Invece che per i soliti elogi, recentemente la Finlandia è ricomparsa prepotentemente sui media italiani e internazionali per una notizia che ha suscitato una delusione collettiva: la Finlandia felix ha ucciso il reddito di cittadinanza! Una sorta di contrappasso dell’entusiasmo e delle esagerazioni che avevano accompagnato l’annuncio nel 2016 di un esperimento biennale su 2000 disoccupati di un reddito di base (perustulo), la sua prossima conclusione ha provocato risposte altrettanto sproporzionate e imprecise. Vediamo come stavano e come stanno le cose.
Un risultato è certo: i 20 milioni di euro spesi in questo progetto sono di certo stati un buon investimento in termini di pubbliche relazioni e soft power acquisito dalla Finlandia. Per tentare di fare un po’ di chiarezza tra i molti articoli e servizi apparsi in Italia e altrove, abbiamo raccolto informazioni dai media finlandesi, che sembrano però più interessati all’attenzione mediatica internazionale ricevuta dall’esperimento che ai risultati dello stesso, anche per il fatto che l’esperimento – vale la pena ricordarsene – è ancora in corso e i risultati ufficiali arriveranno solo nel 2019.
Sui media finlandesi di queste ultime settimane non ci sono state grandi notizie riguardo al “reddito di cittadinanza”, la causa scatenante dell’ondata internazione di interesse sembra stata essere un articolo in inglese di Business Insider del 19 aprile che, in linea con la pubblicazione, ha un titolo piuttosto drammatico: Finland is killing its experiment with basic income. I contenuti sono più moderati e corretti, ma la fonte più fresca risale a quasi un mese prima e quelle principali addirittura a gennaio 2018, quindi non esattamente freschissime.
Quello che il titolone clickbait di Business Insider sembra incorrettamente implicare è che l’esperimento sia stato interrotto, quando invece sta proseguendo come previsto verso la sua fine prestabilita nel dicembre 2018, come ha dovuto specificare la stessa Kela, l’ente di previdenza sociale che gestisce il progetto. Ma in qualche modo la tonalità del titolo è stata riverberata da molte altre testate, i cui giornalisti sembrano non aver letto o volutamente ignorato alcuni fatti e dettagli per strumentalizzare la notizia.
Ricapitolando: alla fine del 2016 il governo decide, sulla base di un rapporto preliminare della KELA, di sperimentare una variante del reddito di base. Quello che si vuole misurare sono gli effetti di un reddito garantito incondizionato sul comportamento delle persone, soprattutto la propensione a cercare un lavoro se disoccupati. Un possibile obiettivo è la riduzione della disoccupazione, che è all’ 8,8% e di cui circa un quarto è cronica, ma anche la semplificazione della burocrazia: il reddito di base sostituirebbe infatti i vari sussidi forniti dalla Kela e ridurrebbe la necessità di controlli.
Il progetto viene messo in piedi molto rapidamente e 2000 disoccupati vengono selezionati casualmente per ricevere 560 € netti mensili per due anni (dal gennaio 2017 al dicembre 2018); questa somma è inferiore al sussidio di disoccupazione medio di circa 700 € ma è garantita e incondizionata.
Sin dall’inizio il direttore del progetto alla Kela, il professore Olli Kangas, aveva auspicato un esperimento con una demografica più larga e di maggiore durata: sarebbe stato più rappresentativo includere anche persone sotto-occupate, microimprenditori, freelancer e in genere parte della gig economy, e l’arco temporale di due anni può inibire a prendere decisioni importanti.
Quindi l’esperimento finlandese non è un reddito di cittadinanza come inteso in Italia, e nemmeno quell’Universal Basic Income auspicato da Elon Musk e altri. Ma poco importa, in superficie sono simili abbastanza da essere paragonati negli articoli dei media italiani ed esteri.
Sin da principio, come dichiarato da una delle organizzatrici dell’esperimento al podcast americano 99% Invisible, c’era scetticismo sul fatto che il progetto finlandese venisse esteso o prolungato, ma anche questo dettaglio viene travolto dall’euforia generale. Le testate nazionali finlandesi hanno un approccio più pacato e misurato al progetto, che per quanto innovativo è pur sempre un esperimento piuttosto limitato, ma a stimolare il loro interesse è soprattutto la notevole risonanza all’estero.
I risultati finali dello studio dovrebbero essere pubblicati nel 2019, ma la furia mediatica esige risposte immediate e i giornalisti, sia finlandesi che esteri, sono andati a caccia delle ‘cavie’ dell’ esperimento. In particolare un soggetto selezionato, Juha Järvinen, padre di sei figli, che costruisce e vende online tamburelli per entrare in trance mistica, è diventato una celebrità (come si vede nella prima parte di questo video) ed è un presente in quasi ogni articolo sull’argomento. Finora gli esempi trovati sono positivi o neutrali, con persone che riuscivano a fare lavori part-time che prima avrebbero dovuto declinare per non perdere i sussidi di disoccupazione o che, pur non avendo trovato lavoro, dicevano di vivere più tranquilli. Chissà se ora, dopo questa serie di articoli meno positivi, ne spunteranno di più critici.
Alla fine, per quanto interessanti, le singole storie sono statisticamente irrilevanti, e dicono molto poco sul valore complessivo dell’esperimento, che si conoscerà soltanto alla pubblicazione dei risultati ufficiali.
Se è vero che l’esperimento del perustulo continua come previsto, è vero anche che nel dicembre 2017 lo stesso governo Sipilä che aveva approvato il progetto ha lanciato (senza sperimentarlo prima) il cosiddetto aktiivimalli (modello di attivazione), che è concettualmente opposto al reddito di base.
Se il perustulo è la carota, l’aktiivimalli è il bastone: un disoccupato deve dimostrare almeno 18 ore di lavoro oppure la partecipazione a un corso di formazione in tre mesi, altrimenti parte del suo sussidio di disoccupazione viene tagliato. Nei primi tre mesi del 2018 solo metà dei disoccupati sono riusciti a qualificarsi come “attivi” mantenendo l’intero sussidio. L’iniziativa è stata molto criticata, anche perché spinge a creare falsificazioni di lavori che vanno anche a corrompere le statistiche sull’occupazione.
Seguando questa nuova linea, già nel dicembre del 2017 il governo ha negato la richiesta di fondi aggiuntivi per prolungare ed estendere l’esperimento del reddito di base. Fatto confermato da Olli Kangas in un’intervista del gennaio scorso; un po’ sorprende che la notizia si sia diffusa internazionalmente solo ora.
Il primo ministro Sipilä con Petteri Orpo
In marzo il ministro dell’economia Petteri Orpo ha poi dichiarato al giornale di lingua svedese HBL di essere più interessato a sperimentare un modello di crediti simile a quello britannico che a proseguire lo studio del reddito di base. Con nuove elezioni parlamentari e nuovo governo previsti per l’aprile del 2019 è difficile però credere che questo secondo esperimento possa essere fatto durante questo governo.
Un caso tipico in cui si può parlare di molto rumore per nulla, probabilmente. Di cui si parla ancora per qualche settimana, prima che l’eco si perda sopraffatta dall’arrivo di altre notizie. Magari questa: che, nella stessa settimana in cui il Paese è sceso di una posizione nell’indice della libertà di stampa, anche la stampa estera inizi ad accorgersi che la Finlandia è un luogo normale con luci e ombre. Noi, almeno, l’abbiamo sempre detto.
La Rondine – 26.4.2018