La Svezia e le bufale di sistema

In questo periodo di pandemie mediatiche e virali, gli occhi continuano ad essere puntati sulla Svezia. Guidata dall’epidemiologo Anders Tegnell, capo del Folkhälsomyndigheten, l’Agenzia Pubblica per la Salute, si ostina a non voler dichiarare un lockdown, al contrario di praticamente ogni paese europeo, Bielorussia a parte. Ora che il picco sembra essere stato raggiunto, almeno nella regione di Stoccolma (di gran lunga la più colpita dall’epidemia di CoViD-19), la Svezia è diventato il nemico da combattere, con tutte le forze. Il regime mediatico ci sta riuscendo benissimo, con forze dispiegate in massa contro l’unico obiettivo, il paese che, a conti fatti, potrebbe dimostrare al mondo che certe decisioni di blocco totale, prese con la pancia e tardivamente, hanno in realtà portato più danni che benefici. È quindi importante screditare la Svezia, e quale strumento migliore delle bufale di sistema per farlo?

La mia Pasqua da frontaliero è funestata da una bufera di neve come non se ne vedevano da tempo. Il vento da sud, che noi affettuosamente chiamiamo la Bora Baltica, si è scatenato contro di noi, chiudendoci in casa per tutto il 12 aprile, con buona pace di chi parla di riscaldamento globale. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: quale giornata migliore per leggere i quotidiani? E qui arrivano le sorprese: passi per la Repubblica e il Corriere della Sera, che oramai sembrano tornati indietro ai tempi dell’Istituto Luce; ma trovare un articolo contro la Svezia nientepopodimeno che sul Foglio mi ha fatto trasalire. Il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, che privilegia gli editoriali alla cronaca, mi è sempre piaciuto per la sua capacità di ospitare voci diverse. Quella di Sofri non è forse la più neutrale, ma è proprio da lui che si leva il drammatico titolo: “All’inizio spavaldi, ora selezionano i pazienti: il tragico errore della Svezia”.

Ohibò: che sia davvero successo qualcosa che qui dal confine non abbiamo intuito?

Del resto la regione del Norrbotten, con poche decine di casi, più che dal nuovo coronavirus è movimentata dagli isterici tentativi di chiusura del confine da parte del governo finlandese. Non sono riusciti a chiudere il confine, ma sono riusciti benissimo nell’intento malcelato di scombinare la vita di diverse migliaia di persone da ambo i lati del fronte occidentale.

Il tutto ovviamente senza riuscire a fermare il contagio: infatti, la zona sanitaria di Länsi-Pohja, che riunisce i comuni della Lapponia marittima (più Ylitornio e Tervola) e fa capo all’ospedale di Kemi, ha il maggior numero di casi per abitante dopo Uusimaa.

Andiamo allora a vedere di che si tratta: sulla pagina Facebook personale (ma perché non in quella istituzionale?) di Pier Luigi Lopalco, epidemiologo, si legge uno scoop: pare che l’ospedale del Karolinska Institutet, una delle più prestigiose università mediche al mondo, con sede a Solna, nei pressi di Stoccolma, abbia pubblicato un documento interno che informava lo staff dei criteri di ammissione dei pazienti nelle terapie intensive. Il documento è reperibile facilmente online, grazie alla soffiata del tabloid Aftonbladet. Lo riportiamo qui sotto nella versione pubblicata.

il post di Pier Luigi Lopalco su Facebook

Risaltano i suoi commenti, di cui estrapolo una parte significativa: “Le regole per ammettere un paziente in terapia intensiva sono ferree: se hai più di 80 anni, o se hai fra 60 ed 80 anni ma hai più disfunzioni d’organo non entri in terapia intensiva”.

Ora, Lopalco sarà anche bravo come epidemiologo, e sicuramente mastica lo svedese avendo lavorato a Stoccolma, ma forse non è andato troppo a fondo nella lettura. Lo aiutiamo. Nell’introduzione del documento c’è scritto che non si fa altro che riportare le istruzioni contenute nell’informativa nazionale prodotta qualche giorno prima da Socialstyrelsen, facilmente reperibile online a questo indirizzo:
https://www.socialstyrelsen.se/globalassets/sharepoint-dokument/dokument-webb/ovrigt/nationella-prioriteringar-intensivarden.pdf

Questa informativa fa luce sui criteri etici e medici da adottare nel caso in cui ci si trovi di fronte a squilibri eccezionali tra domanda e offerta di trattamenti di terapia intensiva. Il documento, che ha valore di raccomandazione e quindi deve essere applicato in tutte le strutture pubbliche e private, impone anzitutto l’aumento di risorse, ove possibile, e il trasferimento di pazienti, sempre ove possibile e sicuro, come prima misura da adottare nel caso in cui ci si trovi di fronte a squilibrio della domanda rispetto all’offerta. Nel caso in cui si presenti comunque uno squilibrio, e il sistema non riesca a soddisfare le richieste di ammissione in terapia intensiva, entrano in gioco alcune priorità, basate essenzialmente sul criterio che, in caso si sia costretti a scegliere chi curare, si deve privilegiare chi ha una maggiore aspettativa di vita. Ecco quindi che si parla di età biologica del paziente anziché di età anagrafica: un sessantacinquenne con quadro sanitario già gravemente compromesso potrebbe essere classificato a priorità più bassa rispetto a un settantenne senza problemi di salute pregressi.

Fioccano sulla bacheca di Lopalco i commenti riguardo ai cinici svedesi, razzisti e darwinisti, che sacrificano freddamente i loro anziani in nome di politiche che appaiono prive di qualsiasi fondamento di pietà cristiana.

Eppure, la realtà è ben diversa. Lo stesso, pressoché identico protocollo esiste anche in Italia, ed è consultabile online sul sito di SIAARTI.

Al di là delle URL implementate da cani, nel documento si leggono sostanzialmente le stesse raccomandazioni. Proprio come nel caso svedese, la selezione dei pazienti in ingresso secondo la loro età biologica è l’ultima carta, da giocare solo quando un’altra serie di misure non ha funzionato o non si può applicare.

Proprio così: lo stesso, pressoché identico protocollo è in vigore in Svezia e in Italia. Lopalco lo dovrebbe sapere – se così non fosse saremmo davanti a un caso di incompetenza intollerabile. Non so se preferisco pensare che di incompetenza non si tratti, perché a quel punto subentrerebbe la malafede.

Faccio chiarezza sulla situazione svedese con alcuni punti fermi.

Anzitutto, gli svedesi non sono mai stati spavaldi, anzi hanno iniziato a porre restrizioni molto forti sulla loro vita sociale; non hanno però fatto lockdown, misura in cui non credono e che i numeri, grazie proprio alla Svezia, stanno dimostrando serva a poco o nulla. Infatti, le statistiche di un paese molto simile come la Danimarca sono molto simili in termini di contagi e ricoveri, e differiscono solo nella mortalità, in quanto in Svezia, purtroppo, si sono infettate molte case di riposo, specie nei sobborghi più poveri di Stoccolma (lo stesso è successo anche in un caso in Finlandia, nel Savo meridionale).

Soprattutto, gli svedesi non hanno mai dovuto selezionare chi entra in terapia intensiva (lo ha dovuto fare, tristemente, la Lombardia, dove immaginiamo che i medici abbiano seguito proprio il protocollo SIAARTI). All’insorgere dell’emergenza, la Svezia, con un notevole investimento di risorse, ha triplicato i letti di terapia intensiva in poche settimane, e ha al momento oltre 700 posti in totale. I ricoveri attuali sono poco più di 400, stabili da diversi giorni, quindi il sistema è ancora molto capiente. Non risultano mancate ammissioni di pazienti date dall’applicazione delle raccomandazioni.

Foto de La Presse che accompagna l’articolo del Foglio

In sostanza, l’articolo di Aftonbladet non è uno scoop ma una mezza bufala, in quanto riporta l’ovvio, consultabile da tutti online e in maniera aperta. La bufala vera l’ha pubblicata Lopalco. Lui, Sofri e gli editori del Foglio dovrebbero chiedere scusa alla Svezia. A loro scusante, c’è da dire che lo fanno per tirare a campare. Ragionare al giorno d’oggi non paga se il risultato del ragionamento va contro le politiche adottate.

(Foto del titolo gb.se)