Onnellinen “felice” (come pure onnekas “fortunato”) è derivazione aggettivale di onni. La parola compare con il medesimo significato in tutto l’arco baltofinnico e lappone.
I dizionari etimologici riportano un percorso paradigmatico da una radice comune alla parola onsi, “vuoto”, “cavo”, “svuotato”.
Dunque ci sarebbe un rapporto originario tra felicità e vuoto. Come nell’espressione (ricordata da Vesa Heikkinen) osui onnelle, usata quando il proiettile di un cacciatore attraversa una zona cava del corpo della preda senza colpire parti vitali. Sarà “colpo di fortuna” per il cacciatore, o “botta di culo” per la preda?
Lo sviluppo semantico, dunque, sarebbe questo: (tyhjä) tila (onsi) > tilanne > kohtalo > onni, cioè da uno spazio vuoto o cavo alla condizione (di una presunta mancanza) alla causa agente imponderabile (la sorte) che regola lo stato di fatto.
Il senso oggi prevalente sembra andare verso il riempimento di un vuoto, un accumulo di beni, il vaso di Pandora che torna a riempirsi, magari ripartendo dalla speranza. Ma ripensando alle origini è innegabile che qualcosa di quel vuoto iniziale sia rimasto.
La onnellisuus più autentica di molti finlandesi sembra proprio un ritorno a quell’assenza, che chiamano in vari modi: silenzio, rauha, spazio vitale, come i forestieri constatano sorpresi al mökki, o dentro il fitto di un bosco, o vedendoli impegnati nell’onki, affacciati a una buca su un lago gelato.
Cosa sarà per un finlandese il culmine della felicità? Magari starsene nudi sopra un sasso a contemplare il mare e ascoltarsi dentro. Per cui vale forse la lezione di Schopenhauer: Alle Befreiung, oder was man gemeinhin Glück nennt, ist eigentlich und wesentlich immer nur negativ und durchaus nie positiv, “la liberazione o ciò che comunemente chiamiamo felicità si manifesta in forma negativa e giammai positiva”, cioè solo quando ne avvertiamo l’assenza. (n.r.)
Il vocabolario minimo finlandese è un avviamento semiserio ai misteri del mondo finlandese attraverso il suo strumento più raffinato: la lingua.