Konrad Lehtimäki: La notte di Natale

Jouluyö

Dal volume di racconti “Kuolema”, 1915

Già in autunno, Hautala era finito sotto una frana ritrovandosi con due costole incrinate e lesioni alla spina dorsale. Una settimana dopo era stato dimesso dall’ospedale, ma era ancora talmente debole da non reggersi in piedi. La padrona del suo alloggio, una vecchia vedova, era andata in campagna dal figlio, e ora lui si trovava allettato in totale solitudine nella cameretta al quarto piano del grande edificio in pietra.

Confusa e vaga arrivava fino a lui la gioia della celebrazione della vigilia. Sembrava come se il gigante di pietra sotto di lui fosse una creatura vivente, con le vene che pulsavano febbrilmente… Proprio dal piano di sotto proveniva il tintinnio di piatti e bicchieri, un confuso mormorio, lì si suonava, si cantava, di tanto in tanto si udiva lo scoppio di risate grasse, collettive. Da qualche altra parte saliva una voce maschile monocorde, come se qualcuno stesse leggendo o declamando un discorso farraginoso, e ancora più lontano le voci giocose dei bambini a intonare un familiare inno natalizio…

Quel canto dolce e doloroso arrivava dritto al suo cuore, pungolandolo, come se un liquido infuocato fosse gocciolato nella ferita ancora aperta… Dimenticò quasi il presente. Ricordò soltanto come lui e la sorella ormai defunta insieme cantassero in passato quello stesso inno la vigilia di Natale… come ruzzolavano e si spintonavano sulla paglia fragrante che copriva il pavimento, e papà e mamma li guardavano con un sorriso felice… Una volta la mamma decorò anche un albero di Natale per loro. Oh, com’era bello, con i bonbon, la bandiera, le candeline…

Dal basso arrivò un’esplosione di risate selvagge che interruppe quel canto, e un vago dolore e l’inquietudine gli pinzò il cuore: ricordò di nuovo tutto. Non sapendo perché, si mise a sedere con grande sforzo. Ma subito cominciò a sentire un dolore lancinante alla schiena, le orecchie che ronzavano, a vedere delle scintille nere davanti agli occhi, a provare un senso di vertigine, come se stesse guardando qualcosa dall’alto. Allungò la mano verso la brocca d’acqua, tremava a tal punto da non riuscire a portarla alle labbra, e con quella luce pallida sembrava traslucida come la cera… Prese ad osservarsi i piedi, riuscendo a distinguere ogni nodo delle ossa, e provando una strana commiserazione per quelle mani e quei piedi. Erano stati così forti e agili, e ora, con le loro articolazioni sporgenti, esili ed esangui, ricordavano quelli dei morti…

La candela accesa sul tavolo illuminava lo sciatto interno in cui si trovava. Guardò a lungo quella candela bianca di stearina con le sue fiamme gialle e vibranti, e il pensiero andò ancora una volta a quanto piacesse a lui e alla sorella quando…  

– No, no, non devo pensare a casa mia e al dicembre, rifletté Hautala. E come per vendicarsi della candela che gli aveva fatto tornare alla mente quei vecchi tempi mai più tornati, la spense con un soffio, e la stanza si rabbuiò.

Con gli occhi stanchi, guardò fuori. C’era molta luce, il cielo brillava di rosso nel riflesso delle migliaia di fuochi della città, e il crepitio dei cavi elettrici al vento era così monotono e triste da sembrare un lamento trattenuto…

– Come sarà lì dove una volta c’era casa mia… Sì, certo deve essere buio, le pietre angolari che sporgono nere, abbandonate, mentre un sibilo di vento misteriosamente gelido sibila tra l’una e l’altra… E quelle mani che mi consegnavano i regali la vigilia di Natale, le mani alle cui carezze la sera mi conciliavano il sonno, di loro devono essere rimaste solo le ossa, e anche quelle ormai nella terra, nel profondo…

Di nuovo quei ricordi e quei pensieri, quelle memorie dolci e amare. Li vorrebbe soffocare, strappare dal cuore… Ma quelli, incrollabili, senza pietà, gli dilaniano l’anima, come un uccello rapace che con il becco aguzzo pungola e lacera la preda…

E intanto giù si ride… E lui si sente così solo… così solo…

Finalmente cala il silenzio sul baccano confuso delle celebrazioni. Le cene sono finite, i regali sono stati distribuiti, e la gente ormai sazia si abbandona al riposo. È come se il mastodontico gigante di pietra cominciasse a sentirsi stanco, sfinito; l’impulso febbrile al suo interno a mano a mano si placa, come in punto di morte…

Tuttavia, dai piani inferiori salgono ancora dei rumori. Da una parte un dolce valzer sognante; da un’altra, una voce ebbra, corposa di baritono canta un’operetta, e quando è finita, risuona una risata squillante, travolgente di donna, una strana sonorità eccitante e fascinosa. Da quella risata si capisce che la donna è giovane, piena di vita, probabilmente ha gli occhi luminosi, le guance splendenti e le labbra rosse di vino…

Si sdraiò a letto e prese a fissare la finestra. Le luci si spensero gradualmente, il bagliore rosso si affievolì, incalzato dal buio sempre più fitto. Anche il vento si era quasi placato, ma di tanto in tanto il suo respiro freddo arrivava alla finestra, e allora sembrava che all’esterno qualcuno sospirasse in silenzio…

Là fuori da qualche parte, nella notte invernale, il campanile rintoccò le due, e così triste fu quel suono da sembrare una creatura vivente che piangeva per la sua solitudine infinita.

E dopo un attimo, per la prima volta quella notte, calò un silenzio assoluto, come se il gigante sotto di lui avesse finalmente esalato l’ultimo respiro.      

Improvvisamente Hautala smise quasi di respirare e si concentrò nell’ascolto…

Dei passi…?

Proprio così. Dei passi al piano di sopra, solitari, stanchi…

Solo ora ricordò che sopra di lui c’era una piccola mansarda e la padrona di casa gli aveva detto che ci viveva una ragazza con il suo bambino piccolo.

Si sentiva anche dell’altro, ma contemporaneamente dal piano inferiore salì di nuovo lo scoppio di risate di quelli che sbevazzavano… Hautala si sentì ribollire di amarezza, di rabbia impotente, mentre i denti stridevano furiosi…

Alla fine le risate cessarono e lui sentì una voce debole e strana che non riconobbe. Finalmente, dopo averla ascoltata a lungo, si rese conto che era il pianto di un bambino malato…

Com’era stanco, debole, rotto! Dal di sotto, sembrava il brusio di una mosca solitaria intrappolata nella ragnatela, una mosca che ronza con le sue ultime forze, sempre più debole… Dopo un po’ il pianto fu interrotto per un attimo da una tosse roca, ansante, altrettanto impietosa e acuta del rumore della sega che taglia il legno ghiacciato, come se il torace e la gola del piccolo fossero stati frantumati… A volte sembrava che il bambino soffocasse mentre tossiva: c’era un silenzio lungo e minaccioso…

Ma il piccolo non morì, perché quel pianto languente ricominciava sempre, ancor più straziante… Era sopraffatto dall’orrore al pensiero di quale potesse essere l’aspetto di un bambino capace di modulare un lamento simile. E quasi vedeva quel corpicino scheletrico ansimante, la bocca contorta, la lingua gonfia e bianca… Sentiva che il piccolo non sarebbe stato capace di gridare più a lungo, e aspettò a lungo, in dolorosa tensione, di sentirne gli ultimi rantoli…

Nella quiete notturna, la campana suonò le tre… le quattro… le cinque, con rintocchi trascinati, distorti. Da qualche parte si udì lo sferragliare di un cancello che si apriva, dal fondo della strada il tintinnio di una processione solitaria, e da più lontano, probabilmente dal parco, l’ululato di un cane. Forse si tratta di un cane abbandonato, infreddolito e ramingo, scacciato dall’androne per via del suo ululare lamentoso e triste, quasi fosse sulla tomba del suo padrone in una buia notte d’autunno…

Al piano inferiore era già tutto tranquillo. Lì le persone dormono nei loro letti morbidi. Ma dalla camera in soffitta si sentono ancora i passi, monotoni, senza speranza, stanchi… più trascinati di quelli di un prigioniero nella sua cella… E con indicibile, fievole dolore lì si lamenta quella boccuccia distorta… Ma la voce non era più il pianto del bambino; sembrava piuttosto il pigolio di un uccellino morente, schiacciato da una ruota di ferro…       

Improvvisamente i passi si fermarono e si sentì uno strano botto, come di ginocchia spossate sul duro pavimento… E, a soffocare la debole voce del bambino, un pianto improvviso, straziante e disperato, come non aveva mai sentito prima. Era l’ultimo grido di dolore per l’anima torturata, e nel silenzio della notte sembrò così orribile che lui saltò giù dal letto come un animale del bosco sorpreso nel sonno, tutto tremante… E continuando ad ascoltare gli sembrò che qualcuno stesse strangolando quella madre infelice e che lei fosse sul punto di morire asfissiata.

Con le mani tremanti strofinò il fiammifero e accese la candela. Sentiva di dover fare qualcosa. Dopo averci pensato un attimo, si rese conto che non c’era niente che potesse fare. E per tutto il tempo quel pianto straziante, e a intervalli il lamento rotto del piccolo. Cercò disperatamente di tapparsi le orecchie, ma continuava a sentirlo, ancora più orribile, più orribile…

Alla fine, il pianto della madre cessò, si sentirono soltanto singhiozzi soffocati.

E dei passi…

Hautala si rannicchiò nel letto pensando alla giovane madre che aveva portato in braccio il bambino morente per l’intera notte di Natale… E i suoi pensieri erano amari e grevi.

Poi risuonò il primo scampanio della chiesa… E un po’ alla volta la pallida mattina bigia di Natale fece la sua incerta apparizione. Ma al piano di sopra continuavano i lamenti di quella voce sottile, appena udibile… E i passi, i passi…

Traduzione di Antonio Parente e Nicola Rainò

L’immagine del titolo e quelle nel testo sono dei collage di Viki Shock: “Oh n.5”, “Dall’opera di Adolf Loos” e “Perduta”, riprodotti col permesso dell’autore.

Konrad Lehtimäki

(Vaihto 1883 – Turku 1937)

Figura complessa e controversa della vita politica e culturale della Finlandia dell’inizio del Novecento. Da ragazzo fece diversi mestieri, anche il marinaio, quindi dal 1907 al 1913 fu segretario regionale del Partito socialdemocratico nei distretti di Vyborg e di Turku. Redattore di Kansan Lehti a Tampere, Lehtimäki fu eletto due volte al Parlamento come deputato del Partito socialdemocratico per il periodo 1911-1917. Coinvolto a Tampere nella guerra civile dalla parte dei rossi, ebbe una condanna a morte, da cui fu salvato anche per l’intervento di molti rappresentanti della cultura finlandese.

Scrittore molto celebre in vita, dopo la sua morte è stato dimenticato. La sua produzione letteraria, molto irregolare, è importante per l’attenzione alle tematiche sociali e del lavoro, ma anche per un certo gusto dell’avventura e del grottesco, soprattutto nelle opere degli anni ’10: in particolare le raccolte di racconti Rotkoista (Dalle forre, 1910), Kuolema (Morte, 1915) Syvyydestä (Dal profondo, 1915) e soprattutto il romanzo  Ylös helvetistä (Fuori dall’inferno, 1917).