Farsi una birretta tra amici è un gesto tanto gaudioso e scostumato che, in tutto il mondo, per dirlo si deve per forza escogitare qualche stravagante eufemismo. In Italia ci si fa un bicchiere o si bagna il becco, in Finlandia si “va a (farsi una) kalja” (mennään kaljalle!).
La lingua parlata accosta alla birra di media gradazione (keskiolut) ciò che il dizionario indica come un’innocente bevanda da pasto, a base di orzo o malto e pressoché analcolica e, per non confondersi, tale broda bruna e scialba (il verbo kaljeta, “annacquare”) è comunemente definita “kalja domestica” (kotikalja) mentre, per le sbronze fuori casa, c’è la kalja tout court, sincera e viziosa.
Nel caso si voglia evitare di nominare il contenuto del boccale, si può uscire a prendere un’”appannata” (huurteinen) o semplicemente dire “facciamocene una” (otetaan yhdet!), col numerale “uno” al plurale (paradossi della favella finlandese) per non lasciare intendere che il locutore voglia bere da solo davanti agli amici assetati.
Se la serata promette bene, al secondo giro si può proporre di “farsene altre” (otetaan toiset!) mentre, in un contesto diametralmente diverso, se si ordina una bottiglia di Dom Pérignon in un golf club ma non si è pronti a rinunciare all’atmosfera accogliente e informale delle bettole di periferia, si può chiedere al cameriere “korkkaa nyt se samppakalja!”, “stappa un po’ ‘sta kalja di sciampagna!” Quel che conta è brindare in compagnia: che importa se, nel bicchiere, c’è kalja o altro … (m.g.)
Il vocabolario minimo finlandese è un avviamento semiserio ai misteri del mondo finlandese attraverso il suo strumento più raffinato: la lingua.