Helena Sinervo: Fioccano i ricordi

I nostri "Insoliti Ignoti", testi ancora inediti in lingua italiana

Helena Sinervo (Tampere, 1961) si laurea al Conservatorio di Tampere in pianoforte e, successivamente, studia a Helsinki e in Francia critica letteraria e filosofia, sotto la guida di J. Kristeva, H. Cixous e J Derrida. Molto importante è la sua attività di traduttrice, sia di poesia, sia di filosofia; è infatti grazie alle sue traduzioni che il pubblicò finlandese ha potuto conoscere alcune personalità della filosofia francese, come Kristeva o Blanchot. Così come nelle altre culture ”europeriferiche”, quindi, anche gli scrittori di lingua finlandese hanno assunto, in Finlandia, il ruolo di  mediatori delle “grandi” culture; nel caso della Sinervo, ciò è vero anche per quel che riguarda le sue traduzioni di Elizabeth Bishop, Yves Bonnefoy e Stéphane Mallarmé, per citare solo alcuni autori.

Fin dall’inizio, partecipa alle attività del gruppo Forza Giovane e alla compilazione dell’almanacco dei Club dei poeti vivi, MOT MOT. Tra i poeti finlandesi da cui trae ispirazione, la Sinervo cita soprattutto le moderniste Mirkka Rekola ed Eeva-Liisa Manner, della cui raccolta Acque morte,  la Sinervo sostiene che, dopo averla letta a sedici anni, le abbia cambiato la vita.

Dopo aver preso anche lei parte all’antologia Gruppo 92, debutta con la raccolta Verso l’innumerabilità (Lukemattomiin, 1994). Strutturalmente, le raccolte della Sinervo hanno molto in comune con le composizioni musicali: brani più ‘veloci’ si alternano a testi più ‘lenti’, e la raccolta, di solito, si conclude con un ‘gran finale’. Sinervo sostiene che questa struttura è il suo modo di reagire alla monotonicità di molte raccolte poetiche finlandesi. La musica, la ricerca dell’identità e Parigi, secondo le parole dell’autrice, costituiscono lo sfondo principale dei testi della sua opera d’esordio.

Anche la sua seconda raccolta, L’Anglia azzurra (Sininen Anglia, 1966), presenta un titolo piuttosto enigmatico: l’Anglia è un vecchio modello di automobile, che evoca la prima infanzia,  e proprio grazie a questa vecchia automobile “i nomi ritornano nelle cose”. Un valore affettivo, e metaforico, “A come Anglia”, verrebbe da dire, al modo in cui si dice “B is for Buick” per l’auto che il pittore americano Edward Hopper guidò tutta la vita.

E arriviamo così al senso sinerviano della lingua, che l’autrice descrive come ‘ascientifico’ e antisaussuriano’, e al quale in parte è giunta ispirandosi alla mitologia cabalistica: quando le parole  si somigliano, anche le cose e i fenomeni cui si riferiscono sono legati in qualche modo magico e  mistico. L’Anglia compare anche nella raccolta Le coppie del buio (Pimeän parit, 1997), nella quale la Sinervo presenta le sue poesie d’amore più intense. In Come un uomo (Ihmisen kaltainen, 2000) l’autrice esplora, sia attraverso i temi mitologici sia attraverso quelli della vita quotidiana, il significato dell’essere umano nelle varie fasi della vita e il nesso tra tutti gli esseri viventi. L’ultima delle sue raccolte di poesia (undici, in totale) è del 2018, Merveli.

La Sinervo è anche autrice di libri per bambini e di romanzi, tra i quali va citato almeno Runoilijan talossa (Nella casa del poeta, 2004), basato sulla vita della Manner e vincitore del premio Finlandia.

Le poesie che qui presentiamo riguardano, almeno in parte,  il fascino che il senso per la neve esercita su Helena Sinervo. “La neve per me è uno degli elementi di base, una specie di protomateria. Si ricollega al ricordo della mia infanzia, piuttosto che alla letteratura, ai momenti più felici e spensierati, e per me è sinonimo di calore e felicità. Il rumore dei passi nella neve significa vicinanza e sicurezza. Naturalmente la neve è, allo stesso tempo, fredda e senza vita; l’immagine della neve, perciò, ha una strabiliante varietà di significati.”

Nella serie I senz’Arca, assistiamo, invece, alla culminazione del tema dell’alienazione degli attuali eredi del Noè biblico.

POESIE

Com’è che la neve, infinita e ineludibile alla luce,

si ammassa in ricordi?

Dai vagoni sale un pianto, subito ghiaccia

nella silenziosità nevosa

che il ricordo guida lì dove il tu e l’io si incontrano.

I passi scricchiolano in circolo intorno ai vagoni,

dal cerchio di voci il sogno trova rifugio nel disgelo

dove adesso mi segui

quando alla neve silenziosa viene assegnato un nome.


Chiedi alla neve:

chi sdiaccia, chi

abbraccia?

Seguendo quali orme

ipnotizzate

avanzi

tutt’intorno

un candore interminabile,

la bianchezza più candida?

(da L’Anglia azzurra, 1996)


Come dalla nebbia gli alberi e le colline

Come da te

Come il ghiaccio risuona di ghiaccio,

resta di ghiaccio senza risposta

quando udiamo

la neve, bianchissima

(da Compagni dell’oscurità, 1997)

Tre canti d’amore: “Ex abundantia cordis”

I

Cosa parleresti

se non cenere e aconiti.

Cosa vedresti

se non sabbia e molluschi.

Cosa udiresti

se non orecchie dormienti.

Dove andresti

se non sotto l’erba,

in alto,

per portare Te.

II

Poiché la bocca parla

della pienezza del cuore,

e l’occhio, pieno di oggetti.

Un albero sordo

abita l’orecchio, un sordo

gravame

sotto l’erba.

III

La pietra schiuse la sua pelle porosa

al lichene assiderato.

da Odi per l’orecchio, 2003

I senz’arca

I

Cosa fare ora,

quando nessuno comprende

l’interezza,

definita da parti

innominabili,

chiese alla lampada a stelo

e all’antica scrivania

dritte nella loro mutezza

in terra, al deposito

all’oscuro

dei movimenti di capitali,

chiese al barometro,

al tappeto arrotolato

divorato dalle tarme,

agli opali dell’oscurità

sommersi nel suo pelo

che riflettevano

le stesse parole delle mani:

Cosa fare ora?

II

Cosa fare ora,

quando il prezzo del posto in piedi

con le spese aggiuntive

arriva a un milione,

chiese al bambino giocattolo,

al pianto soppresso

che saliva oltre la sabbia

quando vi mise piede

accanto allo scivolo,

alla palettina di plastica

come il sogno e il gioco,

come l’essere?

chiese alla centrale dei media,

alla ciminiera della centrale elettrica

che alimentava una nuvola

sul centro commerciale,

finché il suo ventre gonfio

non fece saltare le cuciture

e tutti si precipitarono

a nascondersi dalla pioggia,

i bigliettai, gli intermediari,

sbuffando vapore

distribuivano dépliant

agli animali della fermata.

III

Cosa fare ora,

quando l’acqua è salita alle ginocchia

e la mandria di rinoceronti

si è ammucchiata nel caveau,

per insegnare alle banconote a nuotare?

chiese al vialetto del parco

che le foglie ingiallite

aspettava la sua fine.

Cosa fare ora,

quando l’acqua è salita fino all’ombelico

e il tonno presto abboccherà

soltanto alla canna da pesca di bambù,

per non parlare di quelli più piccoli?

chiese la capinera

ripulendosi con un tovagliolino

l’angolo del becco insanguinato.

Traduzione dei testi di Antonio Parente.

(I dipinti riprodotti sono di Pekka Halonen e Edward Hopper. Per le immagini utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)