Scuola finlandese nei guai: le cause di un declino

Dopo molti anni di riconoscimenti a livello internazionale, la grande cavalcata si è arrestata, le sorti dalla scuola finlandese non sembrano più né magnifiche né progressive, e ora ci si guarda intorno cercando di individuare le cause di un declino. Il cambiamento è stato avvertito da tutti gli addetti ai lavori e da chiunque segua da vicino le vicende del celebrato sistema scolastico del Paese nordico. È arrivato il momento di un bilancio: certo, non si tratta di buttare via il sistema, ma in tanti concordano che bisogna apportare delle modifiche. Vediamo insieme le ragioni del cambiamento, quelle interne al sistema, e quelle di carattere ambientale.

Qualche settimana fa un articolo del più grande quotidiano nazionale, l’Helsingin Sanomat ha scatenato un acceso dibattito: nell’inchiesta si fa riferimento a una ricerca dell’Università di Helsinki, ancora in fase di pubblicazione, che mette in discussione la validità dei nuovi metodi didattici, collegandoli con il recente peggioramento dei risultati degli studenti finlandesi nei test PISA (il programma dell’OCSE per misurare la valutazione internazionale degli allievi).

Prima di gridare allo scandalo, però, va sottolineato che la Finlandia rimane in ogni caso saldamente tra i migliori Paesi al mondo per quanto riguarda il sistema scolastico. È tuttaiva innegabile che il trend negativo sia piuttosto marcato, particolarmente per quanto riguarda la conoscenza matematica  (vedi: https://minedu.fi/pisa-2015).

Dal dibattito è emerso che le colpe maggiori vengono attribuite ai continui cambiamenti, per molti quasi frenetici, della scuola finlandese. Le critiche si basano principalmente su tre temi:

1. La digitalizzazione della scuola

L’utilizzo di supporti digitali è diventato un mantra nella scuola finlandese: ricerche con computer o cellulari, Quizlet, Kahoot, Google Classroom, libri digitali e chi più ne ha più ne metta. I vantaggi della tecnologia sono innegabili e sarebbe anacronistico per qualunque insegnante rinunciarvi.

Tuttavia la tecnologia deve sempre essere al servizio della didattica, offrendo un aiuto aggiuntivo al docente. Spesso si ha l’impressione che invece la tecnologia sia un valore in sé, una necessità dettata dall’insegnare ai cosiddetti “nativi digitali”, categoria che spesso sembra creata ad arte per motivazioni economiche più che socio-antropologiche.

In Svezia, dopo anni di modernizzazione sfrenata, si sta cercando di tornare indietro verso metodi più tradizionali. Gli stimoli, continui e improvvisi, degli strumenti tecnologici sono spesso un ostacolo all’apprendimento, soprattutto per i bambini più piccoli, che hanno bisogno di calma, di imparare a contare, a leggere e a scrivere potendo stringere tra le mani una matita appena appuntita e non schiacciando bottoncini a ripetizione.

Inoltre si parla tanto di integrazione della tecnologia nella didattica, ma quasi nessuno si sofferma sulla didattica tecnologica. Come tutti gli strumenti, anche quelli tecnologici vanno scoperti, esplorati e studiati. Saper accendere qualsiasi dispositivo dotato di un grande bottone on/off, cliccare su delle piccole icone o riuscire a collegarsi a una rete sociale non rende “alfabetizzati digitalmente”. Come ogni strumento umano, anche quello tecnologico deve essere analizzato, insegnato e appreso con metodi e tempi appropriati.

2. L’apprendimento per fenomeni

Questo nuovo metodo è la grande novità dei nuovi piani di studio, che prevedono da una parte una maggiore interazione tra insegnanti di discipline diverse, presentando così diversi fenomeni da vari punti di vista, e dall’altra un’autonomia e un’autosufficienza più marcata da parte degli studenti.

Il progetto è senza dubbio affascinante, ma come sempre accade la realtà ha questa odiosa tendenza a scontrarsi con la teoria e le belle idee. Gli insegnanti sono sempre più oberati di lavoro per via dei nuovi materiali da preparare e per la forzata convivenza con i colleghi, non sempre semplice; i ragazzi si trovano a dover imparare a cercare, internalizzare, processare e produrre informazioni, ad essere autonomi e indipendenti e ad aiutarsi e valutarsi a vicenda. Per qualcuno funziona, ma per molti no. Ed è qui che risiede il pericolo più grande: l’apprendimento per fenomeni rischia di minare le fondamenta e l’orgoglio principale dell’istruzione finnica, ovvero l’uguaglianza tra studenti. Tutti hanno gli stessi doveri, tutti gli stessi diritti e soprattutto a tutti vengono fornite le stesse possibilità. Il rischio che l’apprendimento per fenomeni possa “lasciare per strada” molti ragazzi non ancora maturi cognitivamente per gestire questo nuovo tipo di scuola è grande, ma non sembra preoccupare i grandi ideologi del “miglior sistema educativo del mondo”.

3. L’autonomia dei ragazzi

Se c’è una cosa che continua a colpirmi, dopo ormai sei anni di residenza in questo Paese, è il gran numero di bambini che vedo andare a scuola ogni mattina: tranquilli e composti, con il loro bello zainetto sulle spalle e l’immancabile cellulare con il quale cercano misteriosi animaletti giapponesi o chattano, taggano, twittano, e tante altre cose dall’astruso nome inglese.

Questa autonomia comportamentale non significa però che anche loro non rimangano bambini. I bambini e gli adolescenti non sono cognitivamente pronti a fare scelte a lungo termine, perché il loro giovane cervello è alla ricerca di un piacere immediato, tangibile. Chiedere a questi ragazzi di assegnarsi i compiti, autovalutarsi, valutare i propri compagni, scegliere a 15 anni che strada intraprendere nel proprio futuro equivale ad allontanare i ragazzi da un’esperienza scolastica “di successo”.

L’educazione all’autonomia e alll’intraprendenza non deve essere confusa con l’idea che tutti i bambini e gli adolescenti siano automaticamente autonomi e intraprendenti. I risultati di questo stress eccessivo si vedono purtroppo anche in Finlandia, dove molti ragazzi abbandonano la scuola e molte ragazze si stressano fino all’esaurimento nervoso. Sempre sulle pagine dell’Helsingin Sanomat la psichiatra Linnea Karlsson sostiene che questi due comportamenti – l’abbandono scolastico e lo stress eccessivo – siano due facce della stessa medaglia:  il rischio di un insegnamento troppo personalizzato è quello che si trasformi in un insegnamento solitario.

Sia chiaro che questo non vuole essere un punto di vista catastrofico: il sistema educativo finlandese è ottimo e sicuramente resterà tra i migliori al mondo per ancora tanto tempo. Ho paura però che l’appellativo di “migliori insegnanti al mondo” di cui si fregiano non tanto gli insegnanti stessi quanto i dirigenti scolastici e gli innovatori del settore sia una spada di Damocle che porti a una ricerca continua ed estenuante della novità, della rivoluzione, della sorpresa e dell’intrattenimento.

Concludo prendendo in prestito le parole del professor emerito di didattica Kari Uusikylä: “Quando sono i valori economici a guidare la società, neanche la scuola ha più bisogno dei valori sociali ed etici quali la bellezza, la virtù, l’amicizia o l’ecologia. Invece i valori egologici, l’individualismo e la ricerca ossessiva del proprio vantaggio, superano tutti gli altri. La digitalizzazione fa innegabilmente parte del nostro mondo, ma non è sufficiente se vogliamo crescere esseri umani e non macchine”.

Mattia Retta
Torinese, insegnante in Finlandia e probabilmente l'unico italiano ad aver studiato latino in finlandese.