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Timo K. Mukka: La terra è un canto blasfemo

“Maa on syntinen laulu”

Gummerus 1964, 236 pp.

Romanzo

Ambientato nella Lapponia tra Svezia e Finlandia, oltre il Circolo polare artico, descrive la vita dura e romantica degli abitanti di quei luoghi, storie di amore e odio, vita e morte. Si racconta la vita di una ragazza di campagna, la quale con la sua spontaneità si oppone ai pregiudizi sociali. Per la ragazza il peccato non ha connotazioni morali o religiose, è per lei naturale tanto quanto la punizione che spesso ne deriva. Il ritratto della Lapponia che Mukka ci offre è fortemente demistificante, soprattutto se paragonato a quello romantico tradizionale: l’autore descrive i turbamenti sessuali, l’isteria artica, l’influenza e il fanatismo delle sette religiose, il problematico rapporto degli abitanti di lingua finlandese con la popolazione indigena, la posizione della donna.  Allo stesso tempo, dipinge un quadro poeticamente meraviglioso della natura nordica e dei suoi abitanti. Il libro venne accolto con sconcerto dalla critica, sia per la maniera in cui l’autore tratta le scene erotiche (e che gli valse l’appellativo di “Lawrence di Finlandia”) sia per il tono, considerato da molti critici anacronisticamente romantico, e non ultimo anche per l’uso abbondante che Mukka fa del dialetto di Tornionlaakso, che risultava incomprensibile alla maggior parte dei finlandesi. L’interesse per quest’opera è testimoniato dalle oltre cinquanta recensioni e critiche apparse su giornali e riviste del settore, un numero assolutamente senza precedenti nel contesto finlandese.

La terra è un canto blasfemo è un romanzo che potrebbe suscitare grande interesse nel pubblico italiano, sia per il caratteristico, ricco stile narrativo, sia per il fascino della  “magia nordica”, il carattere esotico e quasi mistico che non scade mai in ovvi cliché. È un libro non soggetto alle mode, un capolavoro assoluto.

Questa la trama del romanzo. La protagonista principale è una ragazza, Martta, con la sua famiglia: il padre Juhani, la mamma Alli e il nonno. Martta fa le sue prime esperienze sessuali con Kurki-Pertti, un ragazzo del villaggio che si invaghisce della ragazza, non ricambiato; le famiglie dei due ragazzi premono perché i due si sposino. Martta, però, è innamorata del “lappone” (Oula), il quale arriva nel villaggio soltanto poche volte l’anno, seguendo le sue renne. Oula è un dongiovanni, che ha  probabilmente disseminato diversi figli nelle varie zone che frequenta. I due si amano, ma la famiglia di Martta è contraria. Ad un certo punto, la ragazza annuncia la sua gravidanza e, pur non sapendo se il padre del bambino sia Kurki-Pertti oppure Oula, dichiara padre quest’ultimo. Juhani, sebbene contrariato, alla fine sembra quasi accettare la cosa; gli eventi, però, precipitano, e allora il padre di Martta decide di regolare i conti col Lappone. Mentre lo insegue con la scure sul lago ghiacciato, il ghiaccio si spacca e Oula muore annegato. Juhani, non sopportando l’idea di averlo ucciso, alla fine decide di togliersi la vita. Kurki-Pertti continua a corteggiare Martta, dicendole che la sposerebbe volentieri anche se lei fosse rimasta incinta di Oula, ma la ragazza decide di restare sola. A questa storia principale se ne sovrappongono altre, ad esempio quella di un’amica di Martta, Elina, sedotta da un predicatore laestadiano (o Korpeliano, secondo altre interpretazioni – il movimento organizzava delle assemblee religiose che finivano puntualmente in orge) o di Aino, due personaggi femminili attraverso i quali Mukka solleva il problema della “doppia morale”, polemizzando con l’approccio ‘purista’, che considerava i popoli dell’estremo nord come dotati di un senso morale superiore rispetto agli altri.

Timo Kustaa Mukka

Bollnäs, 1944 – Rovaniemi 1973

Timo Kustaa Mukka è uno degli autori finlandesi più interessanti del XX secolo e viene considerato un vero “classico” nell’intera Scandinavia. Nasce nel 1944 in territorio svedese, a Bollnäs, dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire ai nazisti. A soli vent’anni, tornato in Lapponia, pubblica il suo romanzo più famoso, La terra è un canto blasfemo. Fin dall’esordio, il suo caratteristico stile, molto diverso da quello degli autori suoi contemporanei, destò un grandissimo interesse: mentre gli altri autori finlandesi propendevano per sperimentazioni formali, seguendo il cosiddetto modernismo postbellico oppure la tradizione realista, Mukka sviluppò uno stile, lirico e narrativo allo stesso tempo, col quale racconta soprattutto l’area finnosvedese della Lapponia, la regione di Tornionlaakso.

Nel 1965 esce la sua raccolta di racconti Tabù dove, tra l’altro, descrive il legame sentimentale tra una ragazza quattordicenne e un adulto. Sempre del 1965 è il romanzo pacifista Da qui, da qualche parte, una cruda descrizione dell’esperienza dell’autore durante il servizio di leva. L’anno successivo rappresenta per Mukka l’anno della svolta: diventa membro dell’Associazione degli scrittori finlandesi e viene insignito del Premio nazionale per la letteratura. Incoraggiato da questi giudizi positivi, nel giro di dieci mesi pubblica la raccolta di poesie Rosso, il romanzo La canzone dei figli di Sipirje e la raccolta di racconti La morte del cane. In questa raccolta, più che nelle opere precedenti, così come anche nel successivo romanzo La colomba e il papavero (1970) e nei racconti contenuti in Paura della neve (1970), il tema della morte è sempre più pressante, quasi come se l’autore anticipasse in qualche modo la sua tragica fine. Nel 1972 subì il primo attacco cardiaco, proprio mentre preparava la sceneggiatura per il film basato sul suo primo romanzo, La terra è un canto blasfemo. Al regista del film, Molberg, Mukka confidò: “Ogni volta che nella vita si raggiunge qualcosa di positivo, immediatamente emerge una forza negativa che fa da contrappunto; è questa legge a creare il ritmo di base della mia prosa.” Undici mesi più tardi, questa forza negativa ebbe la meglio su di lui.

Notturno lappone, di Franco Figàri

La terra è un canto blasfemo

Capitolo I

Da qualche parte, là dove finisce il bosco inaudita, di colpo, si apre un’ampia palude, e oltre gli acquitrini sconfinati, su quelle lande depresse, come dal mare, si erge una catena di alture grigiastre.

Da qualche parte in grembo alla palude si trova uno stagno dagli occhi neri, la cui acqua è fredda e profonda, anche in estate, assopita. Lì tra le braccia dei monti sciaborda un lago dalla riva di sassi e rena. Un canneto appassito orla la riva come una fascia ingiallita; ormai senza vita, fissa il cielo. Un po’ più in là s’innalzano dalla riva verso il cielo bigio rade file di pini, abeti taciturni coperti di lichene,  betulle atrofiche dalla corteccia scura, sui cui tronchi soltanto raramente lampeggia il nastrino candido della corteccia. Le torbiere sono lontane da zone abitate, anche se i paesaggi come questo di solito sono vicini agli insediamenti umani. La strada che ci arriva s’origina da qualche altra vicino alla frontiera occidentale. Aggira i monti, cerca nel bassopiano un punto dove passare, eludendo le paludi profonde e perfide. Tra le montagne, su una sottile striscia che si estende sulle rive a ovest e a sud del lago Siskonjärvi, si ergono le abitazioni del villaggio.

In autunno la nebbia avvolge la tranquilla superficie dell’acqua. Si alza in piccoli banchi dove il fiume si riversa nel lago. I banchi si addensano, si allargano, presto copriranno l’intero lago. In mezzo alla nebbia, due barche solcano la superficie d’acqua, una con due uomini, l’altra con un vecchio e una ragazza, cui l’aria gelida arrossa le guance, e che indossa un pesante maglione da uomo. Le barche girandosi attorno si sfiorano quasi,  superandosi, e i due uomini gridano alla ragazza e a suo nonno:

“Ehi! Com’è andata? Pesci niente?”

“Sì, pesci…”

“Macché,” borbotta  il vecchio seduto a poppa, “c’è poco da far vedere, oggi è fiacca. Torniamo a casa.”

“Già.”

“I ragazzi invece vanno a farsi l’acquavite!” grida la ragazza, e ride di gusto. I due sghignazzano. Si avvicinano ancora di più remando, per vedere meglio, e il vecchio tira su dal fondo della barca un luccio di un paio di chili con la coppa ammaccata al punto che si intravede la carne biancastra sotto le squame.

“Tutto qui? Poca roba.”

“Sì. Dovevo usare il cucchiaino, allora vi facevo vedere io…”

Gli uomini si dirigono verso il largo, la ragazza e il nonno, invece, verso la riva a sud. Il vecchietto, coperto da vari strati di pantaloni, trema dal freddo. Si succhia i baffi, le cui punte gli arrivano fino in bocca. La ragazza usa i remi con perizia, le articolazioni hanno assunto un colore biancastro per il freddo e sulla pelle compaiono delle macchie violacee.

“Fa un freddo cane. Rientriamo… presto,” biascica il vecchio, allarmato dal freddo. La ragazza bofonchia qualcosa dentro il collo alto del maglione, ma il nonno non la sente. Arrivano a riva, tirano la barca tra i sassi. C’è un tanfo di pesci morti, morti asfissiati quando d’inverno le sorgenti gelano e non c’è più ossigeno sotto il ghiaccio. La ragazza saltella sui ciottoli della riva per riscaldarsi, si batte il petto con le mani per riattivare la circolazione.

Ciottoli, di Franco Figàri

Il vecchio solleva dal fondo della barca la pescata e la getta nella secchia – poi entrambi calpestano gli arbusti sulla riva e si dirigono verso il sentiero che porta a Mäkelä. Lungo il cammino, il vecchio raccoglie ancora una bracciata di rami secchi e cerca di gridare alla ragazza, la quale, dopo averlo superato, è scomparsa nel primo boschetto.

“Stanotte verrà una gelata!”

“Una gelata… ti dico.”

Ma la voce del nonno non raggiunge la giovane.

Al contrario, il vecchio sente il rumore di una porta che sbatte: Martta è già arrivata a Mäkelä. Il nonno pensa che Martta, la più giovane dei figli dei suoi figli e l’unica ancora in vita, è una ragazza strana. A volte si agita come un animale in gabbia, altre volte non si riesce a cavarle una mezza parola da quella bocca serrata. Anche adesso che erano stati seduti a pescare per molte ore l’uno di fronte all’altra, era rimasta muta per tutto il tempo.  Il vecchio, ormai ben consapevole di essere alla fine della sua esistenza, avrebbe volentieri parlato con qualcuno, solo che l’unica persona alla sua portata, Martta, raramente parlava seriamente con il nonno. Il padre della ragazza, Juhani, quelle poche volte che era a casa, aveva sempre un’aria cupa e corrucciata, a meno di non ritrovarsi di fronte una bottiglia di vodka. La maggior parte dei coetanei del nonno dormiva già l’ultimo sonno e i più giovani preferivano parlare tra di loro, ben poco interessati ad un vecchietto decrepito.

Vicino alla stalla il nonno è accolto dai latrati del vecchio Panu, un cane cieco e zoppo. Accatasta la bracciata di legna sulla soglia della stalla, il vecchio di botto si spazientisce e si dirige verso il cane.

“Stai buono, cagnaccio storpio… non abbaiare! Se no prendo le redini dalla stalla e ti scortico vivo. Ti spiano le costole, per dio, te le spiano. Guarda, così!”

Dopo averlo bastonato, si volta e attraversando il cortile si dirige verso la casetta. Chiude la porta sbattendola con rabbia, senza curarsi degli altri che già dormono.

Dalla soglia,  oltre il tetto inclinato della stalla si intravede la nebbia che si distende sul lago. Scivola sulla superficie d’acqua tranquilla, inarrestabile si spande fino alle misere rive delle marcite, dove non cresce il grano, distendendosi poi sui margini. Dalla nebbia trapela qualche scricchiolio di remi, a volte anche una parola più sonora o il verso di un canto. Il villaggio dorme.

 Il cortile di Mäkelä, di forma squadrata, scende brusco verso il lago. È delimitato a nord e a ovest dalla bassa costruzione della stalla, che si estende ad angolo retto. Sul lato est si trova una piccola sauna nera, su quello a sud la parte abitabile, un po’ più in alto della stalla e della sauna, che si estende per almeno dieci metri. Da dietro la stalla due strisce strette e lunghe di terra portano al lago; l’erba che le ricopriva è già stata falciata e stipata nel fienile che si erge sul limitare del campo. Dal cortile è possibile arrivare direttamente alla marcita, passando per la stalla. Adesso che è autunno, la rastrelliera è stata spostata dietro; nei corridoi della stalla uno slittino attende l’arrivo della neve. A fianco dello slittino c’è il treppiede del focolare, che sembra ormai arrivato alla fine, screpolato com’è. Tra le gambe del treppiede il vecchio cane cieco ha fatto la sua cuccia e adesso è lì che tenta di dormire, mentre si rigira uggiolando piano.

La mattina, quando nelle altre casette del villaggio si dorme ancora, dal comignolo di quella di Mäkelä sale in cielo una striscia giallognola di fumo. Qui ci si alza prima che altrove sulla riva di Siskonranta.

Non sono ancora le cinque, e il nonno già si trascina per la penombra della stanza, imprecando tra sé e sé, mentre cerca il coltello. Lo trova nella tasca del pantalone, dove l’aveva dimenticato la sera prima. Nella parte a nord-est della stanza ticchetta un orologio vetusto. Sono ancora a letto Juhani e Alli, salute malferma e corpo segnato dalle malattie; Martta dorme nella stanzetta.

“Sveglia! Su, alzati!”

Il nonno scuote la ragazza per la spalla.

Martta dorme nuda, coperta soltanto da un sottile lenzuolo. Nel sonno, i muscoli stanchi e irrigiditi dal remare, si sono intorpiditi in un profondo torpore.

“Alzati, per dio, ho già fatto il caffè!” grida il vecchio all’orecchio della ragazza.

Martta rimane immobile ancora un attimo, si sveglia lentamente. Poi salta giù dal letto, buttando a terra il lenzuolo con un calcio, e si stiracchia davanti al vecchio, grattandosi i seni nudi.

“Svergognata, devi proprio dormire senza camicia da notte?” sbuffa indignato il nonno, mentre va a cercare una scodella. Arrivato alla porta, lancia ancora uno sguardo fulminante verso Martta; oggi non è in vena di sopportare le sue pagliacciate. Esce dalla casetta e si siede sulla panca vicino al pozzo, per pulire la pescata. L’acqua gelida, dove durante la notte erano rimasti i pesci, fa tremare la mano solcata dalle vene.

Quando Martta finisce di bere il caffè, prende la secchia per il latte, passa vicino al vecchio sculettando e si dirige verso la stalla.

“Stasera andiamo di nuovo a pescare?” urla al nonno.

Il vecchio conficca il coltello nella panca e fa per rispondere, ma la ragazza è già entrata nella stalla e ha chiuso la porta.

“È lo stesso… tanto chissà se prendiamo qualcosa.”

Poi in cortile arriva Juhani.

“Ieri sera sono andati a pescare col cucchiaino anche i figli di Lantto, li hai visti?” dice il vecchio

“Sì. E non hanno usato la rete?”

“No. Per quest’anno abbiamo chiuso con i pesci. Non c’è verso di prendere nemmeno fragaglia,” spiega il vecchio.

“Uhm.”

“È venuto il freddo…”

Juhani si allontana.

Il vecchio trancia rabbiosamente la testa del persico e getta nella secchia il pesce decapitato.

Sul villaggio si stende una coltre di fumo proveniente dalle casette dei più mattinieri, esili strisce che salgono nel cielo senza un alito di vento. Nella stalla di Mäkelä, Martta munge due mucche. Parla ad una di loro, quella con la stella in fronte, alla quale avevano sottratto il vitellino appena nato per venderlo.

“Ahi ahi, Stellina, ti hanno preso il vitellino, poveretta!”

La mucca muove i fianchi. Il latte stride  e fa tonfi sulle pareti della secchia.

“La nostra povera Stellina. Non ha più il suo vitellino… Ahi ahi!”

Finita la mungitura, portato il latte dentro e passatolo al setaccio, la ragazza prende la canna da pesca da un angolo e corre verso la riva costeggiando il campo. Oltre la cresta alberata della collinetta già spunta il giorno, dal villaggio si ode Kurki-Pertti sgolarsi nel cortile, la sua voce tonante perfetta per quelle note prolungate. Nel cortile di Pouta, il proprietario della fattoria e Kulkuri riparano la slitta.

Martta indossa il maglione di lana di papà Juhani, le gambe infilate in stivaloni più volte rattoppati, avuti chissà quando e da chi, al tempo della guerra. Sta seduta su uno scoglio,  le gambe a ciondolare nell’acqua. Una lanugine nebbiosa si spande sulla superficie dell’acqua, disperdendosi piano piano sulla riva. Una minutaglia di lasche cerca di abboccare all’amo –  la ragazza lo tira varie volte senza successo, i pesci sono così piccoli che non riescono ad infilare il verme in bocca. Allora lascia perdere la canna da pesca. Il sughero tondo fatto di corteccia galleggia verso riva, appoggiandosi al fianco di un grosso scoglio. A volte un branco di pesciolini gli si accosta in cerca del verme. La gelida acqua sonnolenta si fa sentire sui piedi della ragazza anche attraverso gli stivali di gomma. Sull’argine ovest del lago, al di sopra della nebbiolina si intravedono sullo sfondo del cielo le alte costruzioni a un piano e mezzo di Pouta e Outakota. Sul lago qualcuno intona un canto antico. La voce di Kurki-Pertti si interrompe, anche lui rimane ad ascoltare.

Cliccate qui per un video che accoglie, tra l’altro, una lunga intervista con l’autore.

Immagini in parte dal film di Rauni Mollberg (1973) tratto dal romanzo.

Antonio Parente e Nicola Rainò.

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