessuno soffriva più di lui di stanchezza mentale, nessuno era stressato quanto lui.

L’Onnipotente tirò un sospiro, sfinito. Ah potersi prendere almeno un anno di riposo e dimenticare la terra e i suoi peccati! Sarebbe meraviglioso. Se ne andrebbe a Mondaltro. Era il pianeta più vicino i cui abitanti, creature più avanzate degli umani, vivevano in santa pace una vita regolata e pia. Dio sentiva di avere urgente bisogno di un anno sabbatico. Si ricordò di aver sofferto di depressione fin dalla prima guerra mondiale.

L’Onnipotente aveva due collaboratori stretti, sorta di cancellieri celesti, San Pietro e l’Arcangelo Gabriele. Entrambi erano funzionari abili e capaci; a suo tempo, Pietro si guadagnava da vivere pescando, poi era diventato discepolo di Gesù e infine apostolo. L’Arcangelo Gabriele, a sua volta, aveva dalla sua una lunga e significativa carriera nell’amministrazione celeste, e comprendeva le questioni terrene quasi quanto Dio stesso.

Pietro e Gabriele, a suo tempo, si erano opposti con decisione alla cupa idea divina della fine del mondo, che avrebbe significato anche la perdita delle loro poltrone: se la Terra fosse andata distrutta, le loro competenze difficilmente avrebbero trovato estimatori su strani pianeti lontani. Erano esperti di questioni umane, erano vincolati alla Terra. Nelle nuove condizioni, le loro carriere sarebbero diventate irrilevanti. Per questo motivo, persuasero il Creatore che la distruzione della Terra era un atto estremamente avventato, un grande peccato, e alla fine riuscirono  a scacciare dalla mente divina quell’idea mostruosa. Così, almeno temporaneamente, la Terra restò nella sua orbita e la fine del mondo non arrivò.

Ma Dio non aveva intenzione di rinunciare all’anno sabbatico. Era talmente esausto e prostrato dagli eventi del mondo, che non non avrebbe più tollerato nemmeno per un attimo i comportamenti efferati degli umani. San Pietro e l’Arcangelo Gabriele lo capivano, anche se la cosa sembrava perlomeno insolita. L’idea stessa di Dio in vacanza puzzava di radicalismo. Ma in ogni caso, era necessario trovare un vice, un sostituto che si occupasse degli affari terreni, mentre il vero Dio avrebbe trascorso una meritata vacanza, raccogliendo le forze per il futuro.

Dio era dell’opinione che sia Pietro sia Gabriele, in effetti l’uno o l’altro, avrebbero potuto fare le sue veci. Riponeva una grande fiducia nei suoi aiutanti. Un anno è un periodo breve se si considera l’intera storia dell’umanità, e i cancellieri sarebbero sicuramente stati in grado di rimpiazzarlo per quel lasso di tempo.

Ma Pietro e Gabriele furono terrorizzati da quell’idea. Conoscendo meglio di chiunque altro lo stato deplorevole del mondo in ogni dettaglio, come pure le vicende umane, non avrebbero voluto accettare nemmeno per un mese, figuriamoci per un anno intero. L’offerta divina li lusingava, ma il compito era eccessivamente ingrato. Gli aiutanti di Dio rifiutarono quell’onore, la promozione a Dio non può essere definita altrimenti, ma tutto ha un limite. Inoltre, entrambi erano fin troppo oberati dai loro ministeri, ed erano dell’opinione che una responsabilità divina andasse ben oltre le loro possibilità.

 Gabriele propose un compromesso. E se l’ufficio veniva affidato a una persona competente e pia? Pietro appoggiò l’idea con entusiasmo. Dopo tutto, gli uomini erano responsabili dei loro problemi ed era giusto che fossero loro stessi a lavare, almeno per un anno, quei panni sporchi che l’umanità stessa aveva impastrocchiato.

Dio rimuginò sulla proposta. Gli sembrò ragionevole.

“Per non dire,” aggiunse l’Arcangelo Gabriele, “che non mancheranno i candidati per la carica più alta dell’intero universo”.

Antonio Parente e Nicola Rainò.

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