Sofi Oksanen | Quando i colombi scomparvero

La storia europea e la sua falsificazione

Nei romanzi della scrittrice finno-estone Sofi Oksanen la storia europea, più o meno lontana, viene analizzata esplicitamente dal punto di vista delle donne. Nei romanzi precedenti (Le vacche di Stalin 2003; Baby Jane, 2005 e La purga, 2008)  i personaggi maschili sono volutamente stereotipati, oppure occupano una posizione marginale, e gli avvenimenti più drammatici hanno per protagoniste soltanto le donne. Nelle Vacche di Stalin, dove (almeno nell’originale), non possiamo essere sicuri dell’identità di genere dei partner della protagonista, viene messo in luce il rapporto tra madre e figlia; in Baby Jane, più in generale, i rapporti tra le donne, e nella Purga un triangolo amoroso, dove due dei tre personaggi principali sono sorelle, e il romanzo analizza per l’appunto il rapporto tra le due donne. Il romanzo appena pubblicato in italiano da Feltrinelli (tradotto, come i precedenti, da Nicola Rainò)  rappresenta un cambiamento significativo: due dei personaggi principali, dei quali possiamo seguire il punto di vista attraverso gli eventi descritti, sono uomini, e la figura femminile occupa questa volta solo uno dei vertici del triangolo.

Nel romanzo Quando i colombi scomparvero (Feltrinelli, 2014) la Oksanen attinge ancora una volta alla storia estone del XX secolo, alla quale l’autrice, come lei stessa dichiara, si dedica programmaticamente. Il punto di vista femminile, che permette di gettare una sonda microstorica e fornire una diversa narrazione della storia stessa, è qui solo complemento dei due punti di vista maschili, molto diversi tra loro. In Roland Simson, che a prima vista sembrerebbe essere il personaggio principale del romanzo, in quanto l’unico a narrare in prima persona, Oksanen raffigura il personaggio del “Fratello della foresta”, rappresentante della rivolta estone, della resistenza armata partigiana contro l’occupazione sovietica che, iniziata negli anni 1940, si protrasse per molti decenni in tutti i Paesi baltici. Anche Hans Pekk, la figura maschile più importante della Purga, faceva parte di questo movimento. I “Fratelli della foresta” sono strettamente legati agli eventi chiave della storia estone del XX secolo, in particolare al tragico periodo storico a partire dal 1939, quando l’Estonia perse la sua indipendenza, fino al 1991, quando la riacquistò. La lunga lotta dei Fratelli contro il potere sovietico e la sua campagna contro i “banditi”, così come la possibilità di sopravvivere singolarmente per decenni in raggruppamenti più o meno esigui, fu possibile, tra le altre cose, grazie al fatto che quasi la metà del territorio estone è coperto da foreste.

 La narrazione si concentra sul periodo della prima metà degli anni 1940 e sui primi anni della decade 1960. Come nelle Vacche di Stalin e nella Purga, anche in Quando i colombi scomparvero ritroviamo il tema delle deportazioni di massa degli Estoni in Siberia – una delle conseguenze immediate dell’occupazione sovietica dell’Estonia del 1940, il cui preludio fu il patto di non aggressione tedesco-sovietico (Molotov-Ribbentropp) del 1939. Oksanen, tuttavia, questa volta si concentra sul rapporto contraddittorio dei Fratelli della foresta, così come degli altri abitanti estoni, con l’occupazione tedesca (1941-1944), che per pochi anni sostituì l’occupazione sovietica sottoforma del Commissariato Generale d’Estland. Suggestiva è la descrizione della speranza che l’arrivo dei tedeschi possa prevenire ulteriori aggressioni sovietiche: Le grida di gioia … la strada era occupata dalla Wehrmacht … le truppe ricoperte da una pioggia di fiori. Roland, come i suoi commilitoni, è molto scettico verso i Tedeschi e non fa nulla per nasconderlo: Dopo la vittoria di Sebastopoli, non c’erano più dubbi sul successo delle truppe tedesche, né sul fatto che soltanto loro avrebbero potuto salvarci da un nuovo terrore bolscevico. Ma le nostre truppe avevano fiducia in Churchill e nella Carta Atlantica, che promettevano il ripristino dell’indipendenza dopo la guerra…  Niente lasciava presagire che i tedeschi avrebbero rispettato la nostra volontà se non sul piano dei bei discorsi. Roland è anche preoccupato per la sorte degli ebrei baltici, la cui sofferenza nei campi di concentramento estoni è sottolineata nel romanzo: Che i tedeschi abbiano già fatto agli ebrei qualcosa del genere che i russi hanno fatto a noi? Chi prende esempio da chi?

I passaggi narrati da Roland, tuttavia, vanno gradualmente riducendosi, mentre aumentano quelli in terza persona esposti secondo il punto di vista di Edgar Parts, cugino di Roland, verso il quale il lettore viene orientato sempre più. Così come per l’Hans della Purga, anche per Roland la caratteristica principale è l’idealismo, una intransigente devozione alla patria estone e all’idea della resistenza contro il terrore sovietico. Una devozione ugualmente diretta e assoluta è quella per l’amata Rosalie e per il desiderio di scoprire il suo assassino; questa ricerca insinua nel romanzo anche una trama criminale, che viene svelata soltanto all’ultima pagina.  Da questo punto di vista Roland, il cui nome rimanda direttamente a un eroismo mitico, è una figura alquanto unidimensionale. L’incoerente Edgar è la sua antitesi diretta, e gradualmente comincia ad apparire come una perfida personificazione del male. Dopo l’addestramento in Finlandia e una breve e fallimentare partecipazione alle azioni dei Fratelli della foresta, quest’ultimo fa esperienza sia con gli occupanti bolscevichi sia con i nazisti, aiutandoli a far funzionare i loro campi di concentramento, sopravvivendo con successo all’esilio in Siberia e finendo per diventare un diligente e minuzioso collaboratore del Segretariato durante il regime totalitario in Estonia. Questo “tipo” di camaleonte senza spina dorsale viene descritto attraverso le metamorfosi non soltanto fisiche di Edgar, ma anche, ad esempio, attraverso l’uso delle varie identità che  assume mentre è al servizio di diversi poteri, regimi ed ideologie.

Come Aliide nella Purga, anche Edgar è lo studio di una persona che vuole sopravvivere in tutte le circostanze; nel suo caso, tuttavia, non è soltanto una pura questione di sopravvivenza. Il talento per la contraffazione e per il ruolo di informatore lo predispongono ad una carriera di successo sotto tutti i regimi politici. Un’ambizione e una megalomania morbose spingono Edgar-Eggert a prender parte in atti il cui orribile ricordo cercherà poi di sopprimere, rifiutandosi di riconoscerli; soltanto occasionalmente riemergono, come un ferro caldo, dalla memoria o dal subconscio, immagini che tenta di rimuovere con tutte le sue forze. Ben presto, però, a queste si sovrappongono considerazioni più pragmatiche. Sintomatica, in questo senso, è la tragica storia del matrimonio insoddisfatto di Edgar, raccontato nelle sue fasi iniziali dal punto di vista della moglie Juudit, il principale personaggio femminile del romanzo, il cui nome biblico suona amaramente ironico. Juudit considera la sua disgrazia una grande ingiustizia del destino, cui cerca di trovare un indennizzo. Nei passaggi degli anni 1960, a parte una battuta, non troviamo però la voce Juudit; nel totalitarismo consolidato (durante il quale appaiono solo sporadici barlumi di speranza, sotto forma di attività di gruppi di dissidenti e di studenti) domina la prospettiva del compagno Parts, il quale sembra incapace di un rapporto emozionale anche nel contesto del suo orientamento sessuale. La vita dei coniugi, nella menzogna e nel sospetto reciproci (se anche la moglie fosse incaricata di sorvegliarlo?) è l’immagine di una società totalitaria in miniatura, ben nota anche da altri contesti.

Uno degli aspetti più interessanti delle opere Sofi Oksanen è la loro ricezione internazionale. Per i lettori cechi, ad esempio, nel caso di Quando i colombi scomparvero, si offre il confronto con l’esperienza ceca dei due regimi totalitari. In Finlandia e in Estonia è tradizionalmente sullo sfondo – o meglio, in primo piano – della ricezione delle opere l’identità finno-estone di Sofi Oksanen, identità che rappresentava il tema centrale delle Vacche di Stalin. Il delicato tema del rapporto con la Germania nazista è attualmente un tema comune a diversi romanzi storici finlandesi, e il modo in cui la Oksanen lo concepisce trova un’eco anche in Finlandia. La situazione finlandese era paragonabile a quella estone nel periodo a cavallo tra gli anni  1930 e 1940, per la percezione diffusa della grave ed imminente minaccia di aggressione da parte dell’Unione Sovietica. Tuttavia, i Finlandesi si opposero all’attacco sovietico nella loro leggendaria Guerra d’Inverno (1939-1940) e la resistenza armata, nonostante la grave sconfitta, si dimostrò essere la strategia giusta. In Finlandia,Quando i colombi scomparvero potrebbe essere letto anche come un confronto tra l’esperienza di guerra estone e quella finlandese tra i due aggressori. Il destino dell’Estonia è sempre stato per i Finlandesi un memento di cosa sarebbe potuto accadere anche a loro. Oksanen non si lascia nemmeno in questo caso sfuggire l’occasione di colpire gli ex-stalinisti finlandesi, il cui comportamento sorprende anche Edgar Parts: … il movimento occidentale in difesa della pace trovava sempre più informatori utili, e là non sembrava che ci fossero i problemi riscontrati qua. Il loro entusiasmo era stupefacente, e non si facevano nemmeno pagare.

A Tallinn

La ricezione della Purga, estremamente positiva in Finlandia, a parte la reazione dei già menzionati stalinisti, in Estonia ha avuto una eco più variegata, passando da reazioni di entusiasmo quasi adorante (perché un romanzo tanto importante non è mai stato scritto in Estonia?) ad aspre critiche, accuse di calcolo e successiva messa in discussione di diversi aspetti della conoscenza della scrittrice della storia dell’Estonia, così come della sua concezione globale. In relazione alla traduzione in estone dei Colombi, il traduttore ha dichiarato che durante il suo lavoro, per sicurezza, ha verificato la precisione dei dati storici al fine di evitare eventuali critiche da parte degli esperti estoni. “La fedeltà della storia”, “la distorsione della storia”, “la (im-)probabilità degli eventi rappresentati” – questi termini e modalità di valutazione sono più che frequenti in sede di esame dei romanzi storici, e la ricezione dei romanzi di Sofi Oksanen non può sfuggire a un simile trattamento. Naturalmente, eterna rimane la questione se la letteratura possa essere “solo” letteratura, in che misura la licenza poetica e letteraria giustifichi un trattamento un po’ più libero delle fonti archivistiche e dell’altro materiale storico e in quale misura la verità storica sia relativa. La pubblicista estone I. A. Masso nel suo contributo al volume  Tutto era dovuto alla paura. Come L’Estonia ha perso la sua storia e come recuperarla (2009) ricorda che l’Estonia ha riacquistato l’indipendenza nel periodo in cui era di moda sottolineare la morte delle grandi narrazioni e la relatività di ogni verità. Per gli Estoni (e naturalmente non solo Estoni), che nei primi anni 1990, dopo mezzo secolo di sovietizzazione, ebbero di nuovo la possibilità di iniziare a cercare ed articolare la verità sulla propria storia del XX secolo, questa tendenza era e rimane abbastanza problematica. Anche se i ricercatori hanno mappato sufficientemente le esperienze delle vittime del regime sovietico, la relativizzazione delle loro storie è cosa quotidiana – non a tutti fa comodo una tale  testimonianza. L’Estonia deve tuttora fronteggiare la versione storica che afferma come non vi sia mai stata un’occupazione degli Stati baltici.

 L’eterno tema della falsificazione della storia, del quale si occupa nel romanzo Edgar Parts nell’ambito delle sue ambizioni di scrittore, assume qui un significato di grande attualità. Certamente non a caso è possibile trovare materiali di ogni tipo su questo tema sul sito della LIKE, la casa editrice di Quando i colombi scomparvero. Tra le informazioni sulle figure e gli avvenimenti storici ai quali la Oksanen si è ispirata, troviamo anche un’intervista alla figlia di un combattente della resistenza estone, la quale da piccola, insieme alla madre, fu mandata dal padre in Svezia, per tenerle al sicuro. La figlia, diventata giornalista, in seguito scrisse un libro sulla sorte di suo padre, morto in combattimento. Nell’intervista la figlia ricorda come da giovane, durante la Guerra fredda, abbia ricevuto un articolo del giornale estone Kodumaa (La patria), citato anche nel romanzo della Oksanen, che il KGB inviava agli emigranti estoni. Nell’articolo, la propaganda estone-sovietica descriveva suggestivamente  suo padre come un sadico criminale di guerra e fascista, proseguendo nell’abitudine di designare ogni avversario del totalitarismo sovietico come “fascista”, senza la minima consapevolezza dell’importanza storica di questo concetto, o anche come “imperialista nazista” (l’assurdità di questa propaganda aveva provocato come reazione la banalizzazione dei crimini nazisti, così come la propaganda anticomunista in Occidente tendeva a sottovalutare i crimini del comunismo). Pur non credendo nemmeno una parola di ciò che leggeva in Kodumaa, la figlia del partigiano provò sensazioni terribili. Molti anni dopo, incontrò in Estonia l’autore dell’articolo ed ebbe prova della “banalità del male” faccia a faccia col giornalista in questione, quando alla domanda di come abbia potuto scrivere delle menzogne tanto aggressive ed odiose su suo padre questi rispose soltanto: “Allora si usava così.” Così si doveva scrivere.

Sofi Oksanen è interessata ai meccanismi psicologici connessi a questo genere di scrittura, non importa quanto imposti e motivati dall’avanzamento di carriera. Nel brano di Quando i colombi scomparvero che racconta le vicende del “processo creativo” di Edgar mentre lavora al libro che descrive i misfatti inconcepibilii crimini terrificanti ad opera dei malfattori estoni, siamo testimoni dell’estasi autoriale nella quale cade il compagno Parts, laddove si lascia trasportare dalla retorica della propaganda d’odio, resa magistralmente nella traduzione di Nicola Rainò. Questo piacere è intensificato dal piacere della fabulazione, che Parts prova anche nella creazione del mito di se stesso e nella trasformazione della propria storia di vita, che spera un giorno posa finire addirittura nei libri di testo. Il tutto è coronato dalla scelta di  indirizzare le sue menzogne e mezze verità sul cugino Roland, appropriandosi di alcuni atti commessi da quest’ultimo e facendolo passare nel suo libro per un sodale di Hitler, attingendo al diario di Roland il quale, invece, teneva questa sua testimonianza in modo che un giorno la verità potesse venir fuori.

Sofi Oksanen non è una storica, ma una letterata. Appartiene tuttavia a quegli autori che non si nascondono dietro il genere di narrativa da loro scelto, rinunciando alla responsabilità che comporta il fatto di scrivere di persone vere e di avvenimenti reali. In relazione al tema di Quando i colombi scomparvero, l’eventuale fuga da tali responsabilità assumerebbe dei connotati un po’ grotteschi. Nel suo ultimo romanzo, la Oksanen non regala nulla ai suoi lettori – il male e la menzogna sono meritatamente premiati e invano si attende un’esperienza catartica. Vale la pena di riflettere su una citazione dal libro del compagno Parts: Presto non ci saranno più testimoni oculari, saranno solo i libri a testimoniare di quel sadismo.

(Questa è una versione riveduta e aggiornata della postfazione “To byla taková doba” di Viola Parente-Čapková, pubblicato in Sofi Oksanen: “Čas ztracených holubic”, Odeon, Praha 2013, 307-313.)

Edizione originale: Kun kyyhkyset katosivat, Like 2012

Edizione italiana: Quando i colombi scomparvero, Feltrinelli 2014