Ruolo di arti e letteratura nella creazione e definizione dell’identità della Finlandia
Si celebrano i 100 anni di indipendenza della Finlandia. E lo facciamo anche noi domandandoci: che vuol dire, oggi, parlare di cultura finlandese? Per i finlandesi significa principalmente un insieme di valori spirituali e materiali che vengono riassunti sotto l’etichetta di “cultura nazionale” (in finlandese kansalliskulttuuri) – un concetto che ha svolto un ruolo importante nel processo di emancipazione nazionale della Finlandia nel XIX secolo. (In alto H. Simberg, affreschi della Cattedrale di Tampere – 1905)
Il termine finlandese kansa, sulla falsariga dello svedese folk o del tedesco Volk, indica sia il popolo sia la Nazione, cogliendo alla perfezione la natura di ciò che fin dal secolo scorso è stato tradizionalmente accettato e designato come “cultura nazionale finlandese”.
La “popolarità” di questa cultura era data, in modo quasi automatico, dall’enorme patrimonio di folklore e letteratura popolare, preservatisi fino al XX secolo, in maniera pressoché intatta, soprattutto nelle zone remote del Nord-Est della Finlandia, in contrasto con la tradizione della “cultura alta”, molto meno ricca e di ben più breve durata; l’aspetto “nazionale” assume quindi un profondo significato soprattutto in relazione alla formazione dell’identità nazionale come identità della popolazione di lingua finlandese e all’eterno processo per conservarla, svilupparla e rivalutarla.
Il contrasto tra la breve tradizione della cultura “alta” e la lunga e ricca tradizione della cultura “popolare”, ben noto anche da altri paesi, in Finlandia è talmente evidente che alcuni ricercatori, soprattutto nel contesto letterario, parlano di tradizione “grande” e tradizione “piccola”: quella “grande” come manifestazione dell’eredità letteraria dell’Europa occidentale, originata dalla cultura del mondo antico, e quella “piccola”, vale a dire la cultura radicata nell’arte e nella letteratura popolari, che ne indicano anche le tematiche.
In questo contesto, il termine “cultura finlandese” (suomalainen kulttuuri) può assumere un significato diverso da “cultura della Finlandia” (Suomen kulttuuri): l’aggettivo “finlandese” (suomalainen) è stato spesso (anche se non esclusivamente) utilizzato per quei fenomeni legati ai Finlandesi di lingua finlandese e per gli artefatti da loro creati, che potevano essere utilizzati per la suddetta costruzione di un’identità nazionale basata sulla lingua. La “cultura della Finlandia” dovrebbe quindi includere una sintesi della produzione materiale e intellettuale con un’origine accertata sul territorio dell’odierna Finlandia, indipendentemente dalla appartenenza etnica o linguistica dei loro autori. Anche se, come chiaramente illustrato dalla Storia della Finlandia di Jutikkala e Pirinen, il contenuto del termine Finlandia si è trasformato nel corso dei secoli, sotto il titolo complessivo di “cultura della Finlandia” possiamo senza esitazione includere le opere non solo dei Finlandesi di lingua finlandese, ma anche per lo meno dei cosiddetti Finnosvedesi (Finlandesi di lingua svedese) e Sámi, le due minoranze più importanti ad avere la loro residenza storica sul territorio della Repubblica di Finlandia.
Nel secolo scorso, la creazione dell’identità nazionale in Finlandia si basò sul concetto dell’affinità ugro-finnica, ispirata dalle teorie di parentela linguistica del finlandese non solo con quelle lingue che oggigiorno chiamiamo baltofinniche, e i cui parlanti vivono nelle vicinanze più o meno immediate dei Finlandesi (Estoni, Careliani, ecc) ma anche di legami più distanti con lingue come ungherese, udmurto e ostiaco. L’accentuazione delle affinità con questi gruppi linguistici avrebbe dovuto aiutare a definire l’identità finlandese diversificandola il più possibile da quella svedese e russa e, al tempo stesso, sottolinearne l’aspirazione ad un carattere peculiare. L’omogeinità ugrofinnica, a favore della quale si argomentava anche grazie all’origine comune delle nazioni ugrofinniche (o eventualmente addirittura uraliche) negli ultimi decenni è stata oggetto di accesi dibattiti, durante i quali si è iniziato a mettere in dubbio ogni singola componente, in alcuni casi addirittura quella linguistica. Anche se di recente sono circolate diverse nuove teorie circa l’origine dei finlandesi, in netto contrasto con la teoria tradizionale, come presentata, ad esempio da Jutikkala e Pirinen, alla luce delle recenti ricerche di linguistica e genetica la preistoria finlandese “nel gomito del fiume Volga”, o anche più ad Oriente, sembrerebbe la teoria prevalente.
L’oscillazione tra l’identificazione con l’Oriente e l’Occidente è una delle caratteristiche fondamentali della formazione della finnicità nel corso degli ultimi due secoli, ed è anche fonte di molte controversie, fortemente condizionate dal rapporto con gli immediati vicini ad Est e Ovest dei Finlandesi, vale a dire i Russi e gli Svedesi. Come molte altre nazioni dell’Europa centrale e orientale, anche i Finlandesi si consideravano come una sorta di zona di confine o cuscinetto tra Est e Ovest; l’interpretazione di questo ruolo variava poi in relazione al punto di vista politico. Per quel che riguarda il territorio finlandese, il confine tra Oriente e Occidente è oggigiorno evidente in termini di religione, lingua e cultura nel senso più ampio: come controparte della Carelia ortodossa e delle regioni limitrofe, dove si parlano i cosiddetti dialetti orientali, troviamo la regione dell’Ostrobotnia, da secoli quasi puramente luterana, e la cosiddetta Finlandia vera (Varsinais-Suomi), culla del dialetto occidentale.
I più antichi monumenti artistici in Finlandia risalgono all’età della pietra e sono associati ai rituali magici; si tratta di disegni iconici sulle pareti rocciose e di sculture in pietra, legno e argilla, di cui le più preziose sono considerate le teste di orsi e alci scoperte nel Nord della Finlandia e in Lapponia. Questi ritrovamenti avvalorano la teoria dello sciamanesimo, praticato dagli antenati degli odierni finlandesi e le cui tracce, nel caso dei Sámi, sono direttamente comprovate. La tradizione dello sciamanesimo, basato sull’azione dello sciamano, il leader spirituale della comunità, la cui missione era di guarire, prevedere il futuro e mediare la comunicazione con il mondo dei morti, accomuna i Finlandesi e i Sámi alle nazioni artiche e alle culture siberiane. Lo sciamanesimo è strettamente associato all’animismo, la credenza negli spiriti che risiedono negli animali e nelle formazioni naturali.
A miti e religioni sciamanici più antichi rimandano gli strati meno recenti della letteratura popolare finlandese, in particolare la cosiddetta poesia kalevaliana – questo attributo un po’ fuorviante si è consolidato come collegamento al così chiamato epos nazionale finlandese, il Kalevala, per la cui nascita nel XIX secolo ci si servì del materiale della letteratura popolare in questione. Questo tipo di poesia popolare, attestato nei territori abitati dagli antenati delle nazioni baltofinniche, è caratterizzato dal tetrametro trocaico e viene recitato con una melodia monotona, per cui si può parlare anche di “poesia cantata”. È stato ipotizzato che la recitazione cantilenante della poesia “kalevaliana” venisse accompagnata dalla musica del kantele, uno strumento a corde paragonato alla cetra, già documentato negli antichi Balti e in qualche misura fatto artificiosamente rivivere per effetto dell’uso del folclore per gli obiettivi nazionalisti del XIX secolo. L’entusiasmo dei patrioti finlandesi per la raccolta del folklore nel periodo in questione dette origine sia a uno degli archivi folkloristici più ricchi al mondo (quello della Società per la letteratura finlandese (SKS) di Helsinki) sia alla famosa scuola folkloristica finnica.
Come strato più antico della “poesia kalevaliana” viene tradizionalmente considerata la poesia rituale, tra le cui componenti più uniche troviamo i testi cantati durante i rituali della caccia all’orso, gli incantesimi, i pianti e i lamenti. In molte poesie vengono descritti i viaggi sciamanici nel regno dei morti; apparentemente, il motivo del viaggio si sviluppò in seguito, in ambito tematico, nelle avventure per i mari, cosa che, secondo molti studiosi, indicherebbe un riferimento alle conquiste vichinghe, alle quali avrebbero potuto partecipare i Finlandesi della costa occidentale.
Le tracce della cultura pagana, specialmente nelle aree remote della Finlandia (per non parlare della Lapponia) si conservarono fino ai tempi moderni; tuttavia, nelle aree più densamente popolate del Sud, Sud-ovest e Sud-est della Finlandia, a partire dal IX e X secolo furono gradualmente eliminate dalla penetrazione del cristianesimo. I primi monumenti scritti sul territorio della Finlandia sono datati intorno al XIII secolo, e consistono soprattutto di testi religiosi e leggende. Nell’ambito della campagna dei missionari cristiani contro le pratiche pagane, nascono nel folklore varie formazioni ibride, in cui la vecchia fede si mescola alla nuova: gli dei pagani e gli eroi dell’epica popolare appaiono nei ruoli di personaggi biblici; altre volte, invece, vengono trapiantati nel contesto nordico: Marjatta-Maria attraversa sugli sci il paesaggio innevato in cerca di una sauna dove poter partorire.
La LETTERATURA POPOLARE ORALE si sviluppa anche dopo l’arrivo “ufficiale” dell’ideologia cristiana nella metà del XII secolo, parallelamente alla letteratura scritta e alla cultura alta che andavano emergendo molto lentamente. Pochi sono i monumenti letterari medievali scritti sul territorio finlandese di cui abbiamo prova e quasi nessuno ha molto in comune con quella che oggi definiamo letteratura. Per lo più si tratta di testi religiosi in latino (il primo libro stampato per la Finlandia è il Missale aboense domenicano, pubblicato in Germania nel 1488 ad uso della diocesi di Turku), ad eccezione dei primi testi scritti in svedese documentati sul territorio finlandese ad opera del monaco Jöns Budde (circa 1437 – cca 1491).
A causa dell’isolamento geografico, della mancanza di una corte reale (con la sola eccezione della corte rinascimentale di breve durata del duca Giovanni a Turku nel XVI secolo) e successivamente anche dell’effetto dei rigorosi principi protestanti, in Finlandia non troviamo manifestazioni dirette del gotico, del rinascimento o del barocco in questo o quel campo artistico; soltanto dal XVIII secolo la Finlandia inizia ad assorbire lo sviluppo europeo in maniera maggiore e con una più marcata sincronicità. Del cosiddetto periodo cattolico (compreso tra l’inizio ufficiale del Cristianesimo in Finlandia fino all’arrivo della Riforma) si sono conservate soltanto 75 chiese in pietra, che oggi rappresentano i più importanti monumenti medievali della Finlandia. Il più antico, probabilmente risalente al XIII secolo, si trova sulle isole Åland, mentre la maggior parte degli altri, tra cui la basilica di Turku del tardo XIII secolo, sono ubicati nella Finlandia sud-occidentale, e furono progettati secondo lo stile gotico nordico e baltico; sulla terraferma, la costruzione più antica è quella della chiesa della città di Nousiainen, mentre la chiesa più grande la si trova a Mynämäki. Altrettanto importante è la chiesa di Parainen e quella tardo-gotica in mattoni dei primi anni del XV secolo sita ad Hattula, insieme con quella di Lohja, famosa per le sue decorazioni. I semplici affreschi delle chiese gradualmente evolvono in forme più complesse, prima che l’avvento della Riforma ponga fine a questa tradizione. Oltre alle chiese, in Finlandia sono sopravvissuti sei castelli fortificati medievali, i più importanti dei quali sono quello di Turku, di Häme (Hämeenlinna) e di Olavi (Olavinlinna) a Savonlinna. Purtroppo quelli minori (Raasepori, Kuusisto, Oulu) sono andati distrutti. I materiali da costruzione più comuni furono il granito e i mattoni, e ciò spiega anche l’assenza di ornamenti; tra le poche eccezioni, possiamo menzionare gli ornamenti in mattoni sui frontoni delle chiese.
Nel MEDIOEVO in Finlandia furono gettate le basi della tradizione urbana, la quale, tuttavia, rimase molto debole fino al XX secolo (nei primi anni del quale in città viveva soltanto il 15 per cento della popolazione), e solo allora Helsinki arrivò a registrare 100.000 abitanti. Durante il Medioevo, sul territorio finlandese sorsero appena sei città; la più importanti fu Turku, sede della diocesi e centro della vita spirituale e intellettuale della provincia finlandese, mentre ad Est il centro culturale fu la città di Vyborg.
L’esiguo numero di edifici in pietra sopravvissuti è giustificato anche dal fatto che la maggior parte del materiale usato per la costruzione era il legno; a loro volta, poche sono le costruzioni in legno preservatesi, a causa degli incendi. La costante popolarità del legno come materiale da costruzione è testimoniata dalle opere lignee dei moderni architetti finlandesi ed anche dalle case in legno, che molti Finlandesi tuttora preferiscono a qualsiasi altro tipo di abitazione. La tecnica speciale per la costruzione di edifici in legno oggigiorno è possibile ammirarla sia nelle chiese e nei campanili del XVII-XIX secolo (ad esempio nelle chiese con pianta a croce di Ruovesi e Petäjävesi), sia nelle abitazioni urbane e rurali conservatisi dai tempi antichi come prova della tradizione russo-bizantina, documentata sul territorio finlandese a partire dal IX secolo. Gli esempi moderni di queste pratiche sono le popolari casette finlandesi in riva ai laghi con l’immancabile sauna, di cui in Finlandia ne troviamo più di un milione e mezzo.
Sebbene la sauna non sia un’invenzione finlandese (è documentata anche nelle altre nazioni baltofinniche), è in Finlandia che ha conservato più precisamente il suo ruolo speciale e allo stesso tempo si è adattata ai cambiamenti culturali, diventando così uno dei simboli chiave dell’identità finlandese – preminenza facilitata anche dall’attenzione dedicatale dai folkloristi nel secolo scorso, così come dell’importanza che le viene riservata persino nel Kalevala. Anche se nel XX è andata diffondendosi la sauna riscaldata ad elettricità, le saune tradizionali, come quella a fumo, non sono del tutto scomparse, e per molti versi si è conservato anche quel clima di sacralità e di mistero che la circonda.
Una delle più importanti pietre miliari nella storia della cultura finlandese (e, in generale, nella storia della Finlandia) è l’introduzione della Riforma luterana da parte di re Gustavo Vasa nella prima metà del XVI secolo. Come in altri paesi riformati, questo evento significò anche in Finlandia l’interruzione del processo di riavvicinamento con i centri cattolici della cultura europea e, da un lato, il declino della letteratura latina, mentre dall’altro lo sviluppo della letteratura nelle lingue nazionali e una tradizionalmente elevata percentuale di alfabetizzazione.
“Padre del finlandese scritto” divenne Mikael Agricola (c. 1510-1557), primo vescovo luterano di Turku, autore della traduzione in finlandese del Nuovo Testamento (1548). L’Abbeccedario di Agricola (1537-1543), risalente agli anni ‘30 e ‘40 del XVI secolo, è il primo libro in finlandese. Nonostante l’opera di Agricola e dei suoi seguaci, dalla cui cura originò nel 1642 la traduzione completa della Bibbia, la letteratura in Finlandia nasce in lingua svedese, la cui posizione di lingua principale dell’istruzione viene rafforzata in particolare grazie all’istituzione dell’Università di Turku nel 1642; grazie a docenti e studenti universitari, nella seconda metà del XVII secolo nascono i primi importanti testi non sacri (si tratta quasi esclusivamente di poesia, ma sono documentati anche tentativi di drammi teatrali) sul territorio della Finlandia. In connessione con la Riforma, diminuì l’importanza degli edifici di culto e con il consolidamento della posizione della nobiltà, dal XVI al XVIII secolo sorgono palazzi signorili, architettonicamente (ma lontanamente) ispirati al Rinascimento e al Barocco (il più famoso è Louhisaari, nella Finlandia occidentale). La decorazione delle chiese, costituita da stemmi nobiliari, insigne, statue e tombe di condottieri meritori, tipica per il XVII e il XVIII secolo, esprime anche lo spirito dei tempi. Nel periodo in cui la Svezia occupava la posizione di superpotenza, notevoli risorse furono impiegate nella costruzione del settore della difesa, come dimostra la fortezza Sveaborg (Suomenlinna), costruita in stile neo-classico gustaviano su sei isole al largo di Helsinki nel 1748, a suo tempo il maggior progetto costruttivo nell’intero Nord.
Nel XVII e XVIII secolo, la produzione letteraria finlandese è sporadica e limitata principalmente alla poesia religiosa, e solo lentamente iniziano a nascere le prime poesie secolari. In questo periodo assistiamo anche ad un primo approssimativo e timido tentativo di avvicinare la poesia scritta in finlandese con la letteratura popolare, per ora soltanto da un punto di vista formale, quando gli autori di lingua finlandese cercarono di comporre i loro testi in metro kalevaliano. Nell’ambito della tradizione popolare orale, inizia il declino delle forme epiche, tradizionalmente più apprezzate: dopo un transitorio periodo di assimilazione delle ballate occidentali e di creazione di nuove nello spirito finlandese, prendono piede delle poesie che sono più che altro una sorta di cronaca degli eventi politici attuali. Con questa funzione di informazione, le creazioni in questione anticipano il carattere delle successive ballate che venivano diffuse oralmente o su volantini, ma che come genere di letteratura semipopolare non hanno mai soddisfatto i parametri di “solo carattere popolare” posti dai raccoglitori del folclore, patriotticamente motivati. La lirica popolare si sviluppa e vive fino agli inizi del XX secolo principalmente in Carelia e in Ingria.
Nel segno dello stile neoclassico, alla fine del XVIII secolo la cultura più alta sul territorio finlandese riesce a collocarsi finalmente anche nel contesto europeo. L’ammirazione neoclassica per l’antichità si armonizzò con la cosiddetta ideologia del nordismo, che a poco a poco iniziò ad imporsi nei paesi nordici e che, a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, cominciò a penetrare anche in Finlandia, dove servirà come uno dei pilastri dell’identità finlandese. Il concetto del Nord come della “nuova Grecia”, dove vivono persone pure, candide, la cui musa ispiratrice finora silente parla per mostrare al mondo che la cultura dei popoli della periferia d’Europa non è meno preziosa dei noti centri europei di cultura, andò fondendosi con le tendenze preromantiche e si cristallizzò, nel caso dei revivalisti finlandesi, nella visione romantica di se stessi come del popolo eletto.
Tuttavia, in Finlandia le tendenze pre-romantiche non si manifestarono in maniera particolarmente profonda e a lungo non furono in grado di competere con gli effetti molto più influenti dell’Illuminismo, le cui idee furono introdotte in Finlandia da Henrik Gabriel Porthan (1739-1804), la maggiore personalità del suo tempo, per quel che riguarda l’Università di Turku. Porthan fu l’iniziatore del primo giornale pubblicato in Finlandia e anche co-fondatore della prima comunità scientifica e artistica, l’Aurora (1770), la quale, però, non fece sentire a lungo i suoi effetti nella provinciale Turku, anche se consentì la nascita dell’orchestra, grazie alla quale, nel 1773, si tenne il primo concerto pubblico. Motivato dal patriottismo territoriale e dall’interesse scientifico di tipo illuminista, Porthan fu il primo ad interessarsi sistematicamente alla letteratura orale popolare finlandese e al folklore. Per Porthan, a quel tempo, rimase del tutto estranea la concezione romantica di nazione, che pervase la Finlandia a partire dal XIX secolo, proveniente soprattutto dalla Germania e dalla Svezia. Nei primi tre decenni del XIX secolo, che nella storia culturale della Finlandia vengono chiamati gli anni del “Romanticismo di Turku”, gli avvenimenti culturali sono ancora concentrati soprattutto intorno all’Università di Turku; quando poi l’Università viene trasferita ad Helsinki, nella nuova capitale si sviluppa una fase successiva, il “romanticismo di Helsinki”, i cui rappresentanti principali furono le personalità della cosiddetta Società del sabato, un circolo di discussione fondato ad Helsinki nel 1830.
Come sottolineato da molti ricercatori, in relazione alla letteratura finlandese della prima metà del XIX secolo, il termine ROMANTICISMO sembra forse eccessivo: nelle opere dei romantici di Turku, e successivamente di quelli di Helsinki, romantico è soprattutto il punto di vista sulla nazione, l’interesse per la cultura e la letteratura popolare, nella quale si cerca la “vera anima della nazione”, quindi il concetto di natura e la tendenza al panteismo, che permisero di trasformare da carenze in vantaggi alcuni aspetti della vita sociale finlandese, come ad esempio la quasi inesistente tradizione urbana e il carattere agrario della vita: l’uomo nordico, più precisamente finlandese, connesso alla natura molto più saldamente delle persone dell’Europa “culturale”, era necessariamente di carattere più forte e più vero, e di conseguenza più vicino a Dio e all’eternità .
Il fatto che il Romanticismo in Finlandia non riuscì mai ad eliminare del tutto gli ideali illuministici e neoclassici si spiega con la separazione della Finlandia dalla Svezia, che invece lo viveva intensamente, e alla quale Turku era storicamente legata molto più che Helsinki. La necessità di fornire maggior prestigio alla nuova capitale portò alla chiamata dell’architetto tedesco C. L. Engel (1776-1840), il quale progettò il nuovo centro monumentale della città in spirito neoclassico-imperiale, che ricorda decisamente l’architettura di San Pietroburgo. Engel è anche l’autore di un nuovo piano urbanistico per la città di Turku, che dovette essere completamente ricostruita a causa di un incendio fatale, e insieme ai suoi colleghi progettò molti edifici pubblici in varie parti della Finlandia.
L’assenza di manifestazioni estreme del Romanticismo nella vita culturale finlandese significò anche la mancanza della sfida e della ribellione romantiche, e risonò con un atteggiamento generalmente fedele al potere zarista da parte degli artisti e degli intellettuali finlandesi. Questo aspetto si riflette anche nelle opere di quello che viene chiamato il poeta nazionale finnico, lo svedofono Johan Ludvig Runeberg (1804-1877), il quale nelle sue poesie, ispirate ai modelli classici, neoclassici e romantici, creò il prototipo dell’ideale natura del finlandese, caratterizzata dallo spirito del già citato “nordismo”, dal coraggio, dalla tenacia (il mito della tenacia innata, in finlandese sisu, sopravvive oggigiorno nel culto degli sportivi) e dalla forza morale. Runeberg avezzò anche i finlandesi all’idea simbolica del “paesaggio poetico” di migliaia di laghi che riflettono il cielo stellato e le foreste sconfinate. Questa immagine è resa in modo particolarmente suggestivo nel testo introduttivo del primo volume dei famosi “Racconti dell’alfiere Stål (Fänrik Stål sägner, 1848), e nel poema “La nostra terra” (Vårt land) che, messo in musica da Fredrik Pacius, diventò l’inno finlandese. Pacius (1809-1891), straordinario violinista e compositore tedesco, insegnò musica presso l’Università di Helsinki e a suo tempo fu il cuore e l’anima della vita musicale in Finlandia; la sua opera “La Caccia di Re Carlo” (Kung Karls jakt, libretto di Zacharias Topelius), presentata nel 1852, fu il primo lavoro di questo genere composto in Finlandia.
La rappresentazione visiva del paesaggio finlandese come un idilliaco paradiso nordico venne fornita ai patrioti dall’opera dei paesaggisti romantici, tra i più preminenti dei quali possiamo citare soprattutto i fratelli von Wright (Magnus / 1805-1869, Wilhelm / 1810-1887 / e Ferdinand / 1822-1906 /). L’arte figurativa doveva servire l’idea nazionale alla stessa maniera della letteratura, come testimoniano i dipinti con temi storici, in particolare le opere di Robert Wilhelm Ekman (1808-1873), famoso anche per le scene idealistiche ed etnografiche della vita delle popolazioni rurali. Nel XVIII e XIX secolo, i pittori finlandesi studiarono soprattutto a Stoccolma; Ekman riformò lo stile di insegnamento della scuola di arte della Società artistica di Turku (fondata nel 1846). Tuttavia le opere meno convenzionali furono quelle create da artisti che ebbero la possibilità di studiare all’estero, come Fanny Churberg (1845-1892), i cui paesaggi tardo-romantici, con la loro espressività e l’audace uso dei colori, preannunciavano le correnti d’avanguardia del XX secolo.
Una delle questioni chiave per la crescita del movimento nazionale fu quella dell’esistenza, del contenuto e del significato della storia finlandese. “La nazione finlandese ha una sua storia?” si chiedeva nel 1843 Zacharias Topelius (1818-1898), per poi rispondere che la storia della nazione finlandese inizia, in effetti, solo nel 1809. Presto, però, ritrattò questo concetto e nei suoi romanzi storici, che si ispiravano alle opere di Walter Scott, partecipò non poco alla costruzione del concetto di storia finlandese come della storia dell’entità geografica che oggi chiamiamo Finlandia e dell’attività dei suoi abitanti nel contesto di avvenimenti di rilevanza internazionale; al centro del suo interesse ci fu la storia del XVI-XVIII secolo. Topelius, che scriveva in svedese, concepì la nazione finlandese come un unico insieme, che parla due lingue; con il cosiddetto “filosofo nazionale” Johan Wilhelm Snellman, a metà del XIX secolo si passa ad un concetto più strettamente linguistico, più precisamente, al patriottismo “monolingue”, che Snellman espresse con lo slogan “una sola lingua, una sola mente.” Dal punto di vista dello sviluppo della cultura finlandese, molto importante fu la “politica letteraria” di Snellman, da lui formulata in conformità con i suoi punti di partenza hegeliani: la letteratura e le altre arti al servizio dello sviluppo dello spirito nazionale. Il carattere nazionale-didattico della scrittura viene fatto proprio già da molti contemporanei di Snellman, che si dedicano alle “cose finlandesi”, tra cui il già citato Topelius, il quale nei suoi racconti, che rappresentano una pietra miliare nello sviluppo della letteratura finlandese per ragazzi, cercò di educare i figli dei finlandesi come patrioti onesti e timorati di Dio. Gran parte della produzione artistica finlandese continuò in questa direzione fino alla seconda metà del XX secolo.
Nella prima metà del XIX secolo, in letteratura iniziano a far sentire la propria voce anche le donne; l’autrice del primo romanzo scritto in svedese sul territorio finnico è Wilhelmina Carstens (1808-1888); la più importante scrittrice di questo periodo è Fredrika Runeberg (1807-1879), autrice di romanzi storici e brevi “schizzi” originali. I personaggi prominenti della rinascita finlandese, Snellman e Topelius, mostrarono una certa comprensione per le attività letterarie delle donne, ma solo entro i limiti specificati dall’incrollabile concetto di famiglia come fondamento dello Stato – qualsiasi attività della donna al di fuori della famiglia non avrebbe dovuto, in ogni caso, impedire il compimento della sua missione di base, vale a dire quella di madre delle generazioni future.
Anche se la questione della “costruzione” della storia finlandese fu una delle principali, di gran lunga più importante divenne quella della preistoria dei Finlandesi, in quanto essa costituiva l’unica scena sulla quale poter collocare l’infondata “età dell’oro degli eroi”, così importante per la concezione herdero-hegeliana della nazione come organismo vivente, che si sviluppa da un’”età dell’oro”, attraversa un periodo di decadimento per poi risvegliarsi e rinascere. Questo compito, sostenuto dalla revivalista Società per la letteratura finlandese (Suomalaisen Kirjallisuuden Seura, fondata nel 1831), venne assunto dal medico e linguista Elias Lönnrot (1802-1884) con il suo Kalevala (prima versione, 1835, seconda e ultima versione 1849). Il Kalevala, presentato alla nazione e al mondo come il “poema epico nazionale finlandese” è un collage e una sintesi delle singole versioni dei poemi popolari epici nei dialetti finlandesi e in careliano, da lui raccolti principalmente nella Carelia settentrionale, e di cui modificò la lingua e il contenuto per poterli completare e compilare, secondo necessità, nella forma epica-omerica. Il Kalevala è la prima grande sintesi delle tradizioni “piccola” e “grande” nella cultura finlandese e la sua conoscenza è necessaria per comprendere un gran numero di opere d’arte create in Finlandia dopo la metà del XIX secolo. La natura delle celebrazioni dell’anniversario della pubblicazione del “Vecchio” e “Nuovo” Kalevala (l’ultima tenutasi nel 1999) non solo mostra come il Kalevala viva una vita propria, ma anche il modo in cui viene tuttora percepito ed utilizzato.
Con il suo epos, Lönnrot dimostrò la capacità del finlandese di essere lingua letteraria, contribuendo così a porre fine alla lotta dei dialetti, cioè alle controversie sulla forma finale del finlandese scritto. Anche dopo la pubblicazione del Kalevala il dialetto occidentale rimase la base della lingua letteraria, ma più che in precedenza si arricchì di elementi del dialetto orientale. Nella seconda metà del XIX secolo in Finlandia inizia finalmente a svilupparsi la letteratura in lingua finlandese, che a poco a poco spingerà la letteratura svedofona in una posizione di minoranza, pur non contravvenendo del tutto agli assunti snellmaniani. A seguito dei problemi di Snellman con la censura causati dalla pubblicazione del giornale Saima, assistiamo negli anni ‘60 ad un provvisorio periodo di maggior libertà, con il conseguente sviluppo della stampa finnofona: proseguono le pubblicazioni del giornale fennomane Suometar (pubblicato, sotto vari nomi, fino al 1991) e negli anni ‘70 appaiono dei giornali locali in lingua finlandese (ad esempio, l’Aamulehti di Tampere), e dal 1864 l’Hufvudstadsbladet, tuttora il giornale di lingua svedese più diffuso in Finlandia. I Liberali fondano il Päivälehti, che nel 1904 fu ribattezzato Helsingin Sanomat, diventato a partire dalla seconda guerra mondiale il più diffuso giornale nazionale, fondamentalmente senza concorrenza.
L’autore del primo, importante romanzo in finlandese, Aleksis Kivi (1834-1872), si assunse il compito di diventare il primo grande scrittore finlandese nel campo della prosa, della poesia e del teatro. Kivi suscitò a suo tempo indignazione per le sue vivaci polemiche con il concetto runeberghiano idealizzato e patetico dell’eroe finlandese, tuttavia, nel corso del tempo, i suoi eroi e antieroi della campagna finlandese, concepiti per molti versi in spirito più realistico, divennero prototipi altrettanto noti del carattere finlandese come quelli runeberghiani. Il romanzo “Sette Fratelli” (Seitsemän veljestä, 1870) racconta la storia della ribellione dei personaggi principali, i quali per sottrarsi alle esigenze societarie fuggono nei boschi, dove diventano degli individui ragionevoli e autosufficienti; successivamente, tornano volontariamente alla “civiltà” e si adattano alle esigenze della comunità rurale. Kivi acquisì un’aura postuma di genio incompreso, di primo finlandese bohemien e lo statuto non ufficiale di vero scrittore nazional-popolare.
Kivi è anche autore di opere teatrali, e al suo dramma Lea, messo in scena nel 1869, si data l’origine del teatro in finlandese. Nelle sue opere teatrali Kivi tratta una vasta gamma di argomenti, da storie bibliche ed eroi kalevaliani fino a rappresentazioni farsesche della campagna finlandese. Prima dell’avvento di Kivi, il teatro finlandese non aveva avuto una lunga tradizione – dopo degli inizi promettenti nell’ambito dell’Università di Turku seguì un periodo di ortodossia luterana, poco favorevole alle opere teatrali. Esistevano soltanto le compagnie itineranti, che recitavano principalmente in svedese, e nel 1862 ci fu la prima rappresentazione del dramma storico hamletiano Daniel Hjort dello svedofono Josef Julius Wecksell (1838-1907), che sembrò profetizzare un grande futuro per il dramma teatrale in svedese in Finlandia. Negli anni ‘70 del XIX secolo, però, il ruolo più importante fu assunto dal teatro in lingua finlandese e, come in molti altri paesi, diventò una delle principali forze nel processo di risveglio nazionale. Nascono così il Teatro finlandese e la prima compagnia teatrale professionistica di Finlandia, fondata ufficialmente nel 1872. Il direttore Kaarlo Bergbom (1843-1906) condusse il teatro secondo lo spirito dei suoi ideali romantici e patriottici, non gli mancò, comunque, una prospettiva internazionale, per cui si concentrò principalmente sul teatro tedesco e scandinavo; grazie ai suoi sforzi, negli anni ‘80 del XIX secolo vennero messi in scena una serie di pressanti problemi sociali.
Le questioni sociali generali, e non più di carattere esclusivamente nazionale, dominano il teatro e l’arte finlandesi durante gli anni ‘80, quando tardivamente giunge in Finlandia il REALISMO. In questo decennio, possiamo anche parlare dell’avvento trionfale della produzione letteraria in lingua finlandese: la scena è presa dalla generazione di artisti che ebbero l’opportunità di avere un istruzione di base in lingua finlandese. Minna Canth (1844-1897), la principale scrittrice realista di Finlandia, divenne famosa soprattutto come autrice teatrale, ma non meno importante è la sua prosa (ad esempio Hanna, 1886). Il trattamento di temi delicati, quali la questione femminile ed operaia (il dramma “La moglie dell’operaio”, Työmiehen vaimo, 1885) fu talmente audace nelle sue opere che causò, ad esempio, il ritiro immediato dal repertorio del teatro finlandese dell’opera “I bambini della sfortuna” (Kovan onnen lapsia, 1888), che metteva in dubbio il vincolo tra morale, ordine e legge per gli strati più poveri della società. Un altro rappresentante letterario del modo realistico fu Juhani Aho (1861-1921), il cui sviluppo abbracciò anche il “Neoromanticismo” del periodo a cavallo dei due secoli e il “Neorealismo” dei primi decenni del XX secolo. Aho, godendo nell’ultima tappa della sua vita dello statuto di meritorio artista “nazionale”, veniva da un ambiente pietistico; il fenomeno del pietismo e del suo ruolo nel plasmare l’identità finlandese emerge prepotente anche nelle sue opere. Allo stesso tempo, Aho fu uno dei primi autori ad evidenziare il conflitto tra il modo di vita tradizionale, rurale e il progresso tecnologico e di urbanizzazione (ad es. nel romanzo “La ferrovia”, Rautatie, 1884) – conflitto che gradualmente divenne uno dei temi più presenti nella prosa finlandese.
Il Realismo si impone prepotentemente anche nell’arte finlandese. Sulla scena fa la sua comporsa il primo grande ritrattista e maestro della pittura figurativa, Albert Edelfelt (1854-1905), molto apprezzato nei salotti parigini, dove all’inizio degli anni ‘80 si affermò come il più importante pittore nordico del suo tempo; ricevette vari riconoscimenti soprattutto per le scene di vita nella campagna finlandese. In Edelfelt, però, rimasero estranee le forme più radicali del Realismo e del Naturalismo e i più lo ricordano come il creatore delle più famose illustrazioni dei Racconti dell’alfiere Stål, concepite nello spirito dell’enfasi idealista. Su posizioni realiste rimase anche Eero Järnefelt (1863-1937). Il Naturalismo apparì soltanto molto timidamente nell’arte e nella letteratura finlandesi, anche se lo ritroviamo come tendenza nell’opera dei due maggiori talenti artistici del periodo a cavallo dei secoli XIX e XX: la pittrice Helene Schjerfbeck (1862-1946) e il pittore e grafico Axel Gallén (1865-1931), il quale come molti altri patrioti finlandizzò il suo nome e firmò i suoi dipinti come Akseli Gallén-Kallela.
A cavallo del XIX e XX secolo, il finlandese divenne la lingua della maggior parte degli abitanti della nazione, e gli scrittori svedofoni cominciarono a sentire di avere un numero sempre più ristretto di lettori: nasce il fenomeno chiamato letteratura e cultura finnnosvedesi, che si rivolge ad una comunità che comincia a sentirsi in minoranza. Anche le altre arti, in maggiore o minore misura, si dividono secondo l’appartenenza linguistica degli autori. Presagio di questa tendenza è la fondazione nel 1885 della Società per la letteratura svedese, e il ribattesimo nel 1887 del teatro di lingua svedese da “Nuovo” a “Svedese”. Il Teatro Svedese (Svenska teatern) è tuttora la scena principale della Finlandia svedofona. Il primo autore a vivere una crisi di indentità a causa di questi cambiamenti fu il “patriota senza patria” Karl August Tavastjerna (1860-1898), che nel suo lavoro passò dal Realismo al Neoromanticismo.
Neoromanticismo, per meglio dire “Neoromanticismo nazionale” viene chiamata l’arte e la letteratura di fine XIX secolo, che reagì al materialismo realistico con il ritorno alla spiritualità e alla fantasia, e che includeva correnti quali Simbolismo, Decadentismo e Art Nouveau. Oggigiorno suona come un luogo comune la definizione “età dell’oro dell’arte finlandese”, ma comunque rispecchia fedelmente la fioritura contemporanea di diversi tipi di arte in Finlandia alla fine del secolo scorso. Artisti di orientamenti simili si riunirono nel gruppo “Giovane Finlandia” (Nuori Suomi), il cui denominatore comune divenne il tentativo di “aprire una finestra sull’Europa”, e contemporaneamente rinnovare l’enfasi sull’idea nazionale che l’accento realistico sulle questioni sociali aveva temporaneamente posto in secondo piano; ora ritorna in forma ancora più urgente grazie alla mobilitazione di ampi strati della società, causata tra l’altro dalla difficile situazione politica di fine secolo. Molti artisti, nello spirito della tradizione snellmaniana e a causa della mancanza di una vita politica libera, assumono il ruolo dei politici; l’esempio più eloquente è il poeta Eino Leino (1878-1926), attivo anche come giornalista, tra l’altro nell’ambito delle riviste culturali Valvoja e Päivä, che fungevano da contrappeso al foglio conservatore Aika. Nell’opera di Leino si arriva al culmine della fusione delle tradizioni “piccola” e “grande” della cultura e letteratura finlandesi: nel suo capolavoro, la raccolta “I canti di Pentecoste” (Helkavirsiä, 1903), Leino mescola l’ispirazione kalevaliana e la tradizione orale finlandese con gli echi della mitologia antica, e con racconti cristiani e medievali; le sue poesie si rifanno anche al Simbolismo francese e alla sua versione nordica e alla teoria del superuomo nietzschiano. L’ispirazione nietzscheana significò per molti autori un dilemma irrisolvibile – possiamo citare come esempio Johannes Linnankoski (1869-1913), autore della prosa neoromantica “Il canto del fiore rosso” (Laulu tulipunaisesta kukasta, 1905), in cui si concilia il fascino per la rivolta nietzscheana con l’ethos edificatore nazionale e con l’idea dell’umiltà tolstojana.
Sul volgere del secolo, l’ispirazione kalevaliana e della “piccola tradizione” si intreccia con le pratiche tipiche delle tendenze intellettuali e artistiche occidentali anche nella musica di Jean Sibelius (1865-1957), il più importante compositore finlandese di tutti i tempi, conosciuto in tutto il mondo soprattutto grazie alle sette sinfonie, al concerto per violino e alle composizioni orchestrali Kuolema (Valzer triste) e Finlandia. Ai motivi kalevaliani si rifanno ad esempio “Il cigno di Tuonela” (Tuonelan joutsen) e la “Sinfonia di Kullervo” (Kullervon symfonia) che, dopo il debutto di gran successo, non fu più suonata per volere di Sibelius, e che guadagnò grande notorietà soltanto dopo la morte del compositore. Sibelius è uno degli artisti che ebbero la fortuna di raggiungere in vita fama e riconoscimenti; alla fine della sua vita fu piuttosto un monumento vivente della nazione finlandese e della sua lotta per l’indipendenza, anche se nelle sue ultime opere, sia più sperimentali che di carattere classico, prese le distanze dal Romanticismo nazionale. La fama di Sibelius lasciò nell’ombra l’opera dei suoi contemporanei, come ad esempio quella di Oscar Merikanto (1868-1924), personaggio centrale della nascente opera finlandese, e di alcune generazioni di compositori, quali il talento prematuramente scomparso Toivo Kuula (1883-1918) e Leevi Madetoja (1887-1947), oggigiorno ricordato soprattutto per le sue composizioni vocali e per l’opera “La gente dell’Ostrobotnia” (Pohjalaisia, 1922).
Nel corso degli anni ‘90, anche l’opera artistica del già citato Akseli Gallén-Kallela si muove dal Realismo ad una versione originale del Simbolismo e dell’Art Nouveau con elementi decadenti, tratti da lui assorbiti durante i suoi soggiorni a Parigi, che in questo periodo diventa la mecca anche per gli artisti finlandesi. L’entusiasmo per l’idea nazionale e l’interesse per il Kalevala motivarono Gallén a recarsi in Carelia, dove allora sopravvivevano in maniera relativamente intatta le antiche tradizioni popolari e il folklore; fu lì che gli artisti cercarono le radici più pure dell’identità finlandese, incontaminata dalla civiltà occidentale e dall’influenza svedese. Simili pellegrinaggi furono intrapresi, sempre negli anni ‘90, da molti altri artisti, tanto che si iniziò a definire questo interesse romantico-nazionalista per la Carelia, e le opere che ne scaturirono, con il termine “carelianismo”, tendenza paragonabile ad altri movimenti etnografici e artistici dell’Europa di fine XIX secolo, quali il Rinascimento celtico, il Romanticismo vichingo-scandinavo o quello bretone. Come apice del periodo neoromantico di Gallén, che traeva ispirazione dalle silografie orientali, dal sintetismo decorativo e dalla stilizzazione ornamentale dell’Art nouveau, sono considerati i dipinti con tematiche kalevaliane “Il ratto del Sampo” (Sammon ryöstö, 1896) e “La madre di Lemminkäinen” (Lemminkäisen äiti, 1897).
Anche in architettura sorgono opere di stile neoromantico, come la versione distintiva dello stile Liberty finlandese, che sostituì i principi neo-classici, neo-gotici e neo-rinascimentali, predominanti nelle costruzioni della seconda metà del XIX secolo. Punto di svolta dell’architettura neoromantica finlandese fu il Padiglione finlandese all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, dove la presentazione finlandese diventò una questione politica, a causa della situazione particolarmente tesa in Finlandia. Il trio di architetti Herman Gesellius (1873-1950), Armas Lindgren (1874-1929) e Eliel Saarinen (1873-1950) costruì il padiglione finnico in uno stile che ricordava lontanamente le chiese medievali finlandesi. Le pareti del padiglione furono decorate con affreschi su temi kalevaliani di Gallén-Kallela, e i visitatori venivano accolti sulle note della musica di Sibelius. Come le altre arti, anche nel caso dell’architettura neoromantica finlandese si mescolarono tendenze internazionali e risorse locali. Tra queste, vale la pena di ricordare non solo la suddetta ispirazione alle chiese in pietra e ai castelli medievali, ma anche le case di legno careliane con le loro tipiche decorazioni e con i motivi, di sicuro non meno importanti, della flora e della fauna finlandesi.
Gli esempi più evidenti di questo stile ci sono offerti dalle singole residenze degli artisti neoromantici, la più famosa delle quali è senza dubbio la casa dei tre architetti succitati sita a Hvitträsk (1903), non lontano da Helsinki, notevole anche per la sua integrazione organica nella natura circostante, caratteristica principale dell’architettura finlandese del XX secolo. All’interno, l’arredamento testimonia lo straordinario sviluppo del design finlandese, al quale, a fine secolo, contribuì il carelianista di origine svedese conte Louis Sparre (1863-1964), i cui arredamenti si rifanno al movimento inglese “Arts and Crafts”. La reputazione del design finlandese fu segnata già all’inizio degli anni ‘70 del XIX secolo dalla fondazione della Scuola di Arti Applicate (oggi Università di Belle Arti e Design) e dal Museo di Belle Arti e Design, un centro espositivo conosciuto a livello internazionale.
I monumenti chiave dell’architettura neoromantica della città di Helsinki sono il Museo Nazionale (Gesellius-Lindgren-Saarinen, 1902), il nuovo edificio del Teatro Nazionale, ribattezzato nello spirito del tempo da Teatro finlandese a Teatro nazionale di Finlandia (Onni Tarjanne, 1902), la cattedrale di Tampere ad opera di Lars Sonck (1907) e la stazione centrale di Eliel Saarinen (realizzata negli anni 1906-1918); l’Art Nouveau finlandese pose il suo sigillo anche su interi quartieri (Eira e Katajanokka).
Il fatto che Eino Leino fornisse al Neoromanticismo il titolo di “nazionale”, fece sì che quegli artisti e scrittori nelle cui opere l’elemento “nazionale” non era particolarmente in evidenza, venissero tradizionalmente relegati in secondo piano. Questo fu il caso del pittore e grafico Hugo Simberg (1873-1917), autore di opere naif ispirate a racconti popolari, in seguito indicato come uno dei rappresentanti più originali del Simbolismo in Finlandia. Tra le sue opere più importanti vi fu la più che discussa decorazione della cattedrale di Tampere (1906). Allo stesso modo, fino a non molto tempo fa sono state praticamente ignorate le autrici influenzate da Simbolismo e Decadentismo, il cui originale e suo tempo controverso collegamento tra l’estetica decadente e le questioni femminili trovarono spazio solo molto più tardi, come dimostra l’opera di L. Onerva (1882-1972), autrice del più significativo romanzo neoromantico-decadente finlandese Mirdja (1908). Dopo che nel 1901 le donne in Finlandia acquisirono il diritto allo studio universitario senza deroghe (come era stato fino ad allora con la cosiddetta “liberazione dal genere”) e, prime in Europa, il diritto di voto (1906), le autrici ebbero la possibilià di esaminare le questioni più fondamentali dell’emancipazione femminile e concentrarsi sui problemi delle donne come personalità creative o sulle questioni della sessualità femminile, della quale fino ad allora si erano occupati soprattutto gli uomini.
Nei primi anni del XX secolo, come contrappunto al carelianismo, fra alcuni artisti e scrittori di lingua svedese inizia a svilupparsi il concetto di identità finnosvedese, la cui iconografia utilizza – in contrasto con il paesaggio dell’entroterra “puramente finlandese” – soprattutto lo scenario costiero dell’arcipelago e delle isole rocciose (ad es. Arvid Morne, 1876-1946).
Nel complesso, le prime due decadi del XX secolo sono caratterizzate, per quel che riguarda la letteratura, dal già citato “Neorealismo”, la cui antesignana è la romanziera e drammaturga Maria Jotuni (1880-1943), classico dei racconti finlandesi e, dopo Minna Canth, la seconda più importante rappresentante del dramma finlandese, la quale nelle sue opere in modo fortemente ironico (tratto pressocché assente nell’espressione della cultura finlandese) si dedica soprattutto al tema del matrimonio come prostituzione istituzionalizzata. I problemi sociali di questo periodo vengono affrontati anche da Ilmari Kianto (1874-1970) e Joel Lehtonen (1881-1934), i quali nella loro prosa fanno da spietato specchio sia alle classi più alte e agli intellettuali, isolati dalla realtà e prigionieri degli ideali neoromantici di “popolo” e “nazione”, sia allo stesso “popolo” e “nazione”, che non vivevano affatto in corrispondenza di questi ideali, e nemmeno tentano di farlo (ad esempio la novella di Kianto “Linea rossa”, Punainen viiva, 1909, o il romanzo di Lehtonen Putkinotko, 1919-1920).
Le opere di questi autori sono per molti versi una sorta di presagio della sanguinosa guerra civile della prima metà dell’anno 1918, che inasprì l’entusiasmo per l’acquisizione dell’indipendenza e divise la società finlandese per molti decenni. La letteratura reagì alla guerra civile sia nell’immediato che in seguito, e la parte “nera” come anche quella “rossa” trovarono le loro voci entusiaste. I valori più duraturi sono rappresentati naturalmente da coloro che respingono qualsiasi visione monocolore degli eventi e cercano di penetrare sotto la superficie dell’interpretazione puramente politica. Tali sono, ad esempio, i primi testi di Frans Eemil Sillanpää (1888-1964), come “Santa miseria”, Hurskas kurjuus 1919, o i drammi e i racconti dello svedofono Runar Schildt (1888-1925). In Finlandia, la letteratura in lingua svedese esprime in questo periodo la sua maggiore personalità, la poetessa Edith Södergran (1892-1923), antesignana del verso libero e prima modernista radicale dell’intero Nord Europa (la sua prima raccolta “Poesie”, Dikter, fu pubblicata nel 1916). Le tendenze artistiche dell’avanguardia europea, la filosofia nietzschiana, e più tardi l’antroposofia e la convinzione delle proprie capacità visionarie di Steiner risaltano nei testi della Södergran, pieni di immagini forti, quasi scioccanti, fuse nell’originale e inquietante testimonianza della “donna nuova” del XX secolo. Södergran spianò la strada al fenomeno del cosiddetto “Modernismo finno-svedese”, che negli anni ‘20 cambiò radicalmente il volto della poesia svedofona.
In termini di tendenze artistiche delle avanguardie europee dei primi due decenni del XX secolo, in Finlandia il MODERNISMO si afferma – tranne poche eccezioni – in modo relativamente lento. In pittura lo anticipa con le sue opere la già citata, e a suo tempo sottovalutata, artista finnosvedese Helene Schjerfbeck, oggi considerata tra le più importanti figure in assoluto della pittura finlandese. Il suo lavoro si evolse da Realismo e Naturalismo fino all’espressione modernista tinta di Espressionismo, evidente nei suoi lavori fin dall’inizio del secolo, come illustrato eloquentemente dalla ben nota serie di autoritratti. Le opere di alcuni artisti sono determinate dagli sforzi di conciliare vecchio e nuovo, che si riflette principalmente nella tendenza del cosiddetto Impressionismo realistico, il cui rappresentante più prominente fu il neoimpressionista di origine belga Alfred William Finch (1854-1930), il quale introdusse nell’ambiente finlandese anche il puntinismo, e contribuì allo sviluppo dell’arte applicata finlandese. Finch fu anche tra i soci fondatori del gruppo Septem (1912), tra i cui membri più importanti spiccano gli ex simbolisti Elen Thesleff (1869-1954) e Magnus Enckell (1870-1925), ed anche Juho Rissanen (1873-1950), il quale, tuttavia, è meglio conosciuto per le sue robuste linee figurative e per i temi della vita della campagna finlandese. Colui che sperimentò con maggior vigore con l’Espressionismo negli anni ‘10 del XX secolo fu Tyko Sallinen (1879-1955), il quale si basò in gran parte sull’esperienza dei fauves parigini, sull’opera di Edvard Munch, e in seguito sul Cubismo. Intorno a Sallinen, nella seconda metà degli anni ‘10, ri raccolse il cosiddetto “Gruppo di novembre” (Marraskuun ryhmä) di artisti di orientamento avanguardistico. Il dipinto di Sallinen “Fanatici” (Hihhulit, 1918) provocò un feroce dibattito, e fu un tentativo di sintetizzare le tradizioni della pittura finlandese e i metodi espressionisti, come anche una risposta alle attività di una delle sette più influenti che operavano nel Nord della Finlandia. Analogamente, suscitò scandalo nel contesto ancora molto conservatore della scultura finlandese Ville Valgren (1855-1940) con la sua statua di una sirena nuda, nota come “Havis Amanda” (1912), che adorna ancora oggi la fontana in Piazza del mercato di Helsinki.
Il promettente sviluppo dell’arte e il riavvicinamento con l’avanguardia europea, inclusa quella russa, vennero sostituiti dal clima conservatore degli anni ‘20 e ‘30, quando la giovane Repubblica, appena superato il pericolo di un colpo di stato bolscevico, in maniera più o meno inconscia fu incline ai valori tradizionali. Risorge il Neoclassicismo e si afferma l’era dei monumenti che lo Stato finlandese erige ai suoi eroi, ad illustri personaggi e alla sua indipendenza; il metodo scelto per la rappresentazione della finnicità, e che rimanda all’ideologia del XIX secolo, doveva rafforzare l’identità dei cittadini della Finlandia indipendente. Le commissioni di sculture monumentali posero fine alle conquiste sperimentali di molti scultori, come nel caso di Wain Aaltonen (1894-1966), che passò dagli esperimenti cubistici alle figure idealizzate di granito e marmo, rappresentanti l’atletica e spirituale “razza nordica”; una delle opere meglio conosciute è la statua del famoso fondista finlandese Paavo Nurmi (1925), quattro volte campione olimpico, che adorna l’area antistante lo Stadio Olimpico di Helsinki, costruito su progetto, da molti aspramente criticato, di Yrjö Lindegren (1900-1952) e Toivo Jäntti (1900-1975) negli anni 1934-1940 e successivamente ampliato nel 1952.
Anche l’architettura finlandese, nei primi anni di indipendenza, fu segnata dal ritorno al Neoclassicismo. Per mancanza di risorse, molti grandi progetti furono posticipati; ad esempio si dovette attendere fino al 1931 per la realizzazione del monumentale edificio del Parlamento finlandese in stile neoclassico (Johan Sigfried Sirén, 1889-1961). La fusione coraggiosa degli ideali sociali, architettonici e urbanistici del tempo diede vita ad un vero gioiello, la “città giardino” in legno, nel quartiere di Käpylä della capitale, progetto di Martti Välikangas (1893-1973) ispiratosi alle antiche città in legno finlandesi. Negli anni ‘30 il Funzionalismo inizia a dominare l’architettura finlandese, come particolarmente evidente nelle opere di Erik Bryggman (1891-1955) e Alvar Aalto (1898-1976), le più grandi figure dell’architettura finnica e leader del Funzionalismo nordico ed europeo. La versione finlandese del Funzionalismo, caratterizzata dal razionalismo e libera dal peso del Classicismo, rimarcò una precedenza per quegli aspetti delle tradizioni locali che di anzi erano considerati, nell’ambito dell’arte finlandese, piuttosto un freno e una carenza: si tratta soprattutto del carattere semplice e pratico della cultura materiale finlandese, dato dal clima rigido, a causa delle difficoltà di lavorazione di materiali duri e inflessibili e della ideologia luterana della semplicità, che rigettava qualsiasi decorazione e ornamento come vanità peccaminosa. Con la sua semplicità e funzionalità, il Funzionalismo si adattava alle esigenze e agli ideali della giovane Repubblica. Complessivamente, gli anni ‘30 sono caratterizzati dagli esperimenti di Aalto, influenzati dal Classicismo nordico e dall’architettura italiana; la vasta gamma dei progetti di Aalto comprende chiese, biblioteche, conglomerati urbani, residenze private ed edifici industriali – possiamo almeno menzionare la biblioteca di Vyborg (1935) e Villa Mairea (1938-1939) nel Sud-ovest della Finlandia. La già citata integrazione degli edifici nella natura circostante diventa una delle caratteristiche di base del funzionalismo finlandese e si impone anche nella concezione della periferia di Helsinki, come ad esempio il Villaggio Olimpico e Taka-Töölö. L’arredamento degli interni, con cui Aalto completa alcuni dei suoi progetti (ad es. il sanatorio di Paimio negli anni 1929-1933), nella fattispecie i mobili in legno curvo e il famoso “Vaso Savoy” del 1936, sono già concrete anticipazioni della vittoriosa campagna del design finlandese postbellico.
Negli anni ‘20, la società della Finlandia indipendente era chiaramente divisa non solo politicamente ma anche da un punto di vista linguistico, come testimonia il ripristino della cosiddetta lotta per la lingua per le quote di finlandese e svedese nelle istituzioni pubbliche e nella cultura. Per quanto riguarda il coraggio di far fronte alle nuove tendenze dell’arte, gli artisti e soprattutto i letterati di lingua finlandese rimangono molto indietro rispetto ai loro colleghi svedesi; ne è prova l’importanza del già menzionato “Modernismo finnosvedese” rispetto ai tentativi dell’espressione modernista d’avanguardia degli autori finnofoni, molto meno pungenti. Ad ogni modo, i giovani autori finlandesi, rifacendosi ai loro colleghi svedofoni, si ragguppano in un movimento che fu chiamato “I portatori di fuoco” (Tulenkantajat). Tuttavia, questo gruppo non fu dotato di alcun nuovo programma ma furono piuttosto accomunati dal rifiuto della tradizione letteraria prevalente, anche se le loro opere, almeno nella fase iniziale, mostrano caratteristiche comuni: il fascino per l’esoticismo, il progresso tecnologico, l’ispirazione vitalista e futurista. Il fulcro dell’opera dei Tulenkantajat fu la poesia, come dimostrano i testi della poetessa Katri Vala (1901-1944); del gruppo, comunque, fecero parte anche prosatori e artisti che tentarono di esprimere la propria visione urbanistica e civile (Väinö Kunnas, Einar Wehmas). Tra i membri più giovani vi fu anche Mika Waltari (1908-1979), il primo autore programmaticamente urbano dell’allora poco urbanizzata Finlandia, il quale però, come gli altri “Portatori di fuoco”, nei primi anni ‘30 intraprese un suo cammino personale – dai tentativi di poesia futurista degli anni ‘20, nella decade successiva giunge a composizioni prosastiche di vario respiro, dove si espresse sulla natura politicizzata della critica letteraria, cosa che gli procurò attacchi critici sia dalla destra che dalla sinistra.
L’astoricismo programmatico e in gran parte anche l’apolitismo “urbano” della generazione degli anni ‘20, reppresentata dai giovani Tulenkantajat, contrasta con l’atteggiamento dei loro coetanei, i quali dedicarono la loro opera ai problemi dei livelli più bassi e marginali della società e si avvicinarono piuttosto a forme più tradizionali di espressione. Nei suoi romanzi, Toivo Pekkanen (1902-1957) descrive l’ambiente operaio, mentre Pentti Haanpää (1905-1955) quello dei tagliaboschi delle aree più remote del Paese, anche se nel clima politicamente accentuato del prima metà degli anni ‘30 ne fu proibita la pubblicazione. Hella Wuolijoki (1886-1954), drammaturga di sinistra di origine estone e amica di Bertolt Brecht, con i suoi lavori di critica sociale, famosi soprattutto per i personaggi di donne forti e indipendenti, rappresenta un altro anello della catena di stelle fisse del dramma finlandese. Nella nuova Repubblica, inizialmente si fa strada a fatica il teatro della classe operaia, la cui ricca tradizione in Finlandia risale agli inizi del secolo e che al modo illuminista e revivalista pone l’accento sulla propagazione della cultura a larghi strati della popolazione. Una delle tappe più significative nello sviluppo del teatro operaio da amatoriale a professionale è la fondazione del Teatro operaio di Tampere nel 1901; a poco a poco Tampere divenne per importanza il secondo teatro della Finlandia dopo quello di Helsinki. In questo periodo, continua anche la ricezione delle tendenze internazionali: sia a Tampere sia ad Helsinki si fanno strada l’Espressionismo, il metodo Stanislavskij e il teatro brechtiano.
Nel periodo tra le due guerre, nel contesto della cultura popolare urbana entra in scena la CINEMATOGRAFIA, che ora può essere caratterizzata come un momento di intensa mescolanza di correnti nazionali ed estere. Negli anni ‘20, grazie alla prosperità e principalmente a causa dell’espansione della radio e della cosiddetta “febbre del grammofono” si impone e si instaura la musica popolare. Il primo cinema fu aperto ad Helsinki già nel 1904 e nei primi due decenni del XX secolo vengono prodotte in Finlandia le prime opere con temi tipicamente finlandesi, quale, ad esempio, la produzione illegale di alcol; a questo periodo risalgono anche i primi adattamenti dei classici finlandesi (Minna Canth, Aleksis Kivi). Con l’avvento dei film sonori si evidenziano le due principali linee di sviluppo di questo mezzo: da un lato, il cinema svolge la funzione di divertimento popolare, dall’altro serve la propaganda nazionalista e politica. Come in precedenza l’arte figurativa, anche il cinema modifica la sua rappresentazione visiva dell’immagine del paesaggio finlandese, che il pubblico crea collettivamente. In innumerevoli film finlandesi, il bosco appare come simbolo del modo di vita tradizionale, del rifugio in seno alla natura come anche del suo sfruttamento; fiumi e rapide sono gli sfondi preferiti delle storie sulla vita degli zatterieri, ma allo stesso tempo anche un simbolo del percorso dalla romantica natura incontaminata alle aree popolate.
Negli anni ‘30 la Finlandia ottiene il primo premio Nobel per la letteratura; tradizionalmente si specula sui retroscena politici per l’assegnazione del premio in questione. Il prescelto nel 1939 fu Frans Eemil Sillanpää con il romanzo “Giovane la morte” (Nuorena nukkunut, 1931), con il quale ritorna, tra l’altro anche al tema della guerra civile. La visione del mondo “biologico-panteistica” di Sillanpää, caratterizzata dalla concezione dell’uomo come parte integrante dell’universo e dell’eterno ciclo della vita, contrasta con quella delle autrici degli anni ‘30 e ‘40, nelle cui opere troviamo un’interessante tensione tra l’influenza ritardata della psicoanalisi freudiana (presagita negli anni ‘20 nell’opera di Aino Kallas, 1878-1956, che trasse ispirazione anche dalla storia e dalla mitologia estone – ad esempio, “La sposa del lupo”, Sudenmorsian, 1928) e la consapevolezza del loro corpo e la sensazione di dover trattare delle questioni attuali delle donne, le quali andavano sempre più emancipandosi (Elsa Soini, 1893-1952, Iris Uurto, 1905-1994, Helvi Hämäläinen, 1907-1998).
La seconda guerra mondiale, in Finlandia concepita come successione delle guerre di “inverno” e di “continuazione”, in termini di arte significò una drastica interruzione della promettente atmosfera di fine anni ‘30. Durante la guerra d’inverno, la maggioranza degli scrittori e artisti mobilitò l’intero arsenale di puntelli patriottici (un esempio può essere anche in questo caso Mika Waltari), mentre la rappresentazione della guerra di continuazione significò per molti imbarazzo e delusione. Come nel caso della guerra civile, anche per i due conflitti con l’Unione sovietica, assistiamo alla reazione degli artisti sia nell’immediato che dopo intervalli di tempo più o meno lunghi.
La reazione immediata fu piuttosto indiretta, come, di nuovo, nel caso di Mika Waltari e della sua opera più importante, il romanzo “Sinuhe l’egiziano” (Sinuhe egyptiläinen 1945), che esprimeva lo scetticismo dell’autore e l’avvertimento per ideologie e utopie di ogni genere; questo libro, che sicuramente non soddisfò la critica letteraria finlandese di sinistra, lo rese famoso in tutto il mondo e gli procurò l’acclamazione soprattutto nei paesi del blocco sovietico, che stavano sperimentando la realizzazione di una di queste utopie sulla propria pelle. Una rappresentazione canonizzata della guerra dal punto di vista del soldato finlandese divenne quella offerta dal romanzo (1954) dell’autore di sinistra Väinö Linna (1920-1992), “Il milite ignoto” (Tuntematon sotilas), che racconta la “guerra di continuazione” dal punto di vista dei mitraglieri di prima linea. Quest’opera istituì la tradizione di un nuovo approccio alla rappresentazione della guerra in letteratura, e gli eroi di Linna gradualmente diventarono moderni prototipi degli ordinari, semplici Finlandesi, paragonabili per popolarità agli “uomini dei boschi” di Aleksis Kivi. Un punto di vista eterodosso della storia finlandese (ad esempio sugli eventi della guerra civile del 1918 dal punto di vista dei rossi) e delle tecniche narrative tradizionalmente realiste è anche sintomatico per la trilogia di Linna “Qui, sotto la stella polare” (Täällä Pohjantähden alla, 1959-1962). L’assurdità degli eventi bellici fu raffigurata con una buona dose di umorismo nero e grottesco nella loro opere di Veijo Meri (1928), ad esempio nella novella “La corda di Manila”, Manillaköysi, 1957. Meri è un altro analista della storia finlandese che però, allo stesso tempo, cercò di venire a patti con le tendenze quali il Surrealismo, che fino ad allora erano apparse nella letteratura finlandese solo in minima parte.
Il CINEMA è il medium che forse riflesse più intensamente il conflitto bellico. Nell’ambito della propaganda patriottica, già a partire dal 1939 vengono prodotte opere con l’obiettivo di unificare la nazione contro un nemico comune. La guerra fu fonte di intrattenimento leggero, che però aveva il compito di rafforzare il rapporto positivo dei Finlandesi con l’esercito – ne sono prova le farse di ambientamento militare degli anni ’30 e ‘50, la cui tradizione è viva anche nel cinema finlandese contemporaneo. Al periodo bellico risalgono, però, anche i film d’evasione, il più popolare dei quali fu quello del regista Toivo Särkkä (1890-1975) “Il valzer del vagabondo” (Kulkurin valssi, 1941), che celebra la già consolidata tradizione del cinema finlandese di libertà nella natura idilliaca e dell’amore puro che ignora le barriere di classe e gli altri ostacoli. Il primo film più ambizioso fu quello girato da Edvin Laine (1905-1989) nel 1955, basato sul “Milite ignoto” di Linna.
Il regolamento di conti con il recente passato e lo sforzo per l’intensa ricostruzione nazionale del dopoguerra sono compensati dai momenti di evasione offerti dalla cultura, soprattutto popolare. Negli anni ‘50 si registra il culmine dell’ondata di popolarità della musica da ballo al ritmo del tango; una versione lenta di questa danza, molto diversa dai temperamentali modelli sudamericani, scaturì in Finlandia già a partire dai primi decenni del XX secolo. Dopo la guerra, poi, si diffuse come contrappunto alla musica popolare occidentale, che faceva appello soprattutto alle giovani generazioni; il “tango finlandese” conserva tuttora la sua sorprendente popolarità, come dimostra, tra l’altro, il Festival annuale del Tango a Seinäjoki.
Gli autori che fanno il loro ingresso sulla scena degli anni ’50 appartengono a una generazione la cui prima giovinezza fu segnata dalla guerra, e sono proprio loro a formare il nucleo del cosiddetto Modernismo finlandese, già abbozzato nel periodo tra le due guerre nell’opera del poeta Aaro Hellaakoski (1893-1952) e del romanziere Volter Kilpi (1874-1939). Il modernismo rappresenta uno dei fenomeni più importanti della letteratura finlandese del XX secolo, con il quale la poesia finnofona, ed in seguito anche la prosa, pareggia i conti con le tendenze presenti nella letteratura svedofona della Finlandia sin dai tempi di Edith Södergran. La reazione agli eventi bellici degli autori interessati al Modernismo è piuttosto indiretta, ed origina dalla totale disillusione postbellica della civiltà occidentale, puntando su un uso disumanizzato ed alienato della lingua; il modello straniero di maggior impatto fu, in questo caso, l’Imagismo anglosassone. Nelle sue opere, la poetessa Eeva-Liisa Manner (1921-1995) mette in contrasto il “disordine logico” del pensiero razionalista unilateralmente occidentale con “l’ordine magico” del mondo dei miti, della musica, della poesia e della fantasia dei bambini. Paavo Haavikko (1931-2008), versatile autore dell’opera più influente del Modernismo finlandese del dopoguerra, la raccolta il “Palazzo d’Inverno” (Talvipalatsi, 1959), si interessa alla lingua come strumento di politica e potere nel passato e nel presente; attraverso questo approccio scettico al linguaggio, Haavikko è l’autore della citazione “la lingua è la mia unica patria”, da cui origina la definitiva liberazione della letteratura finlandese dall’enfasi nazionalista. Haavikko è anche, allo stesso tempo, l’autore che nella Finlandia del dopoguerra sviluppò con maggior successo la tradizione ispirata al Kalevala; a questo proposito possiamo almeno citare la sua “Età del ferro” (Rauta-aika, 1982), che servì come base per l’omonima produzione televisiva in quattro puntate premiata al Festival del cinema di Venezia. Al successo del progetto, oltre ad Haavikko contribuirono il regista Kalle Holmberg (1939) e il compositore Aulis Sallinen (1935). Per quel che riguarda la prosa, l’approccio modernista è applicato principalmente nei lavori di Marja-Liisa Vartio (1924-1966) e Antti Hyry (1931).
All’elitismo letterario degli anni ‘50 reagì l’arte della decade successiva: il poeta Pentti Saarikoski (1937-1983) parte da presupposti modernisti come gli altri succitati autori ma il suo tentativo di scoprire “cosa davvero accade” (come suggerisce il titolo di una delle sue più importanti raccolte del 1962), lo spinge ad interessarsi a temi sociopolitici. Dopo aver dimostrato di essere in grado di gestire sia la forma di espressione tradizionale che quella modernista, passò ad introdurre nella poesia finlandese il ritmo del linguaggio colloquiale. Le prose semi-autobiografiche di Saarikoski rappresentano una corrente significativa del suo tempo, con i loro toni pamphletistico-confessionali, che dovevano avvicinare più possibile la letteratura alla realtà. Questa corrente fu ugualmente significativa anche in ambito finnosvedese, i cui rappresentanti principali furono in questo periodo soprattutto gli autori radicali di sinistra, per lo più raggruppati intorno alla rivista FBT, molti dei quali in seguito (così come i loro colleghi finnofoni) svolsero importanti incarici politici: lo scrittore, regista e produttore Jörn Donner (1933) fu poi membro del Parlamento europeo e Console generale finlandese a Los Angeles; il poeta e drammaturgo Claes Andersson (1937), di professione psichiatra, fu Ministro della cultura nella seconda metà degli anni ‘90 del XX secolo. A differenza di questi autori, Christer Kihlman (1930) mantenne una maggiore distanza dall’ideologia marxista, pur condividendo con loro la necessità di affrontare le tradizioni dei circoli borghesi finnosvedesi, tra l’altro discutendo apertamente di temi quali bisessualità e alcolismo. Il modo di vivere nella comunità finnosvedese venne reso in maniera peculiare anche dai famosi libri sui Mumin della pittrice e scrittrice per bambini e adulti Tove Jansson (1914-2001), che, tuttavia, hanno una dimensione umana generale e grazie ai quali la letteratura per l’infanzia riesce ad uscire dalla sua posizione marginale.
Nell’ambito dell’enfasi sulle questioni sociali, negli anni ‘60 e ‘70 assistiamo al fiorire anche della saggistica: vale la pena citare almeno il critico e saggista finnosvedese Johannes Salminen (1925), in cui il motivo dominante è il rapporto dei Finlandesi con la Russia – in Finlandia un argomento tuttora delicato, il “terrorista ambientale” e “anarchico dissidente” Pentti Linkola (1932), e lo scrittore satirico tranchant e maestro del paradosso Erno Paasilinna (1935-2000). Dagli anni ‘60 e ‘70 iniziano ad avere un’importante influenza sulla formazione dell’espressione letteraria, soprattutto poetica, la musica e i testi rock e undergound. Il rock e l’undergound degli anni ’60, così come in seguito il punk negli anni ‘70 e la musica techno degli anni ‘90, si evolsero dalla dipendenza da modelli stranieri alla ricerca di una forma specifica finlandese. I principali parolieri del rock finlandese passarono anche alla storia della poesia finlandese e molti di loro in seguito divennero anche pilastri della cultura “ufficiale”; in questo senso, il miglior esempio è il paroliere, poeta e romanziere Jarkko Laine (1947), dagli anni ‘80 anni presidente dell’Unione degli scrittori finlandesi e redattore della più importante rivista letteraria finlandese, Parnaso. M. A. Numminen (1940) e il suo gruppo Sperm acquisirono notorietà per i loro testi filosofici e provocatori, il cui contenuto contrastava fortemente con la forma interpretativa.
L’establishment letterario finlandese mostrò nei primi anni ‘60 la sua pedantezza nell’ambito del processo per blasfemia dello scrittore Hannu Salama (1936), per il suo romanzo “Danza di mezza estate” (Juhannustanssit, 1964). L’era del radicalismo di sinistra culmina nella seconda metà degli anni ‘60: nel 1966, al Teatro studentesco di Helsinki va in scena “L’opera di Lapua” (Lapualaisooppera), in cui il suo autore Arvo Salo (1932) si concentra sul tema dell’attività del Movimento di estrema destra “Lapua”, attivo in Finlandia a cavallo degli anni ‘20 e ‘30; al grande successo della produzione, nello spirito della poetica brechtiana contribuì il già citato regista Kalle Holmberg, il quale insieme a Ralf Løgback (1932) e al controverso Jouko Turkka (1942, creatore del drastico concetto “fisico”) rappresentano le personalità di maggior impatto del teatro postbellico d’avanguardia di sinistra in Finlandia. La visione del teatro come luogo in cui il mondo cambia e dove si lanciano messaggi politici avvicina questo medium ad ampi segmenti di giovani di sinistra, sia nel ruolo di spettatori sia di drammaturghi; si formano gruppi indipendenti di teatro amatoriale o semi-professionale e riprende la tradizione del teatro operaio. La professionalizzazione di alcuni di questi gruppi ha portato alla successiva creazione di scene teatrali tuttora importanti, quali il Teatro COM (KOM-teatteri) e il Teatro di gruppo (Ryhmäteatteri) o il Piccolo Teatro svedofono (Lilla teatern) fondato dalla versatile personalità teatrale Vivika Bandler. Il populismo degli anni ‘60 e ‘70 anni favorì anche la nascita di numerosi teatri regionali, ancora oggi oggetto di controversia per quel che concerne la concezione della politica statale del teatro.
Il cinema finlandese, che negli anni ‘50 aveva registrato i primi successi internazionali (“La renna bianca”, Valkoinen Peura (1952) di Blomberg e il succitato “Milite Ignoto” di Laine), all’inizio degli anni ‘60 si trovò nella necessità di trasformarsi: la natura più o meno incontaminata, con le cui descrizioni fino ad ora il cinema guadagnava il favore del pubblico, così come la dipendenza della vita dei protagonisti al lento ritmo delle stagioni, non corrispondono più alla realtà del mutevole panorama culturale finlandese. Al tempo stesso, fu anche necessario affrontare la concorrenza della televisione e adattarsi alle tendenze mondiali: attribuire finalmente al cinema lo stesso status “alto” del teatro o della letteratura. Questa fine di un’era fu segnata da alcuni film di Mikko Niskanen e dalla pellicola di Rauni Mollberg “La terra è un canto blasfemo” (Maa on syntinen laulu, 1973), adattamento dell’omonimo romanzo (1964) di uno dei talenti più puri della letteratura finlandese del dopoguerra, l’autore prematuramente scomparso Timo K. Mukka (1944-1973). La descrizione di Mukka della vita nel “profondo Nord” spostò l’esotica visione della Lapponia, conosciuta dalla “Renna bianca”, su un piano di riflessione quasi naturalistico ma allo stesso tempo altamente poetico, e sui temi attuali delle province settentrionali della Finlandia: l’alcolismo, l’influenza delle sette religiose e dei movimenti estremisti, il rapporto tra i Finlandesi e la popolazione della Lapponia e la condizione delle donne in queste comunità. Lo sfondo delle storie cinematografiche – come avviene in altri campi artistici – gradualmente va muovendosi, per usare le parole della critica, “dalla foresta alla città”, come dimostrano anche i film di critica sociale di Risto Jarva (1934-1977), autore di progetti artistici tra i più ambiziosi degli anni ‘60. Nella decade successiva, Jarva si dedicò alla versione cinematografica del romanzo di successo di Arto Paasilinna (1942) “L’anno della lepre” (Jäniksen vuosi), storia di un uomo alienato sia dall’ambiente urbano e dalle persone con le quali è cresciuto, sia dalla natura, che cerca di riscoprire.
La rivolta dei giovani artisti contro ogni tipo di autorità si manifestò negli anni ‘60 anche nelle arti figurative, che solo nel dopoguerra iniziano a far fronte alla mancanza di avanguardie nel vero senso della parola, a causa della politica artistica conservatrice del periodo tra le due guerre, e all’interruzione di uno sviluppo continuo in conseguenza della guerra. Solo negli anni ‘50 terminerà la lotta tra artisti e teorici prettamente nazionalistici e quelli di orientamento internazionale, e la Finlandia in seguito riuscirà a venire a patti con tendenze quali il Concretismo e l’Espressionismo. La nuova ondata “arrabbiata” di Espressionismo si riflette nelle opere del cosiddetto “Gruppo di ottobre” (Lokakuun ryhmä); le pratiche costruttiviste appaiono principalmente nei lavori di Sam Vanni (1908-1994), e dagli inizi degli anni ‘60 anni va a imporsi anche l’arte informale del cosiddetto “Gruppo di marzo” (Maaliskuun ryhmä).
Gli scultori finlandesi registrano i primi grandi successi, soprattutto Eila Hiltunen (1922) autrice del monumento a Sibelius di Helsinki (1967), e Laila Pullinen (1933), maestra nel mescolare materiali diversi. Negli anni ‘60, le tendenze informali, dada e surrealiste e l’influenza della pop-art – come si vede ad esempio nelle opere di Paul Osipow (1939) – si fondono con l’ideologia socialista e comunista in una variegata protesta sociale (una delle personalità più vigorose, in questo senso, è Kimmo Kaivanto (1932)), le cui frecciate artistiche, però, risultarono indebolite dal fatto che la politica di “relazioni amichevoli e la cooperazione globale con l’Unione Sovietica” fosse anche la linea ufficiale del Governo finlandese. Come nella letteratura, anche nel campo delle arti visive i radicali di sinistra riuscirono ad occupare negli anni ‘70 la maggior parte delle posizioni chiave delle associazioni artistiche; i ribelli si trasformarono in establishment, il realismo populista e socialista per qualche tempo diventa la potenza dominante, e l’arte astratta non viene vista di buon occhio e considerata dalla critica eccessivamente intellettuale e incomprensibile.
Oltre ai tipi tradizionali di arte, il cui concetto viene completamente rivisto, dopo la guerra vanno sviluppandosi nuovi generi come la fotografia e il design. Nel 1969 sorge il Museo della Fotografia, mentre il design finlandese rende famosa la Finlandia in tutto il mondo e diventa non solo parte integrante della cultura finnica, ma anche uno dei simboli dell’identità finlandese, come si può constatare, tra l’altro, sulla base degli arredamenti degli interni delle case dei Finlandesi all’estero. L’egualitarismo nordico, le tradizioni della vita rurale in stretta comunione con la natura, che sono i succitati principi fondamentali del design e delle arti applicate finlandesi, nell’atmosfera post-bellica offrono un’alternativa accettabile e politicamente neutrale. Tuttora i designer finlandesi sottolineano nelle loro opere il misticismo della natura e l’affinità con i materiali naturali. Anche il design industriale cerca e trova una sua forma specifica. Il design finlandese del dopoguerra fu in grado di coniugare la tradizione con la funzionalità e con elementi ultramoderni, diventando una vetrina dei produttori finlandesi all’estero, promuovendo l’espansione delle esportazioni finlandesi.
Simbolo dello stile di vita del dopoguerra delle giovani generazioni diventano i prodotti tessili dell’azienda Marimekko (fondata nel 1951); molte aziende finlandesi in diversi settori delle Arti applicate vanno espandendosi in tutto il mondo: ad esempio i prodotti in vetro di Iittala e Nuutajärvi, in ceramica e porcellana dell’azienda Arabia, i mobili Artek (azienda co-fondata nel 1935 dai coniugi Aalto). Negli ultimi due decenni, sfumano sempre più le differenze tra i diversi tipi di arte, come pure tra l’arte figurativa e quella applicata: è sempre più difficile e apparentemente inutile definire il confine tra i prodotti di stilisti tessili e le opere di artisti figurativi che usano i tessuti come materiale principale – nell’ambito dell’arte tessile sculturale (ad esempio Kirsti Rantanen, 1930), è stata fatta rivivere la tradizione del tessuto murale finlandese ryijy. Analogamente, è spesso difficile decidere, nel caso dei singoli oggetti di vetro o ceramica, se si tratti di opere d’arte applicata oppure opere d’arte in senso tradizionale. Questo sviluppo fu inaugurato negli anni ‘50 da Tapio Wirkkala (1915-1985), le cui creazioni in legno, a suo tempo conosciute come esempio di arte industriale, sono ora considerate sculture moderne; o come le sculture in vetro di Kaj Franck (1911-1989) e Timo Sarpaneva (1926).
Lo sviluppo nel campo del design, dell’architettura e dell’urbanistica del dopoguerra coincise con uno stato di benessere, in un clima di sviluppo sociale e culturale omogeneo, che porta alla unità stilistica della cultura materiale, via via adattatasi ai valori generalmente accettati della classe media. Nemmeno il design finlandese degli anni ’60 e ‘70 riuscì a sfuggire alle accuse di esclusività e di elitarismo; come conseguenza, assistiamo ad una produzione di massa a basso costo di oggetti di uso quotidiano e di arredamento per la casa, che ha portato ad un livellamento degli arredamenti delle famiglie finlandesi e ad uno standard estetico impensabile in paesi dove la stratificazione sociale è più evidente. Conseguenza di questa “socializzazione” del design fu però la tanto discussa anonimità e serialità. Negli anni ‘80 e ‘90 anni entra in scena una nuova generazione di designer che pongono l’accento in particolare sull’aspetto ecologico del design (ad esempio, Jaana Syväoja (1960) ed i suoi gioielli in carta riciclata), sull’ergonomia, la sicurezza e le esigenze di bambini, anziani e disabili.
Anche l’architettura finlandese ebbe uno sviluppo simile al design: dopo un periodo di ricostruzione intensa negli anni dell’immediato dopoguerra, negli anni ‘50 assistiamo al secondo periodo creativo di Alvar Aalto, caratterizzato da edifici in mattoni, come ad esempio l’Università di Jyväskylä (1956) o la chiesa di Vuoksenniska (1958); a far da corona all’opera di Aalto troviamo i monumentali edifici pubblici in diversi centri provinciali della Finlandia (Seinäjoki, Rovaniemi, Jyväskylä) ed il famoso centro culturale e di congressi in marmo Finlandia ad Helsinki (1962-1971). La giovane generazione di architetti crea progetti che utilizzano materiali naturali, e sorgono chiese moderne, tra cui “la chiesa nella roccia” di Helsinki, la Temppeliaukionkirkko di Timo e Tuomo Suomalainen degli anni 1968-9, e i conglomerati urbani in contatto con la natura – ad esempio, il famoso Tapiola ad Espoo, nei pressi di Helsinki, al quale partecipò anche una famosa coppia di architetti, i coniugi Reima (1923-1995) e Raili (1926) Pietilä. Negli anni ‘60 e ‘70, i requisiti della costruzione di massa nell’ambito della pianificazione comunale fecero sorgere lugubri prefabbricati, la cui cupa atmosfera è alleviata solo dall’onnipresente natura. Maggiormente irreparabili furono i danni provocati dalla distruzione sistematica dei vecchi centri e quartieri in legno sostituiti dalla rapida crescita degli agglomerati, alla quale non sfuggì nemmeno una delle più antiche città finlandesi, l’ex capitale Turku; analogamente, anche gli esperimenti con strutture e superfici in calcestruzzo, il cosiddetto Brutalismo, cambiarono il volto di più di un comune finlandese. Ben presto, però si arrivò ad una rivalutazione di queste tendenze, e nel periodo a cavallo degli anni ‘70 e ‘80, l’urbanistica torna a concetti più tradizionali, riflessi principalmente nei quartieri residenziali degli ultimi due decenni. Tra le personalità che attualmente sviluppano in maniera più originale il patrimonio dell’architettura finlandese possiamo citare Juha Leiviskä (1936), Kristian Gullichsen (1932) ed Erkki Kairamo (1936).
Dopo la stabilizzazione della vita sociale nella seconda metà degli anni ‘70, quando la corrente letteraria principale produce soprattutto corposi romanzi storici o saghe familiari per lo più nello stile del realismo rurale, agli inizi degli anni ‘80 giunge la reazione da parte del critico e saggista John Blomstedt (1952) e del filosofo Esa Saarinen (1953), molto presente nei media, sottoforma di un pamphlet intitolato “Accademia punk” (Punkakatemia), che segna l’inizio della cosiddetta “new wave” e che alla letteratura chiede soprattutto modernità, urbanismo e cosmopolitismo (Anja Kauranen, 1954, Harri Sirola, 1958). Molto più che in precedenza, in letteratura risaltano le voci femminili, che già durante gli anni ‘60 e ‘70 cercarono di giustapporsi alla visione del mondo apparentemente neutra ma di fatto maschile, ma che il radicalismo di sinistra del tempo soffocò con questioni più “importanti”. Dopo i romanzi su temi caldi quali l’aborto e la sessualità femminile di fine anni ‘60 – inizi anni ‘70 (Tytti Parras, 1943, Eeva Kilpi, 1928), precursori di ulteriori sviluppi, riecheggia la prima voce davvero radicale delle autrici finnosvedesi: Marta Tikkanen (1935), apprezzata nell’intera Scandinavia per la sua opera “La storia d’amore del secolo” (Århundrade kärlekssaga, 1978), dove riflette in modo scioccante e da una prospettiva femminile sul matrimonio con un alcolizzato, nell’ambito di una cosiddetta famiglia borghese rispettabile. Negli anni ‘80 culmina poi la differenza tra le percezioni maschile e femminile di “cosa davvero accade”: l’esempio migliore di questa tendenza è il romanzo di Anja Kauranen-Snellman “Sonia O. è stata qui” (Sonja O. kävi täällä, 1981), in cui l’autrice cerca di scuotere la dualità della rappresentazione della donna nella letteratura e nell’arte, e per bocca del suo personaggio principale, figlia di immigrati russi di origine proletaria, immune a causa della sua esperienza personale agli slogan allettanti, deride sia l’ipocrisia conservatrice sia quella degli intellettuali pseudo-progressisti del suo tempo.
Negli anni ‘80, nel periodo di crescita economica e prosperità, nell’arte finlandese si inizia a parlare di Postmodernismo. In letteratura, questa tendenza è aperta dal romanzo di Matti Pulkkinen (1944) “La morte del personaggio del romanzo” (Romaanihenkilö kuolema, 1985); tuttavia, a causa della ritardata e persistente influenza modernista, ancora negli anni ‘90 i critici finlandesi dibattono sul numero di opere della produzione letteraria contemporanea alle quali spetta giustamente la qualifica di postmoderno. Anche la metafiction e il realismo magico fanno sentire la propria voce, anche se alcuni autori che analizzano l’attuale crisi di valori (Annika Idström, 1947, Esa Sariola, 1951 – “Caro amico,” Rakas ystävät, 1985), sono molto più vicini alle pratiche moderniste. Apparentemente, la serie di romanzi storici che, come notato in precedenza, riscuotono un grande successo tra i lettori finlandesi, e che presentano la realtà in uno sviluppo logico e come un insieme comprensibile, diventano dominio di progetti artisticamente meno ambiziosi, anche se alcuni dei principali autori di questo periodo tentano di resuscitare questo genere, come ad esempio la finnofona Eeva Joenpelto (1921) e la scrittrice svedofona di Åland Ulla-Leena Lundberg (1947). Tradizionalmente popolari in Finlandia sono le opere che trattano della perdita della Carelia e della sorte della sua popolazione evacuata (ad esempio i romanzi di Laila Hietamies, 1938). Il fenomeno della mitizzazione della Carelia si ricollega al carelianismo di fine XIX inizi XX secolo.
Il cambiamento nell’approccio storico porta ad una revisione del concetto tradizionale di storia finlandese come “grande narrazione”, concetto la cui essenza non fu scossa nemmeno dall’inusuale interpretazione, per lo più di sinistra, di alcuni eventi della storia finlandese del dopoguerra. Questa tendenza per il momento culmina nella prosa di Juha Seppälä (1956) provocatoriamente intitolata “Storia della Finlandia” (Suomen historia, 1998). L’enfasi sulla frammentazione della realtà si riflette anche nella forma delle opere in prosa; grande popolarità hanno avuto negli ultimi due decenni i racconti e altri testi brevi di difficile categorizzazione. All’interno di questa tendenza si è affermata soprattutto Rosa Liksom (vero nome Anni Ylävaara, 1958) la cui cruda prosa breve, che paròdia le pratiche realiste e moderniste, si è guadagnata una popolarità anche all’estero. Tematicamente, Liksom attinge sia alle aree remote settentrionali della Finlandia sia alla sottocultura metropolitana, ed utilizza nei suoi scritti la poetica della musica rock e dei fumetti. La definitiva scomparsa del confine tra i generi, e tra la cultura “alta” e quella “bassa” è testimoniata, ad esempio, dai gialli femministi di Leena Lehtolainen (1964). A questa “offensiva femminile”, evidente in Finlandia ad ogni passo (secondo le statistiche oggigiorno il numero di donne che raggiungono un’istruzione superiore è maggiore rispetto a quello degli uomini), si contrappongono le voci maschili che analizzano la mascolinità contemporanea (ad esempio, Pentti Holappa, 1927, Kari Hotakainen, 1957, e Jari Tervo, 1959).
Una “terza età dell’oro della poesia finlandese” (dopo il Neoromanticismo di fine XIX inizi XX secolo e il Modernismo degli anni ’50), vengono defniti da alcuni critici gli anni ‘90, quando intorno alla rivista letteraria “Forza giovane” (Nuori voima) si riunisce un gruppo di giovani poeti, i quali nelle loro opere fondono la conoscenza delle correnti contemporanee, soprattutto la filosofia e la critica letteraria francesi, con una espressione poetica molto curata (Jyrki Kiiskinen, 1963, Helena Sinervo, 1961, Tomi Kontio, 1966, Jouni Inkala, 1966, Riina Katajavuori, 1968). Con l’istituzione del “Club dei poeti vivi” (Elävien runoilijoiden klubi), e attraverso una serie di eventi pubblici, questi poeti cercarono di avvicinare la poesia a più strati sociali possibili, senza in alcun modo compromettere i loro requisiti di qualità. Anche se il gruppo “Forza giovane” era formato nella stragrande maggioranza da autori finnofoni, caratteristico per le sue attività fu lo stretto contatto instaurato con i colleghi finnosvedesi (Petr Mickwitz, 1964, Kjell Westö, 1961, Eva-Stina Byggmästar, 1967), indicativo di una nuova fase di riavvicinamento tra i due contesti linguistici.
Nei primi anni ‘80, nelle arti visive si alza una voce di protesta contro l’arte politicizzata e la propaganda realistica del periodo precedente grazie al gruppo “Dimensione” (Dimensio), che sottolinea, appunto, la dimensione umana ed ecologica dell’arte, rappresentata da artisti come Juhana Blomstedt (1937) o dallo scultore Raimo Utriainen (1927-1993). La più importante personalità del gruppo concettualista “I mietitori” fu il pittore Olli Lyytikäinen (1949-1987). Negli ultimi due decenni, vanno consolidandosi altre correnti quali il Neosurrealismo (Jarmo Mäkilä, 1952, Risto Suomi, 1951, Kristian Krokfors, 1952), il Neoespressionismo (Jan Kenneth Weckman, 1946, Jukka Mäkelä, 1949, Leena Luostarinen, 1949) e il Neogeometrismo (Carolus Enckell, 1945, Matti Kujasalo, 1945, Paul Osipow, 1939), fortemente influenzati dagli eventi internazionali nel campo delle arti visive; oltre a queste tendenze, gli artisti traggono ispirazione dalla nuova concezione di paesaggio urbano e mitologico, e dalla frammentazione della cultura. Molti utilizzano anche i metodi postmoderni per sfumare ancor più la distinzione tra la cultura popolare e quella “alta” e per umoristiche mistificazioni di grande valore comunicativo (Alvar Gullichsen, 1961, e la sua mappatura artistica della società fittizia “Bonk Business”). L’arte degli anni ‘90 anni è caratterizzata da sperimentazioni tecniche e tecnologiche, come gli “oggetti a scomparsa” di Maaria Wirkkala (1954); Marita Liulia (1957) è invece famosa per i suoi CD femministi, mentre Henrietta Lehtonen (1965) soprattutto per le sue installazioni video. Dal 1998 Helsinki può fregiarsi anche del grandioso concetto del Museo d’Arte Contemporanea (Kiasma), progettato dall’architetto americano Steven Holl.
Alla suddetta revisione più o meno seria della storia finlandese, che si riflette anche nell’uso dei “sacri” simboli nazionali in nuovi contesti, è legata anche la nuova ondata di riscritture cinematografiche e televisive, spesso molto poco ortodosse, dei classici del cinema finlandese che conducono un dialogo sia con la stessa opera originale e con il suo ruolo nella la formazione dell’identità nazionale, sia con gli adattamenti precedenti. Nella scioccante serie televisiva ispirata ai “Sette Fratelli” di Kivi (1989), Jouko Turkka mette in discussione l’interpretazione tradizionale della storia dei sette eroi come lo sviluppo dall’indisciplina all’adozione volontaria della legge e dell’ordine, e descrive il processo attraverso il quale gli eroi barbari sono costretti ad accettare la Lingua e la Parola come una violenza spietata. Allo stesso modo, si sviluppano le interpretazioni cinematografiche del “Milite ignoto” e, più in generale, della guerra d’Inverno e di quella di continuazione.
Un’anortodossa versione muta del romanzo di Aho “Juha”, già più volte filmato in precedenza, la offre nel 1999 il regista Aki Kaurismäki (1957), insieme al fratello Mika (1955) la più importante coppia finlandese di registi degli anni ‘80 e ‘90 anni. Mentre Mika gradualmente si adatta ai metodi filmografici tradizionali, Aki rimane fedele alla sua distintiva tecnica minimalista. Con il suo caratteristico umorismo, spesso nero, ma con commovente nostalgia e umanità, nei suoi film descrive i cambiamenti della Finlandia postbellica e il destino degli eroi ai margini della società in una maniera che la letteratura finlandese ha invano cercato di emulare (ad esempio Ariel, 1988, e “Nuvole in viaggio”, Kauas pilvet karkaavat, 1996), riscuotendo un enorme successo tra i critici e gli appassionati di tutta Europa. Alcuni critici hanno interpretato il fatto che alcuni suoi film di fine anni ‘80 inizi ‘90 siano ambientati al di fuori della Finlandia come un segnale dell’avvenuta transizione dall’ambiente finlandese ad un contesto internazionale; il collega generazionale di Kaurismäki Markku Pölönen (1957), altro significativo talento degli anni ‘90, contraddice però l’assolutezza di questa tendenza con la sua concezione originale del mondo rurale finlandese. Tipica per il cinema finlandese degli anni ‘90 è anche la crescente percentuale di registe, che rappresentano il mondo da un punto di vista femminile: Kaisa Rastimo, 1961, è conosciuta principalmente per il film “Agrodolce”, Suolaista ja makeaa, del 1995.
Il contributo di artiste e la drammatizzazione iconoclasta dei classici nazionali sono gli elementi caratteristici degli ultimi venti anni anche per il teatro finlandese che, come le altre forme di arte, a partire dagli anni ‘80 va districandosi dalla dimensione politica superficiale. Tuttavia, questo non vuol dire che il teatro non si pronunci riguardo agli eventi socio-politici, ma soltanto che cambiano le modalità espressive. Invece dello stile realista-pamphletistico, l’accento ora cade sulla individualità degli attori, sugli aspetti fisici e sulla perfomance, che si riflette nello sviluppo sia dell’opera teatrale (ne è esempio estremo il già citato Jouko Turkka, i cui allievi si affermano poi come drammaturghi nei teatri di primo piano degli anni ‘90) sia della danza moderna, il cui rappresentante preminente è il coreografo e ballerino Jorma Uotinen (1950), attivo in Finlandia e all’estero. Molte compagnie teatrali si spostano dagli edifici sontuosi, costruiti negli anni ‘60 e ‘70 anni, in piazze, fabbriche e hangar abbandonati – possiamo qui citare il gruppo di orientamento femminista “Rose furiose” (Raivoisat ruusut), alla cui nascita contribuì nel 1988 la regista Ritva Siikala (1941). Inoltre va sempre più allargandosi il divario tra i teatri istituzionalizzati e le scene d’avanguardia, tra le quali continuano a godere di una certa popolarità il succitato Teatro COM e, tra i più recenti, il Teatro Q (Q-Teatteri) e lo svedofono Virus (Viirus). Anche in ambito teatrale, la modalità di espressione si rifà alla tecnologia più recente.
Il fatto che venga ripensato il rapporto con la tradizione è evidente anche nella musica popolare finlandese, e si manifesta sia con la crescente popolarità di questo genere musicale, sia con la fusione di elementi folcloristici, rock e techno. Il grande interesse per la musica popolare è testimoniato anche dal successo del festival internazionale di Kaustinen; il recupero della tradizione ingro-careliana è uno dei punti di forza del gruppo Värttinä e la contaminazione di ritmi moderni e musica popolare sámi, in particolare i caratteristici yoik, per molti simbolo dell’identità sámi, la riscontriamo nelle creazioni di Wimme Saari (1960) e delle “Ragazze di Angeli” (Angelin tytöt), che si esibiscono ora con il nome abbreviato Angelit.
La cultura SÁMI in Finlandia è andata emergendo in tutti i suoi aspetti soprattutto a partire dagli anni ‘70, quando viene istituito il Parlamento sámi, L’istituto sámi nordico e l’Associazione degli scrittori sámi. Gli autori sámi iniziano a dialogare con le modalità di rappresentazione dei Sámi e della Lapponia nella letteratura e nell’arte finlandesi; la personalità più nota, visibile e maggiormente tradotta della letteratura sámi di Finlandia degli ultimi decenni è il poeta e musicista Nils Aslak Valkeapää (1947), vincitore nel 1991 del Premio letterario del Consiglio nordico per il volume di poesie e fotografie “Il sole, mio padre” (Beaivi Áhčážan). Come la maggior parte degli altri artisti sámi (scrittori, artisti e musicisti) Valkeapää parte dalla cultura tradizionale sámi e partecipa alla lotta per i diritti dei Sámi come “popolo autoctono”. La più famosa scrittrice sámi sul territorio finlandese è Kirsti Paltto (1947), la quale, insieme alla poetessa Rauni Magga Lukkari (1943) rappresenta la forte tradizione femminile della cultura sámi.
Nel corso del XX secolo, la musica classica contemporanea, in Finlandia come altrove, diventa sempre più qualcosa di esclusivo; ad ogni modo, alla fine degli anni ‘60 (dopo diversi decenni nel segno del neoclassicismo e di esperimenti con la dodecafonia) ritorna alla tonalità e al neoromanticismo. Questo ritorno alla tonalità fu favorevole anche alla lirica. I maggiori successi in questo campo li raggiunge Joonas Kokkonen (1921-1996) con l’opera “L’ultima tentazione” (Viimeiset kiusaukset, 1975), il già citato Aulis Sallinen come il suo “Cavaliere” (Ratsumies, 1974) ed Einojuhani Rautavaara, 1928 (Thomas, 1985, Aleksis Kivi, 1997). I conduttori Leif Segerstram (1944), Okko Kamu (1946), Jukka-Pekka Saraste (1956) ed Esa Pekka Salonen (1958) guadagnano fama mondiale, così come il basso Martti Talvela (1935-1989) e il soprano Karita Mattila (1960). L’incessante popolarità dell’opera è dimostrata anche dal sempre elevato interesse per l’annuale Festival operistico di Savonlinna. Dal 1993, Helsinki può vantare anche il più grande teatro operistico del Nord Europa, progettato dagli architetti Karhunen, Hyvämäki e Parkkinen. L’accademia Sibelius di Helsinki è frequentata da studenti provenienti da ogni parte del mondo e negli ultimi decenni il numero di conservatori e scuole di musica è cresciuto anche nelle altre città finlandesi. La musica classica ha visto una convergenza con le tecnologie informatiche, come evidente nei lavori di due dei maggiori compositori di successo internazionale della generazione di mezzo, Magnus Lindberg (1958) e Kaija Saariaho (1952), la cui opera L’amour de loin ha riscosso un enorme successo al Festival musicale di Salisburgo nel 1999.
Come negli altri paesi nordici, il sistema finlandese di premi e sovvenzioni per gli artisti è relativamente generoso e vanta una lunga tradizione. A partire dagli anni ‘60 si svolgono molti dibattiti sullo status degli artisti nella società; questi dibattiti sono principalmente derivati dalle controversie tra la sinistra, che promuove sussidi quanto più alti possibili e la linea di “democratizzazione” dell’arte, nel senso di renderla disponibile al maggior numero possibile di strati sociali, e la destra, che sottolinea gli aspetti negativi di tale approccio. Una questione che non venne apertamente discusso fino al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 fu quella della censura, che in Finlandia non fu particolarmente stretta, ma che vegliava attentamente affinché non si irritasse inutilmente il vicino ad Est. Tuttavia va notato che fino a non molto tempo fa, esisteva in Finlandia una censura abbastanza efficace anche per opere “moralmente oltraggiose” e “blasfeme”, sostenuta principalmente dai conservatori.
Le possibilità offerte dai media elettronici e dalle tecnologie dell’informazione sposta su nuovi piani il dibattito sulla censura così come quello sul diritto d’autore. I recenti progressi tecnologici raramente altrove hanno avuto la stessa diffusa risonanza come in Finlandia; inoltre, questi “articoli” costituiscono le voci più importanti delle esportazioni finlandesi. Secondo alcune statistiche, la Finlandia è il paese con il maggior numero di telefoni cellulari (per lo più della marca nazionale NOKIA) e di utenti di internet per numero di abitanti. In questo contesto, pertanto, non sorprende che “il genio del computer” Linus Torvalds (1969), creatore del famoso sistema operativo Linux, sia originario della Finlandia. Questa tendenza è spesso contrapposta all’innegabilmente stretto rapporto con la natura dei Finlandesi – ogni fine settimana, molti abitanti delle grandi città fuggono dalla vita nelle pseudometropoli finlandesi (in Finlandia tuttora non sono riscontrabili metropoli di tipo europeo) e si rifugiano nei loro cottage sulle rive dei laghi o del mare. Così come ovunque, la posizione di artisti e intellettuali finlandesi riguardo all’arte basata sull’uso di internet è piuttosto varia – oltre agli appassionati che volontariamente pubblicano le loro opere online (ad esempio i testi più recenti del “terrorista letterario” Markku Eskelinen (1960) e del progetto denominato “versi elettrici”, dei succitati autori del gruppo “Forza giovane”) e che partecipano ai dibattiti sulla ridefinizione del ruolo dell’autore in un ambiente virtuale (la significativa prosatrice contemporanea Leena Krohn, 1947), troviamo ovviamente anche molti di coloro che rifiutano l’incursione di qualsiasi tipo di tecnologia nel loro mondo.
Un tema spesso discusso in questi ultimi anni è il rapporto dei giovani con la lettura. I Finlandesi, tradizionalmente fieri di essere tra i più assidui lettori del mondo e di disporre di una vasta rete di biblioteche superbamente arredate e architettonicamente notevoli, a metà degli anni ’90 manifestarono preoccupazione per i risultati di alcune ricerche secondo le quali il grado di alfabetizzazione e di istruzione dei bambini in età scolastica sembrerebbero in declino: i computer e la realtà virtuale sono riusciti dove la televisione e il video – contro ogni catastrofica previsione – hanno fallito. La letteratura, la stampa e dagli anni ‘20 la radio hanno generato quella cultura dei media che fino agli anni ‘50 ha costruito e forgiato una comune coscienza e identità finlandese nazionale.
Internet significa, tra l’altro, un ambiente internazionale e il distacco dagli interessi della lingua madre come il più importante mezzo, o addirittura fine, di comunicazione, cosa che porta molti a concludere che proprio grazie alla realtà virtuale la cultura finlandese potrà finalmente allontanarsi dal peso nazionalista-revivalista. Dal suo ingresso nell’UE nel 1995, la Finlandia va aprendosi a poco a poco al mondo – cresce il numero di immigrati, alle minoranze finnosvedesi e finnosámi se ne vengono ad aggiungere altre, e muta anche la posizione di quelle che sono state tradizionalmente emarginate. Un esempio di questo sviluppo è soprattutto la minoranza rom, stimata come leggermente più grande (6 500-10 000) addirittura di quella storica sámi (circa 5 000-7 000).
I ROM, presenti in Finlandia già dal XVI secolo, sono sempre stati ai margini della società finlandese e nel XX secolo, come i Sámi, divennero vittime della politica nazionale di assimilazione, che durò fino agli anni ‘70. Anche se i Rom finlandesi hanno mantenuto il loro tipico stile di abbigliamento, molte antiche tradizioni, tra cui quella della vita nomade, sono andate quasi completamente dimenticate. Oggigiorno la maggior parte dei Rom confessa la religione luterana e parla finlandese; dagli anni ‘60 si sono intensificati gli sforzi per sviluppare una forma scritta della lingua rom, che viene insegnata in alcune scuole. La lingua rom, insieme a quella finlandese, svedese, sámi e dei segni, viene definita come una delle “lingue della Finlandia”, anche se inutili finora sono stati i tentativi di acquisire lo status di lingua ufficiale.
Anche se la Finlandia è ancora lontana dall’essere una società multiculturale, il progetto di Helsinki come città della cultura del 2000 ha cercato di prendere programmaticamente in considerazione questa dimensione. Dalle fila dei gruppi più conservatori si levano grida preoccupate sul fatto che l’integrazione nell’Unione europea e i legami sempre più stretti col mondo minaccino l’identità nazionale finlandese; paure che spesso originano dalla riluttanza a qualsiasi cambiamento. Ancora più significativo degli eventi nell’ambito del programma della “città della cultura” è stato, alla fine del millennio, il contributo a questo dibattito di una voce letteraria: Johanna Sinisalo (1958) e il suo romanzo “Prima del tramonto, non si può” (Ennen päivänlaskua ei voi), che ha vinto nel 2000 il più prestigioso premio letterario finlandese, il Finlandia. La storia avvincente di un giovane fotografo pubblicitario che fa amicizia con uno spirito del bosco ferito, in tono postmoderno e magico-realista, si rifà a molti fenomeni attuali (non solo) della società finlandese, come la paura dell’alterità, del rapporto tra gli esseri umani, gli animali e le macchine e la sovrapposizione delle relative frontiere, la rottura dell’identità di genere, la ridefinizione del concetto di scienza, lo sfruttamento della natura selvaggia da parte della cultura consumistica. Con la fusione di ispirazioni mitologiche e folkloristiche finlandesi e la critica di xenofobia e omofobia, Johanna Sinisalo è riuscita a dimostrare che alle radici nazional-popolari della cultura finlandese ci si può ricollegare anche attualmente, ma in modo del tutto astratto dal lascito del nazionalismo; ed anche che questo concetto così definito di apertura verso il mondo può significare un arricchimento per le arti e la cultura nazionali, piuttosto che una perdita di identità.
A celebrare i 100 anni di indipendenza della Finlandia ripresentiamo questo saggio di Viola Parente-Čapková, pubblicato nel 2001 come postfazione alla versione ceca della Storia della Finlandia (Suomen historia – Asutuksen alusta Ahtisaareen) di Eino Jutikkala e Kauko Pirinen (1999). Trad. it. di Antonio Parente.
La Rondine – 20.7.2017