Nell’area ristoro di Paasikivi-Opisto – il magnifico complesso scolastico dedicato allo studio della lingua finlandese –, su uno dei tavoli ai quali ci si lascia sopraffare dagli aromi del caffè servito al ristorante, c’è un puzzle di Venezia, uno di quelli da 2000 pezzi e che, nella fattispecie, riproduce lo scorcio che dà sulla Colonna del Leone in piazza San Marco. Una delle ragazze della scuola, il suo nome è Dumbass, si sedeva spesso a quel tavolo (uso il passato perché ormai il virus ci costringe a studiare da casa), e al puzzle si dedicava con una serietà, una frenesia tale, che sembrava dovesse ricomporci la propria vita: mossa da un’urgenza di completezza, dalla necessità di rimettere tutto a posto e il prima possibile, appariva sempre più infastidita da quell’ordine che tardava a tornare, e davvero sembrava ci proiettasse i propri tormenti, su quel mosaico! Gli altri ci passavano il tempo in modo distratto – tutti ci siamo seduti lì –, e lo facevano sorridendo, chiacchierando… Ma lei no: per lei era un lavoro rigoroso e ossessivo alla ricerca del tassello mancante, una seduta che la riconducesse al punto in cui deve aver cominciato a frammentarsi, a perdere i pezzi, a smettere di assomigliare all’immagine alla quale sentiva di dover aderire (curiosa coincidenza che il puzzle riproducesse proprio Venezia, città la cui “tristezza” sta nella condanna a perpetuare l’immagine che di lei ci si aspetta)