Intervista con il Diavolo

In occasione della riedizione del racconto "Il Diavolo a Helsinki" abbiamo incontrato uno degli autori

A febbraio del 2015 vedeva la luce un racconto piuttosto curioso, che narrava dell’incontro tra il protagonista, Matteo Ticinese, e quello che nel corso delle pagine seguenti appariva essere il diavolo, o comunque un essere non appartenente a questo mondo: Pietari Jakola.

L’incontro avveniva in un freddo venerdí di dicembre nella piazza del Senato a Helsinki, ai piedi della scalinata della Tuomiokirkko (letteralmente “chiesa del Giudizio”), la grande cattedrale bianca, e proseguiva nell’antistante Café Engel, sito in un palazzo del 1765 e dedicato all’architetto Carl Ludvig Engel, che progettò diversi edifici prospicienti la piazza, tra cui la stessa cattedrale e l’università. 

Giorgio Tricarico e Giuseppe Vadalà di fronte al Café Engel nel 2023.

Un incontro con il diavolo al Caffè Angelo, insomma.

Nel racconto ce ne saranno altri due, di incontri e di dialoghi con il diavolo: uno ambientato nella periferia della capitale finlandese, nel quartiere di Tuomarinkylä, e l’ultimo, il più lungo e denso, che si svolge durante una passeggiata tra i boschi che uniscono Castel Gandolfo al lago di Nemi, nel Lazio. 

I principali temi dei dialoghi sono assai complessi ma molto antichi,  quanto l’essere umano: perché la sofferenza, perché il Male, perché la morte, qual è il senso del nostro breve vivere.

All’epoca della pubblicazione, La Rondine ne diede notizia con un intervista a Giorgio Tricarico, l’autore che ha dato vita alla trama, all’ambientazione del racconto e alla voce al protagonista, Matteo Ticinese appunto, analista italiano che vive e lavora a Helsinki, come lui.

Fu un piccolo editore torinese, Golem, che decise di pubblicare il libro con il titolo dal sapore nietzschiano di Oltre l’Uomo, dopo aver visto Giorgio e  Giuseppe Vadalà, l’autore che sta dietro a Pietari, il diavolo del racconto, recitare l’incontro al Café Engel in un evento del Fuori Salone del libro di Torino, a maggio del 2014. 

Giorgio Tricarico e Paola Livorsi nel 2015.

La performance beneficiò della colonna sonora creata per l’occasione da Paola Livorsi, compositrice di musica contemporanea e ricercatrice alla Sibelius Akateemia di Helsinki: Paola miscelò sapientemente una chitarra semiacustica, un contrabbasso, il suono dei “passi di Pietari” sui gradini della cattedrale e il rumore di fondo registrato proprio al Café Engel per creare un paesaggio sonoro perturbante, che accompagnasse un incontro di tal fatta.

Con la chiusura del piccolo editore il racconto cadde nell’oblio nel giro di poco tempo, finché quest’anno non è stato ripubblicato dalla case editrice indipendente Vocifuoriscena con l’accattivante titolo de Il diavolo a Helsinki con dei piccoli ma significativi cambiamenti disseminati nel testo, e con una bellissima postfazione di Marcello Ganassini.

Le voci letteralmente fuori scena di Matteo Ticinese e Pietari Jakola hanno dunque ritrovato volume e presenza nella collana di narrativa italiana Tracce e Ombre.

Per l’occasione la Redazione della Rondine ha intervistato il diavolo stesso, ovvero Giuseppe Vadalà, analista junghiano, supervisore e didatta presso il Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA), che vive e lavora sia a Roma sia a Milano. 

Giuseppe, come mai ti sei ritrovato a vestire i panni di Pietari Jakola e a ingaggiare dialoghi di grande complessità con Matteo Ticinese? 

Giuseppe Vadalà:. Se ricordo bene, a settembre del 2009 Giorgio Tricarico, che ebbi come allievo in qualche mio corso durante il suo training junghiano al Cipa di Milano, mi scrisse per chiedermi alcune informazioni sul diavolo nella teologia cristiana, perché ricordava che mi interessavo di questo tema particolare. 

Ovviamente gli chiesi perché, e lui  mi spiegò cosa gli girava per la testa, cioè scrivere un romanzo-saggio sul tema del Male. Mi venne voglia di unirmi a lui, cioè non solo di aiutarlo fornendogli un po’ di bibliografia e di idee teoriche sul diavolo, ma proprio di mettermi a scrivere con lui, accanto a lui, questo romanzo. 

L’accordo che prendemmo fu di scrivere ognuno la propria parte, nei capitoli in cui Matteo e Pietari dialogavano e interagivano, senza che Giorgio dicesse nulla a Giuseppe e Giuseppe dicesse nulla a Giorgio di cosa avesse in testa. 

Questa scrittura a quattro mani proseguí dall’ottobre del 2009 al febbraio 2011, e avvenne a distanza, perché abitavamo e abitiamo ancora molto lontani, inviandoci ogni volta il file con l’aggiunta della frase o delle frasi con cui procedeva lo scambio di parole tra di noi. In questo modo il dialogo fra Matteo e Pietari nel romanzo è diventato realistico, un reale dialogo, perché nessuno dei due interlocutori conosceva le intenzioni dell’altro. 

Per quanto mi riguarda poi le intenzioni del diavolo, cioè di Pietari, non mi erano chiare come autore: in realtà le ho costruite man mano che dialogavo con Matteo. Quindi si può dire che il diavolo del romanzo non ha le idee chiare e metafisicamente formate come dovrebbero essere, immagino, nella mente del diavolo, ma è il diavolo che si va creando le proprie opinioni, le proprie certezze, man mano che dialoga con questo umano; il che tutto sommato è anche il senso di quello che alla fine Pietari, cioè il diavolo, vuol dire, cioè che l’umano è superiore al divino stesso, e che il divino ha dovuto cedere il passo all’umanità, cosa che peraltro Matteo non sembra voler gradire molto.

Giorgio ha raccontato di aver pensato a te per avere lumi sul personaggio del diavolo in virtù del fatto che in passato hai collaborato per un periodo con gli esorcisti vaticani. È una storia vera?

GV: Sì, è vero. Negli anni ’90, con un collega e amico psichiatra, mi trovai per più di un anno ad assistere e collaborare con l’esorcista della Diocesi di Roma, che allora era Gabriele Amorth, ora scomparso. 

Gabriele Amorth è stato uno dei più famosi esorcisti del Novecento, che oltre ad avere una clientela, diciamo così, vastissima, con centinaia di persone ogni giorno che andavano a trovarlo per essere curate, aveva anche una certa apertura verso la scienza moderna, cioè la psicologia contemporanea. Questo esorcista sapeva che molte delle persone che venivano da lui in realtà non soffrivano, secondo i suoi criteri, di possessione demoniaca, ma di normali, chiamiamoli così, disturbi psichici; quindi, con metodi che adesso è inutile stare a spiegare, divideva i veri posseduti dai malati mentali. Quelli che lui riteneva malati mentali li indirizzava a noi, che poi li trattavamo secondo mezzi della scienza (medicina o psicologia) moderna. 

Sia chiaro che anche i casi che lui riteneva di possessione demoniaca per noi erano casi di isteria, anzi dirò tra parentesi che allora potemmo vedere sintomi isterici dei quali ormai si legge soltanto nelle storie della psichiatria. Fu anche molto interessante per questo. 

Comunque sì, la storia è vera: pubblicai in seguito anche degli articoli scientifici sul tema. In breve, si può dire che fu una collaborazione fuori campo, per cosí dire, perché io e l’amico psichiatra non eravamo esorcisti, e tutto sommato eravamo anche piuttosto atei, però fu un’esperienza molto interessante e devo dire anche reciprocamente rispettosa, tra noi rappresentanti del mondo scientifico moderno e Amorth, rappresentante della tradizione cattolica.

A chi ti sei ispirato per la figura di Pietari Jakola? 

GV: Mah… a dire il vero non mi pare di essermi ispirato a nessuna figura. Come ho detto, i pensieri di Pietari, le idee di Pietari sul male, sull’umanità, sulla divinità, si sono venuti creando a mano a mano che Pietari dialogava con Matteo. 

Certo, c’erano le letture, le riflessioni, l’esperienza con l’esorcista di Roma, c’era dietro la mia cultura filosofica e psicologica, ma non posso dire che mi sia ispirato a una figura particolare. Durante il capitolo del banchetto degli Déi, Pietari sembra assumere sempre piú le sembianze di un redivivo Dioniso, ma il mistero rimane.

Anche l’esempio che ci è venuto in mente, parlando in seguito con Giorgio, cioè il Woland del Maestro e Margherita, che pure ho letto tre volte, non credo che mi abbia ispirato, se non per questa vaga aura di mistero e di potenza assoluta che, trattandosi di una figura divina, promana sia nel romanzo molto più impegnativo e meraviglioso di Bulgakov, sia nel nostro.

La scrittura del racconto è dunque avvenuta con uno scambio di file via mail, senza che Giorgio ti desse le coordinate di trama che aveva in mente e senza che tu sapessi nulla dei luoghi in cui il racconto è ambientato, a parte le zone del Lazio del dialogo finale.
Com’è stata per te questa esperienza di scrittura? Cosa ti ha dato, in quanto scrittore di saggi, questa esperienza?

GV: È stata davvero un’esperienza emozionante e appassionante. È stata un’esplorazione del campo del male, del male nel mondo, della sofferenza umana, che è un problema che, in quanto analisti, sia Giorgio che io percepiamo e cerchiamo di lenire quotidianamente, e che fa parte della nostra vita, non solo professionale, naturalmente. 

Questa esperienza di esplorazione a metà fra la riflessione intellettuale, perché anche questo c’è nel romanzo, e la creatività, per quanto modesta e letteraria, è stata veramente un’esperienza molto bella, una cosa che non credo si ripeterà più, ma che resterà per sempre nella mia vita come un momento fondamentale.

Ho sempre ringraziato Giorgio, e continuo a farlo, per avermi fornito questa occasione preziosa e unica. Come scrittore di saggi mi sono trovato benissimo in questo gioco creativo con lui. A posteriori mi é sembrata un’esperienza di immaginazione attiva a due.

La cosa più avvincente è stata proprio l’incognita che per me era il discorso di Matteo e, contemporaneamente, il fatto che Pietari stesso fosse un’incognita per Matteo; questo senso di scoperta, di mistero, di vera esplorazione dell’atteggiamento, del pensiero, del sentimento altrui, per me è stato la parte più bella, l’aspetto più appassionante di questo lavoro comune.

Sei mai venuto a Helsinki a visitare i luoghi del racconto? 

GV: Dopo anni di progetti su un mio viaggio a Helsinki, finalmente nell’agosto del 2023, poco tempo fa quindi, sono riuscito a trovare il tempo per passare qualche giorno nella capitale finlandese. 

Giorgio è stato meraviglioso (come sempre; è una persona deliziosa, chi lo conosce lo sa), mi ha condotto in molti dei luoghi immortalati nel romanzo, e in altri di interesse turistico: dal quartiere in cui si trova Rauhankatu, dove Matteo nel romanzo ha il suo studio di analista, alla piazza della cattedrale, molto pietroburghese; dal mitico Café Engel al ristorante diTuomarinkylä, luogo del secondo incontro tra Matteo e Pietari; dalla suggestiva stradina nel quartiere di Kumpula, dove nel racconto si svolge la festa a casa di Tuulikki, alla foce del fiume Vantaa e alle vestigia di una chiesa scomparsa, a immaginarci la prima Helsinki, edificata nel 1550. Giorgio mi ha portato anche alla chiesa medievale di San Lorenzo a Vantaa, e a passeggiare nella città vecchia di Porvoo. 

Molti di questi posti mi hanno emozionato, e in particolare, devo dire, due: la scalinata della Tuomiokirkko in Piazza del Senato, e il Café Engel, che è esattamente come me l’immaginavo!

Il libro Il Diavolo a Helsinki si può acquistare online direttamente dall’editore.