Il caso Svezia, tra agenzie statali e lezioni di democrazia

Le mie vicissitudini da italiano al confine tra Finlandia e Svezia

In questo periodo di pandemie mediatiche e virali, tutti hanno gli occhi puntati sulla Svezia. Unica in Europa, ha implementato una strategia di risposta apparentemente folle, ma che in realtà potrebbe avere molto più senso di tanti lockdown. In questo è stata guidata dall’epidemiologo capo del Folkhälsomyndigheten, l’Agenzia Pubblica per la Salute: lui si chiama Anders Tegnell, e la sua antipatia a pelle è forse superata solo dalla sua grande competenza tecnica ed autostima. Il governo guidato dal debole premier Stefan Löfven ha seguito per filo e per segno i dettami di Tegnell, e facendo tutto questo è riuscito a dare anche lezioni di democrazia al resto del mondo, Finlandia compresa.

Tutto questo sembra assurdo, se si guarda al contesto politico. La Svezia è guidata da un governo di minoranza, composto da una raffazzonata coalizione di Verdi e Socialdemocratici, che hanno appena un terzo dei voti parlamentari, e che contano sull’appoggio esterno di due altri partiti, quello di Centro e quello Liberale per convertire in legge i propri decreti. Questo appoggio si basa su un contratto di governo, che impone ai due partiti esterni di non votare la sfiducia a patto che vengano approvate una serie di riforme, principalmente di carattere fiscale ed economico.

La Svezia non ha una legge emergenziale come la valmiuslaki finlandese (lo stato di emergenza dichiarato il mese scorso), e quindi il governo, anche in questi giorni di gestione della non facile situazione pandemica, ha dovuto comunque seguire un iter parlamentare ordinario per l’approvazione di tutti i decreti che hanno proposto. Un tentativo di prendere poteri straordinari è stato in verità fatto, ma è miseramente naufragato dopo che tutti, dai partiti alleati all’opposizione, hanno levato all’unisono gli scudi contro il tentativo di Löfven di acquisire poteri speciali. Non ci sono, dicono tutti in coro, le condizioni per adottare una legge emergenziale, e l’iter dell’apparato democratico svedese deve essere rispettato.

Del resto la Svezia è uno dei Paesi che hanno risposto all’emergenza con maggiore prontezza.
Dal punto di vista epidemiologico, l’obiettivo non è molto diverso da quello degli altri Paesi: si tratta di avere un numero tale di contagi che non metta in crisi il loro sistema sanitario. Ma loro lo stanno facendo in maniera radicalmente diversa: da una parte hanno emanato una serie di raccomandazioni per proteggere le categorie a rischio (principalmente, gli anziani); dall’altra, vogliono far sì che più persone possibile nel resto della popolazione, che è a bassissimo (se non nullo) rischio di conseguenze gravi, si infetti e faccia il suo decorso, in modo da non essere più contagioso nel breve termine e in modo che gli svedesi a rischio possano tornare ad essere sociali nel più breve tempo possibile, magari già in estate.

Il primo ministro svedese Stefan Löfven e l’epidemiologo di Stato Anders Tegnell. foto omni.se

In sostanza Tegnell e Löfven cercano di gestire l’epidemia e minimizzare per quanto possibile l’impatto sulla loro struttura produttiva (anche se sanno bene che il blocco è globale, quindi ne risentiranno le loro aziende, specie quelle che esportano). E qui viene fuori la parte economica, che, al contrario di quella finlandese, centrata sulle garanzie e sui contributi a fondo perduto, è fondata su misure che incentivano le aziende a mantenere il loro assetto produttivo, molte di esse implementate attraverso Tillväxtverket, un’altra agenzia statale, responsabile per la crescita economica: la cassa integrazione a ore è pagata dallo stato fino al 60% del salario, un’ottima misura per tenere le persone a ritmo ridotto; la malattia viene pagata dallo stato fin dal primo giorno, e per le prime tre settimane non si deve ottenere il certificato medico (misura concepita per non sovraccaricare i centri medici per semplici ricette); le scadenze fiscali sono tutte prorogate fino al 2021 (addirittura è previsto un rimborso di quanto già pagato nei primi mesi del 2020), e la Riksbank (la banca centrale che stampa moneta – la Svezia ha la sua valuta) ha pompato 500 miliardi di corone (circa 45 miliardi di euro) di liquidità nel sistema per garantire la continuità dei prestiti bancari; lo stato si erge a garante fino al 70% per prestiti finalizzati agli investimenti e trasferisce fondi agli enti locali per gestire al meglio l’impatto economico. Molti comuni, tra cui Haparanda, hanno già annunciato l’estensione di tutte le scadenze di pagamento di tributi e servizi locali.

Questa linea strategica su due fronti trova la maggioranza degli svedesi favorevoli, e il supporto popolare per il debole governo Löfven II sta aumentando a vista d’occhio. In parte questo è un fenomeno noto: in tempi di crisi lo spirito di attaccamento alla nazione spinge molte persone a giudicare favorevolmente il proprio governo, anche in presenza di errori (right or wrong, it’s my country).

Foto: Jonas Ekströmer / TT

Ma in questo caso c’è di più: gli svedesi hanno una struttura sociale e statale quasi unica al mondo, che permette al governo di basare i propri provvedimenti sulle indicazioni delle agenzie governative, evitando in questo modo di cadere vittima delle pressioni politiche. Ad esempio, sulla reale efficacia dei provvedimenti di chiusura delle scuole non c’è consenso scientifico: se da una parte è indubbio che le scuole fungano da veicolo di contagio, è anche vero che la loro chiusura porta degli inconvenienti non da poco alle famiglie, dove i genitori devono lasciare il lavoro per seguire i figli (o, peggio ancora, affidarli ai nonni). In Svezia la chiusura della scuola avrebbe portato, tra le altre cose, una grave carenza di personale nel settore sanitario: ebbene, le hanno semplicemente tenute aperte, evitando difficoltà sia alle famiglie sia agli ospedali, che ringraziano.

C’è dell’altro: gli svedesi in media si fidano molto della macchina statale (di cui il governo è solo una piccola parte), quindi ai ministri basta impartire semplici consigli per avere un ampio seguito presso la popolazione senza dover ricorrere a misure draconiane come quelle viste in Italia e, sotto certi aspetti, anche in Finlandia.

Infine, ultimo ma non meno importante, gli svedesi rispettano le libertà individuali e credono che qualsiasi provvedimento che le violi sia da considerare solo quando tutte le alternative sono esaurite.

In tanti si sono chiesti in questo periodo: e se avessero ragione loro? O invece no? È presto per dirlo, ma nei prossimi giorni potremmo avere una risposta.

Haaparanta. l’IKEA vista dal confine finlandese

(Sulla sensazione di angoscia vissuta a Haparanta, sulla “città spaccata in due”, si può leggere il report di Pekka Juntti sul sito della Yle. )

Foto del titolo Alexander Mahmoud, da dn.se