La Desolante Bellezza

Un reporter danese racconta Roma deserta al tempo del contagio

Girare per Roma in questi giorni è come fare una passeggiata nella storia. Molte cose in Italia sono cambiate al tempo del coronavirus e molte cambieranno quando il Paese riaprirà, si auspica, verso il 4 maggio. Mi è venuta voglia di raccontare, anche con la macchina fotografica, questa Roma vuota, come non l’avevo mai vista prima.
Le strade del mio quartiere romano, Prati, sono silenziose. In effetti, al mattino, la gente esce solo per fare la spesa o per prendere il giornale, ma poi, nel pomeriggio, tutto finisce. La gente scompare. Le auto di fatto non girano. Le persiane sono serrate ovunque. Niente profumo di caffè dai bar, niente risate per le strade.
Di solito faccio una passeggiata nel pomeriggio, giusto per prendere un po’ d’aria. Porto sempre un pezzo di carta con me, che mi fornisce un alibi per uscire. La polizia e i carabinieri di solito cominciano a circolare verso il pomeriggio facendo controlli. Così mi sforzo di muovermi in un modo che sembri il più naturale possibile. Giusto per far vedere che non ho sconfinato in quel terreno psicologico che chiamiamo della “cattiva coscienza”. Eppure, devo ammetterlo, nonostante il mio modo di incedere giovanile e disinvolto, in realtà mi sento rimordere, un po’. A dirla proprio tutta, non si dovrebbe girare più di tanto negli spazi pubblici.
Cammino da solo. E improvvisamente noto che nella fitta rete di strade e stradine del mio quartiere mi si aprono davanti nuovi orizzonti. Ora posso vedere tutte le strade sino alla fine. Non ci sono macchine, autobus o ciclisti che mi impediscono la visuale. Non c’è traffico. Mi fermo a osservare in mezzo al lungo viale Angelico, e sorprendentemente riesco a vedere bene un miglio più avanti verso Piazza Risorgimento. È impressionante fin dove si spinge la capacità visiva di un essere umano.  

Supero altre persone anch’esse in giro. A volte, incrociandomi, si scostano descrivendo un grande arco, ma la cosa non mi turba. Spesso lo faccio anch’io. Non ho alcun contatto con le persone che incontro. La gran parte indossa una maschera che copre i due terzi del viso, che lasciano visibili soltanto gli occhi. Ma è assai raro che si abbia un contatto visivo. Perché il contatto visivo è un desiderio inconscio di toccare la persona che stai incrociando, ma in questo periodo non vogliamo alcun genere di contatto. Non dobbiamo averne. La formula chiave è “distanziamento sociale”. Quindi abbassiamo gli occhi e lasciamo che siano i nostri piedi a “parlare”.

La solitudine di Roma
Siamo dentro un pezzo di storia. Questo è ciò che continui a sentire in Italia. E penso che sia vero. L’impatto della pandemia sarà così pesante in Italia, che l’argomento sarà sulla bocca di tutti negli anni a venire.
Ogni settimana viene scritto un nuovo capitolo di questo pezzo di storia. Uno di questi capitoli riguarda la “solitudine di Roma”. Il vuoto della città. Facebook e diversi periodici hanno pubblicato foto impressionanti. E dunque, come fotografo, ho pensato: “Quando mi capiterà mai più di vedere Roma così?”
Così un giorno, all’inizio di aprile, lascio la mia casa con la macchina fotografica, portando anche il passaporto, il mio tesserino di giornalista e la mia cosiddetta auto-dichiarazione che spiega che sto andando in giro per un servizio fotografico.
Dopo aver attraversato il Tevere a Prati mi avvicino alla prima piazza sul mio percorso, Piazza del Popolo.

Luogo notissimo per manifestazioni politiche cui ho partecipato più volte, qualche anno fa ci andai con mia moglie. C’era una folla tale che era praticamente impossibile muoversi. Oggi è vuota. Completamente vuota. Mi sposto su un lato della piazza per avere una buona visuale. Una donna sta attraversando lo slargo. Porta una borsa in mano e trascina la sua ombra.
Da qui prendo Via del Babuino, che è totalmente deserta. Tutte le persiane sono chiuse, e l’unica persona che vedo è una signora col suo cane. A proposito di cani, nel primo periodo della nostra quarantena ne sono circolate di battute sui cani sui social media, tipo: “Ehi, c’è qualcuno che possa prestarmi un cane? Vorrei fare due passi senza essere arrestato! ”
Davanti a Piazza di Spagna ho il mio primo incontro con i vigili. Mi avvicino a tre di loro per spiegare chi sono e perché me ne vado in giro. Controllano i miei documenti e mi dicono: “Li tenga pronti quando procede, perché in ogni piazza i nostri colleghi le chiederanno il tesserino”.
Piazza di Spagna mi colpisce. È semplicemente impressionante, e fa anche un po’ paura. Non c’è anima viva sui 136 gradini. È semplicemente come deve essere stata quando fu inaugurato nel 1725. Nudo marmo, pura architettura. L’acqua che sgorga sonora dalla famosa fontana del Bernini ai piedi della scalinata. Nessuno che distragga l’occhio o l’orecchio. Sono solo davanti a questo capolavoro dell’architettura.

La bellezza sprecata
Su Via Condotti, la via più esclusiva di Roma, tutto è chiuso. La percorro in direzione del Pantheon. E anche qui trovo la stessa situazione di abbandono. C’è solo una piccola auto della polizia di fronte a uno dei templi più celebri di Roma. Quel giorno questa totale solitudine lo fa sembrare ancora più maestoso di quanto non sia di solito.
Poco oltre, a Piazza Navona, stessa situazione. Un padre sta attraversando la piazza monumentale con suo figlio, e la presenza di esseri umani conferisce alla piazza una speciale dimensione di “grandiosità”.
Ho come la strana sensazione che la città sia in qualche modo tornata alle sue origini, al tempo in cui tutti questi capolavori architettonici furono costruiti, secoli fa. Oggi, tutta quella bellezza e tutta quella magnificenza sembrano completamente sprecate, senza nessuno che le ammiri, senza alcuna possibilità di trasmetterne la Immortalità.

Devo dire che passeggiare per Roma in queste condizioni mi dà un senso di storia. Sì, lo so … è un frammento di storia triste e angosciante se vai oltre la bellezza, oltre l’incantesimo e il fascino di una città vuota. In quasi 23 anni che ho vissuto a Roma, non l’ho mai vista così.
Ciò che verrà dopo, dopo la riapertura della società italiana, sarà, purtroppo, un disastro economico. L’ultimo sondaggio del Fondo monetario internazionale afferma che l’Italia è tra i paesi che sperimenteranno la più grande battuta d’arresto in campo economico, con un debito pubblico destinato a salire intorno al 143% del PIL.
Ma sono pensieri negativi che vengono spazzati via appena arrivo alla Fontana di Trevi. Che impressione! Ho il mio posto di lavoro al Centro della stampa estera di Roma, non lontano dalla fontana più famosa della città. Quasi ogni giorno c’è un tale trambusto di fronte al monumento, con turisti provenienti da tutto il mondo. Ma non quel giorno. Vedo solo un paio di poliziotti annoiati con cui scambio poche parole. Tutto ciò è incredibile. È quasi come far parte di uno strano sogno. Sono solo, di fronte alla fontana più famosa del mondo, dove l’attrice svedese Anita Ekberg invocava Marcello Mastronianni nella Dolce Vita di Fellini: “Marcello, vieni qui!” E, naturalmente, Marcello si tolse scarpe e calzini e la raggiunse nella fontana.

 Era il 1960, e oggi, 60 anni dopo, ho davvero la sensazione di far parte di un film. Un film strano, surreale e incredibile con una sceneggiatura che nessuno avrebbe mai immaginato appena due mesi fa.
 Solo venti minuti dopo sono in grado di verificare che il Colosseo non è mai stato vuoto come è oggi. Per fare una bella foto, salgo su una piccola altura vicino al famoso monumento. Anche qui richiamo l’attenzione di due agenti di polizia. “Ci dispiace, pensavamo che fosse un turista”.
Sono gentili ma anche risoluti. Parliamo per un paio di minuti in cui spiego la mia posizione. Dopodiché arriviamo alla conclusione che quel giorno di turisti non nemmeno l’ombra, a Roma.

Dopo pochi minuti raggiungo il vicino Circo Massimo. Ci ho abitato vicino, e spesso venivo qui a fare jogging diverse volte alla settimana. Di solito al Circo Massimo, che ha una lunghezza di 600 metri una larghezza di 140, si vede gente correre, camminare, ascoltare musica, baciarsi, mangiare panini, leggere libri e giornali. Quel giorno le uniche due persone che incontro sono un padre e il suo figlioletto in bicicletta.
Controllo il contapassi sul mio cellulare. Sono stato in giro per circa cinque ore e ho fatto qualcosa come 17 km., e ho ancora un po’ di strada da fare prima di tornare a casa mia.

Passato il quartiere più popolare di Roma, Trastevere, arrivo all’inizio di Via della Conciliazione, la grande arteria che mi porta verso il Vaticano e la Basilica di san Pietro.
Due poliziotti vanno su e giù con le mani dietro la schiena. Mi siedo in mezzo alla strada. Nessun problema perché non c’è traffico. Voglio fare uno scatto insolito, riprendere da una nuova angolazione un monumento che abbraccia storia, architettura e religione. Migliaia di sanpietrini conducono i miei occhi verso la grande Basilica, e penso a me stesso che oggi ho avuto materiale per tante storie da raccontare in futuro ai nipoti.

 A casa, dopo 19 chilometri di strada,  mando un paio di foto ad un amico. Mi risponde immediatamente: “Caspita, le foto sono davvero così… come dire, sono davvero bellissime. Cioè, voglio dire, sono davvero… un bellissimo incubo”.

(Foto dell’autore. Traduzione dall’inglese di Nicola Rainò)