Juhani Ahvenjärvi
Tampere 1965 –
È una delle personalità più singolari del gruppo di poeti finlandesi che, nati negli anni 1960, debuttarono negli anni 1990, e la cui produzione può essere definita la terza “età dell’oro” della poesia in lingua. Poesia che ha vissuto un primo periodo di splendore nel periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo, grazie soprattutto al poeta neoromantico Eino Leino (1878-1926), capace di elevarne la qualità estetica a livelli paragonabili a quelli delle altre nazioni europee, fondendo appunto la grande tradizione europea, con quella piccola (ma floridissima) finlandese della poesia orale. Una seconda “età dell’oro” della poesia in lingua finlandese fu espressa soltanto dopo la seconda guerra mondiale, grazie al cosiddetto modernismo di lingua finlandese, che si ispirava sopratutto all’imagismo anglosassone. L’attività letteraria di Eeva-Liisa Manner (1921-1995), Paavo Haavikko (1931-2008) e Pentti Saarikoski (1937-1983) portò una vera “rivoluzione della lingua poetica”, già riscontrabile nei testi dei poeti finnosvedesi, grazie soprattutto a Edith Södergran (1892 – 1923). La lingua veniva adesso esaminata come strumento di potere e razionalità e, allo stesso tempo, ne venivano esplorate le capacità magiche e musicali.
Così come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi coetanei, anche Ahvenjärvi dichiara esplicitamente l’influenza dei modernisti degli anni ’50 sulla sua poetica, anche se, allo stesso tempo, bisogna sottolineare come l’autore sia uno dei pochi a sviluppare questa ispirazione in maniera originale e innovativa. Sembra che nella poesia finlandese sia difficile parlare di postmodernismo quando si considerano le opere dei poeti attuali; la critica sembra essere unanime nel rilevare come il conflitto tra modernismo e postmodernismo non sia qualcosa di realmente presente in una tradizione scritta così relativamente giovane come quella finnofona.
Molte correnti dell’avanguardia della prima metà del Novecento, e che nel periodo di fioritura nelle altre letterature europee non trovarono adeguata risonanza in Finlandia, entrano nella poesia scritta in lingua finlandese soltanto dopo la seconda guerra mondiale in varie mutazioni, ad esempio dadaismo e soprattutto surrealismo, una delle fonti d’ispirazione più forti per Ahvenjärvi (anche se la sua ispirazione può essere fatta risalire anche al surrazionalismo).
L’umorismo nero, il gusto per l’assurdo e il nonsenso, l’animazione degli oggetti inanimati e la “disanimazione” degli esseri animati, le immagini forti e suggestive espresse con un linguaggio perfidamente semplice, le ministorie grottesche con svolte sorprendenti, uno sguardo critico verso la società e la cultura – queste sono alcune delle strategie usate da Ahvenjärvi e che possono essere ricondotte alle strategie delle correnti letterarie su menzionate. Come nei suoi colleghi, i quali durante gli anni 1990 fecero parte del circolo sorto intorno alla rivista Forza Giovane (Nuori Voima), fondando anche il Club dei poeti vivi (Elävien runoilijoiden klubi, il cui nome è un chiaro riferimento al titolo inglese del film L’attimo fuggente – Dead Poets’ Society), anche in Ahvenjärvi è possibile trovare molta ironia, caratteristica questa abbastanza rara nella letteratura finlandese. E, come altri “poeti-attivisti” della sua generazione, anche lui è conscio della sua attività, riflettendone il processo creativo in vari saggi, dove commenta anche la sua poetica, oltre a trasmettere la sua concezione di poesia e letteratura come insegnante di creative writing. Alla stregua degli altri protagonisti della generazione della “terza età dell’oro” (che include ad esempio Helena Sinervo, Jouni Inkala, Annukka Peura e Tomi Kontio), anche Ahvenjärvi è diventato un ‘classico vivente’, che fa parte dell’establishment letterario finlandese, anche se, essendo rimasto fedele alla sua città natale, Tampere, è meno visibile e presente dei suoi colleghi che vivono a Helsinki.
Fin dall’esordio nell’antologia Gruppo 92 (Ryhmä 92), sono evidenti i tratti di base della sua poesia, tratti che continuano a svilupparsi anche nelle raccolte successive. Sempre del 1992 è la sua prima raccolta, Trotto (Hölkkä), dove già emergono i succitati toni surrealisti e dadaisti. I suoi testi, però, non sono soltanto eco tardive di questi movimenti dell’avanguardia prebellica europea, ma le sue dimensioni esistenziali e sociali, a tratti anche tragiche, suggeriscono implicitamente una fonte d’ispirazione molto più ampia. Le sue assurde ministorie poetiche sono caratterizzate da una semplicità espressiva e da una chiarezza sintattica che contrastano con quello che viene tradizionalmente definito ‘contenuto’. “A Helsinki e a Tampere, il pubblico scoppia in fragorose risate a metà di una sua poesia, ma quando è finita le loro facce si fanno serie oppure manifestano una certa confusione o perplessità”, così Riina Katajavuori, una poetessa finlandese sua coetanea, caratterizza la tipica reazione che suscita il poeta durante i suoi recital. E la stessa scrittrice confessa di provare sentimenti simili: “Non posso dire di conoscere davvero Ahvenjärvi, anche se qualche volta siamo andati a bere insieme. Non so cosa gli passi per la testa né perché scriva in maniera talmente inusuale”.
Secondo Ahvenjärvi, nella raccolta Trotto la sua ricerca si incentrava soprattutto su un linguaggio che fosse conscio di sé e capace allo stesso tempo di esprimere la realtà extralinguistica. I testi delle sue raccolte successive, Un sogno a righe (Viivoitettu uni) del 1996 e Della bontà del caffè (Kahvin hyvyydestä, 1997), testimoniano la continua ricerca di nuove possibilità espressive. Il titolo della raccolta Un sogno a righe indica di nuovo ispirazioni surrealiste, modificate, però, dall’interesse e dall’indagine quasi ossessivi sulla possibilità di comunicazione. In Della bontà del caffè una sezione è dedicata ai saggi, nei quali Ahvenjärvi analizza la propria poetica, commenta la raccolta precedente e dialoga con i critici letterari. Come dimostrano sia le poesie sia i saggi, Ahvenjärvi è affascinato dal concetto di immagine poetica e dalla possibilità di una sua rivalutazione e adattamento al mondo reale, nel quale si muove il lettore della poesia contemporanea: “Credo che la poesia sia la più visiva di tutte le arti. Ora, quando la poesia viene pubblicata nella cultura che visualizza l’esperienza prima che l’esperienza abbia luogo, penso che sia più che evidente come il semplice messaggio dell’immagine poetica, basata sull’esperienza, non funzioni come dovrebbe. I lettori non sono essenzialmente differenti da prima, ma la loro ricettività lo è.” In Un sogno a righe, Ahvenjärvi cerca di creare, attraverso la sua espressione minimalista, una sorta di “lingua autistica”, il linguaggio di qualcuno che ha ormai abbandonato l’idea della possibilità di comunicazione. La materialità della lingua si fonde con la ‘linguisticità’ della realtà materiale. Cercando di negare completamente l’indipendenza dell’immagine poetica, Ahvenjärvi offre un commento provocatorio alla tradizione del modernismo finlandese postbellico.
Nel 1998 Ahvenjärvi ha partecipato, insieme a Panu Tuomi, alla redazione dell’almanacco del Club dei poeti vivi, MOT MOT. Verso la fine degli anni ’90, però, il periodo di collaborazione più stretta tra i “poeti vivi” che gravitavano intorno a Forza giovane andava esaurendosi e sia l’almanacco del Club sia la rivista sono passate nelle mani della generazione successiva. Dopo il 2000, Ahvenjärvi ha continuato la sua produzione, numericamente ridotta ma sempre accortamente meditata. Nel 2005 pubblica Yhä kiihtyvä tauko (Una pausa in continua accelerazione, 2005), dove Ahvenjärvi si pronuncia nelle vesti di patriota di Tampere: le allusioni alla città, presenti anche nelle raccolte precedenti e successive, compongono questa volta un’intera sezione. Nelle poesie si fondono alcune delle sue strategie tradizionali (anche attraverso momenti intertestuali, iniziando dal titolo, che richiama la raccolta Trotto) con dei momenti sorprendenti e almeno in parte nuovi, spesso umoristici, accentuati da rime, giochi ritmici, giochi di parole, ironia, ma anche profonda liricità. Tutte queste caratteristiche culminano nella breve sezione “Koiranputken neljä vuodenaikaa” (Le quattro stagioni del cerfoglio), una sorta di sintesi dell’espressione poetica e filosofica di Juhani Ahvenjärvi, che unisce temi personalissimi e sociali. Le piante del cimitero non esitano a parlare a se stesse, a farsi pubblicità ad alta voce davanti ai parenti del defunto, e, evocando l’atmosfera panteista dei cimiteri finlandesi, dove le tombe si fondono spesso con la natura, concludono:
“Quando ricordiamo l’esattezza e la quantità
di semi che spira attraverso noi,
arrossiamo di compiacimento:
dappertutto l’anima
di sorbe riconoscenti”
Le sue ultime raccolte, L’ombra del gesso (Liituvarjo, 2010), La vista aerea tocca ogni ramo (Ilmakuva osuu joka oksaan, 2014) e Il beluga con la pancia piena di mandarini (Maitovalas vatsa täynnä mandariineja, 2018) testimoniano la continua ricerca di nuove possibilità espressive, così come di nuovi approcci nel rapporto autore-lingua.
Poesie
Il collegamento con l’assassino è interrotto
già prima che lui compia il suo gesto.
Rimetto a posto la cornetta; è nera,
pesante, burrascosa come gli anni ‘40.
Inizio a bere il caffè in un modo nuovo,
lo bevo prima che finisca.
Un sogno a righe (Viivoitettu uni, 1996)
Neppure tu sei nata bambola
sei solo cresciuta come tale
quando il gioco non cessò
di commuovere
Della bontà del caffè (Kahvin hyvyydestä, 1997)
Cos’altro dire delle parole
se non che ce ne sono molte nell’aria.
Lo scampanio del campanile ne spezza le punte
e noi siamo alla fine.
Al caldo d’agosto
nel silenzio del cimitero,
mi succhi dalle ferite
il sangue morto.
Colpiteci adesso,
che conosciamo soltanto il sapore del ferro,
le nostre braccia sono
la fonderia della prima pietra.
Un sogno a righe (Viivoitettu uni, 1996)
Il fioraio incarta i tulipani nel giornale di Turku
mentre l’irruente luce pasquale riempie le vie.
Zattere di nuvole alla deriva, porzionate
come uova nell’insalata nizzarda della formica
Il beluga con la pancia piena di mandarini (Maitovalas vatsa täynnä mandariineja, 2018)
Siedo al cinema.
Accanto a me su entrambi i sedili abbassati
della carne di balena impilata la cui puzza mi fa star male.
Mi alzo e aspetto che la carne mi faccia passare,
ma non succede niente. Assente anche il fruscio
delle carte delle caramelle, le grida che mi ordinerebbero
di abbassare la testa: i posti sono esauriti
tutti venduti a della carne grigia e immobile. Comincio a fischiare
e ad applaudire, a piangere e a ridere solo per dimostrare
di essere vivo. Capisco: tra tutta quell’insensibilità
anche le cose spiacevoli possono indicare
che l’uomo ha trovato il suo posto
Trotto (Hölkkä, 1992)
Le quattro stagioni del cerfoglio
I.
Son pieno da scoppiare
di seme nero rinvenuto,
tanto che il primo mattino gelato
mi apre il gambo.
Sento piovere i miei semi
sulle foglie brinose.
E anche se felice
per aver assolto il mio compito,
devo ammettere
che per un seme
provo invidia, quello che schizzò
nella valvola della pompa della bici:
come dev’essere crescere nel vuoto
come una stella?
II.
A maggio dalla macchina delle pompe funebri
si deve ancora grattare via il ghiaccio.
Anche se ardiamo già come
il vetro latteo della porta della drogheria.
Arsenico, fosforo oppure
qualche ricetta di luce
finora sconosciuta?
Nell’iride del farmacista:
liquore alla menta
III.
Per conoscenza ai parenti:
prima di progettare
un mare di fiori per i vostri defunti
piantate noi nel vostro camposanto.
Precisi e accoppiati come
binocoli ci imprimiamo
sulla rètina dei vostri cari.
Scegliete noi per la tomba!
La visione a tunnel dei defunti
richiede proprio noi!
IV.
Quando ricordiamo l’esattezza e la quantità
di semi che spirano attraverso noi,
arrossiamo di compiacimento:
dappertutto l’anima
di sorbe riconoscenti
Una pausa in continua accelerazione (Yhä kiihtyvä tauko, 2005)
(Per le immagini pubblicate, siamo pronti a far fronte alla richiesta dei diritti)