In morte di Arto Paasilinna. Realista suo malgrado, poco amato in patria

“Che volete, lui è l’apripista”, diceva un caustico Kari Hotakainen in occasione di una celebrazione della letteratura finlandese all’interno di una fiera internazionale di qualche anno fa. Mentre noi gli andiamo dietro – chiudeva sconsolato – chi in trattore, chi a piedi. Anche qui ci prendeva, Hotakainen, lui destinato (solo il primo di una lista) a fargli da successore in nome dell'”umorismo”. Una bandiera, quella dell’umorismo finlandese, sventolata sui pennoni delle fiere del libro, da Francoforte a Torino. Era ed è una bandiera bianca. Perché nonostante tanti investimenti, anche in soldoni come quelli della FILI (che da anni rimborsano le traduzioni all’estero) l’unico che abbia nel tempo mantenuto un successo altalenante ma costante è stato lui, Arto Paasilinna da Kittilä.

Costretto in una casa di cura, a pochi chilometri da Helsinki, dopo un ictus che lo aveva piegato, continuava a scrivere, forse solo a dettare, come ricorda il figlio maggiore, Petteri, “ma solo per suo divertimento”. Ci viene da pensare che lo abbia sempre fatto.
Trentacinque romanzi, tradotti in oltre 40 lingue, più di otto milioni di copie vendute. La sua fortuna, anche in Italia, comincia con L’anno della lepre, romanzo tradotto da Iperborea come tutti gli altri a venire.

Ma come si spiega l’enorme popolarità dell’omone di Kittilä, in Francia, in Italia, in Europa e nel mondo? E perché una così scarsa considerazione in patria, soprattutto nel mondo intellettuale e sulla stampa ufficiale?

Nel dare notizia della sua morte, Helsinki Sanomat, la bibbia della borghesia intellettuale di Helsinki, lo presenta in bianco e nero, col titolo “Scomparso il maestro dell’umorismo grottesco”. In Italia, sulla bibbia concordata della borghesia intellettuale italiana (Repubblica) leggo in una breve nota che è morto l’autore dell’Anno della lepre,  “romanzo ecologico”. Ma lo stesso leggete sul catechismo della Confindustra.

Un marchio, questo, che in Italia nasce sulle quarte di copertina di Iperborea, la casa editrice che lo traduce e lo cura sin dagli inizi : “Nato a Kittilä, ex guardaboschi, ex giornalista, ex poeta, è autore-culto in Finlandia…” Di quanti artisti, nella presentazione, avete letto che sono ex fornai, ex lavapiatti, ex giardinieri? Eppure ce ne sono stati tanti a fare, da ragazzi, lavori umili, per guadagnare qualcosa. Chi nasce in Lapponia ha la stessa probabilità di fare il guardaboschi che ha un milanese di servire gli aperitivi in galleria.  Però quella intuizione di Emilia Lodigiani gli si attacca addosso, e generazioni di commentatori o reporter da weekend continueranno a presentarlo così, uno nato nei boschi e lì rimasto. (Va detto poi che, per molti commentatori, c’è uno slittamento successivo in “ex boscaiolo”, a conferma del suo valore filologico.)

L’ho conosciuto a Helsinki, nell’ex palazzo della WSOY, durante gli incontri annuali dell’editore, in cui lui si spostava di continuo dalle sale alle scale inseguendo un vassoio o la sua portatrice, recitando furbescamente il ruolo del mattacchione tra un bicchiere e un altro. Che lui usava da alibi, per certe sue esternazioni, condite da strizzatine d’occhio.

Faceva di tutto, in queste occasioni, per assomigliare a certi protagonisti dei suoi romanzi: stralunati, votati a imprese apparentemente incongrue, legati a tic senza uno scopo evidente. Ha raccontato di gente che organizza un suicidio collettivo, o lancia giavellotti da un pozzo, personaggi che sovente fanno mestieri ormai in disuso, come quello del Mugnaio, che esistono ormai più nei libri di storia, o di fiabe. O si abbandonano a sbornie colossali.

Come faceva lui, finendo con imbarazzo sui rotocalchi per le parrucchiere, snobbato con un certo fastidio dalla stampa seria. Come se quel suo problema, l’alcolismo, non fosse un problema del mondo reale, di tutte le famiglie finlandesi….

Sono state proprio certe sue stranezze ad affascinare noi del mondo di sotto (mediterraneo). Ambienti e vicende che ci si mostrano in una luce antica, estranea alle motivazioni psicologiche del dramma borghese, fin dalle prime righe. Penso a un romanzo per me esemplare della sua filosofia, tutt’altro che ecologista: Il vero amico dell’orso.

Paasilinna ci porta a seguire le avventure di una mamma orsa e dei suoi cuccioli che si abbandonano a bagordi e crapule in una dispensa, fino alla morte orrenda dell’orsa carbonizzata su un traliccio insieme con la povera rosticciera. Due sagome nere contro il cielo, grottesche, un’immagine uscita da una tavola di Bruegel, ma che Paasilinna trova il modo di riferirci come en passant, “dal basso”: “Al momento di oltrepassare la cabina elettrica il pastore scorse in cima al traliccio della corrente due sagome fumanti, senza riuscire a distinguere quale fosse la rosticciera e quale l’orsa. Non era il caso di fermarsi a ponderare la cosa, c’era da correre ad avviare il diesel per ridare corrente al respiratore”.

Grande tecnica narrativa, uno scorcio per raccontare il “grottesco”, poi un primo piano “realistico” per tornare coi piedi per terra: cribbio, c’è da pensare al diesel!

Un ribaltamento della realtà che, storicamente, leghiamo alla tradizione antropologica e anche letteraria del carnevale, a una diversa percezione del mondo, un mondo secondo, che in un mitico medioevo portava a rovesciare ruoli e personaggi, abbassando quel che è alto e sublimando quel che è basso. Che trasforma il reverendo Huuskonen, pastore luterano, in un eretico mangiavescovi, e un orso di nome Satanasso in un devoto credente, come nelle diableries e nelle favole. I numeri spettacolari dell’orso che fa capriole nella chiesa di Nummenpää attirando un numero record di fedeli (“senza dimenticare comunque che sull’altare era proibito”), le cerimonie liturgiche interconfessionali sulle navi da crociera, con Satanasso che si prosterna in direzione della Mecca e mugola come un muezzin, quindi l’opera di apostolato nelle bettole del porto di Odessa: a noi sembrano episodi discesi direttamente dal medievale risus paschalis, quando il predicatore dal pulpito si permetteva scherzi licenziosi e storie amene per suscitare tra i parrocchiani il riso, inteso come gioiosa rinascita dopo le sofferenze e i digiuni quaresimali.

Una materia, questa, che in mani meno abili (tipo un guardaboschi), correrebbe il rischio di scadere in retorica, ma è un pericolo cui Paasilinna si sottrae grazie a una tecnica raffinatissima, a volte col virtuosismo e la velocità di una sequenza cinematografica. Per esempio nel ricorso al doppio dell’orso. Ci racconta il trasporto di un gigantesco orso di peluche acquistato ai grandi magazzini e spupazzato in taxi per le strade di Helsinki, che si chiude con questa epigrafe: “Sul sedile posteriore un orso gigantesco dallo sguardo canzonatorio. Gli Huuskonen, davanti, con un’aria più seria.”  Puro Buster Keaton.

Poche pagine dopo siamo trascinati nel teatro dell’assurdo. Nell’incontro del reverendo col capitano dei pompieri, subito dopo essere stato privato del lavoro, piantato dalla moglie, e aver contemplato le pareti della casa vuota. Il capitano Rauno Koverola, per esprimergli solidarietà, non trova da dirgli niente di meglio di questo capolavoro di straniamento: “Troppo pochi gli incendi al giorno d’oggi. Ormai mi pagano a mezza giornata.” Una battuta che sembra uscita dalla bocca dell’ineffabile pompiere della Cantatrice calva di Ionesco. Ma guarda, proprio un pompiere…

Mi sono chiesto  se queste storie “apparentemente” bizzarre piacciano soprattutto a noi mediterranei (non a caso in primis nella patria di Rabelais)  non tanto perché ci portano in una realtà lontana nello spazio, nel Grande Nord, ma perché ci fanno ritrovare qualcosa di lontano nel tempo. Un qualcosa che ci appartiene, e che perciò amiamo. Ci fanno riprovare sotto quella maschera carnevalesca i profumi di una maniera narrativa che riporta a una tradizione letteraria, e a una cultura popolare, con cui abbiamo perso in parte i contatti. Qualcosa come un profumo delle storie di Apuleio, dei misteri medievali, della tradizione picaresca, e non che questo scarseggi nella letteratura italiana o francese contemporanee, dove anche oggi non mancano scrittori umoristici e grotteschi: ma questi li sentiamo forse troppo legati a una borghese urbanità, o inibiti dall’aggredire e mettere alla berlina una morale pubblica, una fede, ormai piuttosto deboli, tanto da essere quasi esclusivamente materia di dibattiti televisivi. Un grottesco da camera, direbbe Bachtin, che non s’azzarda a spaziare nei territori estremi toccati dalla fantasia di Paasilinna, un giullare cui è ancora rimasta da irridere la morale finlandese coi suoi residui di puritanesimo. È quel medioevo l’oggetto primario del suo riso.

Sarà per questo, mi viene da pensare, che in Finlandia gli intellettuali lo valutano con sorrisetti di condiscendenza, e la stampa lo relega nella nicchia dell’“umorismo grottesco”, come a mitigare l’effetto delle sue frecciate.

Il “realismo” di Paasilinna, nel senso del rapporto di una scrittura che si è misurata con una sua tradizione letteraria, in primo luogo, ma anche col mondo reale, con i suoi contemporanei, racconta sotto maschere divertenti vizi e virtù, pulsioni per molti inconfessabili: l’avidità, l’invidia, l’ipocrisia. Chi relega tutto questo nella Favola, nel Grottesco, o nell’Esilarante, lo fa forse per il fastidio di vedere messo a nudo il mito della Finlandia Felix?

Il tempo dovrà aiutarci a rileggere questo scrittore, non sempre grande. Spesso troppo coinvolto nella catena di montaggio di agenzie ed editori. E mi auguro che invece di esaltarlo come un esilarante filosofo della natura o denigrarlo come un simpatico favolista un po’ ripetitivo qualcuno, di un’altra generazione, riesca a parlarci soprattutto dello “scrittore”: come scriveva, ma anche cosa leggeva, quali erano le sue fonti e i suoi modelli. In un’intervista che gli feci molti anni fa mi parlava di Boccaccio.

Addio Arto Paasilinna

PS: Di questo soggetto ho parlato in un’intervista del 12.11.2018 a Radio Onda d’urto, che è possibile riascoltare cliccando qui: http://flatlandia.radiondadurto.org/files/2018/11/nicola-rain%C3%B2_kika.mp3

La Rondine – 17.10.2018

Nicola Rainò
Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.