Fiskars: ci diamo un taglio da 55 anni

Forbici uniche e incomparabili, praticamente perfette

Esiste un oggetto del design finlandese che la gran parte di noi ha in casa e che, pur nella sua sommaria funzionalità, è talmente familiare da risultare poco nordico: due lame affilate, una vite stretta in mezzo e un’impugnatura color Hare Krishna che, con le forme sinuose di una scultura di Henry Moore e la sincerità di un giocattolo per la prima infanzia, avvolge il pollice e l’indice suggerendo alle due estremità articolari che distinguono gli ominidi dal resto delle specie viventi la corretta posizione di taglio.

“Per fortuna ci sono oggetti intramontabili che sfidano il tempo e gareggiano valorosamente con la modernità. Le forbici, per esempio, eleganti e geniali”, tagliava corto Luigi Pintor ne Il Nespolo.

Le forbici Fiskars compiono quest’anno cinquantacinque anni. L’iconico utensile nasce dalla mente di Olof Bäckström (Kirkkonummi 1922 – Tammisaari 1988) ingegnere elettrotecnico e designer che, all’inizio degli anni ’60, lavorò a un modello in legno, un’impugnatura ergonomica per un paio di forbici che riproponessero la linea e le proporzioni delle cesoie sartoriali.

Bäckström collaborava con il marchio Fiskars dal 1958 ed era già un nome affermato e apprezzato del disegno industriale finlandese: l’anno prima aveva vinto la medaglia d’argento della XI Triennale di Milano per una serie di oggetti da tavola, una ciotola di legno di betulla e cucchiai a spatola di ebano. I suoi primi lavori per un’industria che contava già oltre trecento anni di ininterrotta forgiatura (fondata nell’omonima località parte della municipalità di Raasepori dal mercante e armatore lubecchese Petter Thorwöste nel 1649, la Fiskars è la più antica azienda privata di Finlandia) erano stoviglie in melammina, composto che, con la formaldeide, forma una resina largamente utilizzata per contenitori alimentari: tazze, ciotole e piccoli vassoi dalle forme sintetiche e delicate, un modo per prendere dimestichezza con resine, plastiche e polimeri, materiali prima di allora quasi ignorati dal design locale, polarizzato attorno al vetro e al legno.

Per l’impugnatura delle forbici, entrate in produzione nel 1967, scelse invece l’acrilonitrile butadiene stirene (ABS), polimero termoplastico particolarmente leggero e resistente utilizzato, tra l’altro, per la produzione dei mattoncini della LEGO.

Il colore dell’impugnatura, elemento fortemente caratterizzante dello strumento, ha in realtà un’origine curiosamente accidentale: durante la lavorazione del prototipo venne deciso di utilizzare materiale di risulta dalla linea di produzione di uno spremiagrumi che, altrimenti, sarebbe andato sprecato. Bäckström aveva dapprima in mente di produrre i primi esemplari in tre colori: rosso, nero e verde. L’arancione non era un colore adatto a un utensile destinato alle mani rugose di un artigiano. Si decise di mettere ai voti il colore dell’impugnatura tra i dipendenti del reparto e, sebbene con stretto margine (nove voti per l’arancione, sette per il nero), venne scelto il tono luminoso e spensierato del prototipo.

Produzione negli anni 1970

I primi mille esemplari vennero venduti a Stoccolma e, nei due anni successivi, si passò dai 30.000 ai 300.000 pezzi (nel 2010 l’articolo aveva superato il miliardo di esemplari venduti). È interessante osservare come, nel 1968, per acquistare un paio di forbici Fiskars in Finlandia bisognasse estrarre dal borsellino 12 marchi (pari a circa 19,22 euro), facendo le proporzioni su mezzo secolo d’inflazione un prezzo esorbitante rispetto a quello attuale, a riprova di come il design finlandese potesse già permettersi di trasformare uno strumento da lavoro in uno status symbol.

I modelli iniziali avevano linee più grezze e squadrate e l’impugnatura del dito indice, in chiusura, poggiava a quella del pollice sul piede di una protuberanza tondeggiante, elemento poi eliminato. Un’importante innovazione nello sviluppo dell’oggetto è il perno a vite tra le due lame che consente lo smontaggio e la pulizia completa dello strumento.  

Nel 1972 uscì il primo modello per mancini. A partire dal 1977, per alcuni anni, parte della produzione venne delocalizzata negli Stati Uniti (Middleton, Wisconsin) aprendo così il brand al mercato d’oltreoceano, Nelle scuole americane si diffuse il termine “fiskars” come sinonimo di “scissors”, e l’utensile è presente dal 2004 nel New York’s Museum of Modern Art.

Oggi sono presenti nel catalogo nove modelli di forbici, classiche, da cucina e da giardinaggio in quattro colori, oltre al classico, intramontabile arancione.

Talmente unico e iconico che per celebrarne i 50 anni il Museo del Design a Helsinki nel 2017 gli dedicò una mostra. Unico perché solo queste forbici, prima di lasciare la fabbrica, oltre al controllo manuale subiscono anche quello “uditivo”. Uditori professionisti si assicurano che ogni esemplare produca lo stesso scatto al momento in cui le lame si chiudono.

Il fatto è che a ispirarle, così dicono, sono la natura, la fisica, l’anatomia umana. Altro che utensile, viene da pensare, si tratta di una naturale appendice dell’homo secans.

(Per le foto utilizzate, siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)

Marcello Ganassini, ugrofinnista, traduttore di letteratura finlandese ed autore della moderna edizione filologica del "Kalevala". Responsabile per la letteratura finlandese della casa editrice Vocifuoriscena.