È morto il 3 agosto a Latina, dove era nato nel 1950, Antonio Pennacchi. Leggere Canale Mussolini, essendo io nato in provincia di Verona, è stato per me un tuffo nella mia infanzia. La stessa lingua, gli stessi discorsi in famiglia, l’imbruttimento dell’individuo provato dal lavoro della terra, ma anche l’immensa tenacia del popolo Veneto, che sempre con il lavoro è riuscito a vincere la miseria bestemmiando, attaccato alle sottane dei preti.
Per due cose Antonio Pennacchi dovrà essere ricordato. Come intellettuale, per aver cercato di contrastare la sinistra fighetta, quella salottiera, ecologista-pauperista, in favore della sinistra operaia, legata all’industrializzazione e all’emancipazione dell’uomo dall’ineluttabilità del destino prescritto dal contesto nel quale si è cresciuti.
Quella delle sorti umane progressive, quella che ora dovrebbe pensare ad andare su Marte per capirci invece della fuffa ambientalista. Pennacchi, l’ultimo dei marxisti, l’ultimo intellettuale organico ad un partito che non c’è, in un mondo dove dove tutti vogliono pensare con la propria testa anche se vuota, liberi dalle ideologie. Un Bukowski italiano, con il quale non condivide alcol donne e scommesse sui cavalli, ma l’aver ottenuto il successo in tarda età, il lavoro operaio e l’ostilità verso gli pseudo-intellettuali.
La seconda è per aver offerto, con le sue opere e i suoi interventi, una lettura del fascismo finalmente autentica e descritta nei suoi archetipi. In Italia il fascismo è stato descritto in termini positivi, ovviamente dai post-fascisti, ma meno ovviamente dai “moderati” con il solito repertorio di: “ha fatto anche cose buone”, treni in orario, le pensioni. Tutte cose prive di fondamento storico, ma ormai entrate nel luogocomunismo dominante.
Poi c’è stata quella democristiana, basata sulla favola del popolo ingenuo ingannato dal carisma dell’uomo forte, quella revisionista delle ragioni dei vinti e infine quella patriotica, idealizzata e istituzionale. Giusta, ma che non spiega l’anomalia italiana, ovvero il motivo per cui fascismo e antifascismo in Italia sono ancora oggetto di dibatitto e non di analisi storica.
Scrive Pennnacchi in Canale Mussolini:
“Bisogna infatti sapere che il Duce all’inizio era contrario alle città. Non le poteva vedere. Lui era per il ruralismo e la deurbanizzazione. Il primo nemico da battere era l’urbanesimo, era quella la fonte d’ogni male: la gente lasciava le campagne dove aveva lavorato in pace senza dare fastidio a nessuno, e veniva in città a fare gli scioperati e i disoccupati, a ubriacarsi nelle osterie e – mezzi ubriachi – a parlare pure di politica. «Altro che urbanesimo» aveva detto Mussolini, «tutti in campagna li voglio, gli italiani» e aveva fatto pure chiudere per sicurezza venticinquemila osterie in tutta Italia. In quelle poche che aveva lasciato aperte, fece attaccare un cartello con tanto di marca da bollo: “Qui non si parla di politica”. E con questa fissa della ruralizzazione era andato avanti per una decina d’anni, dal 1922 che era salito al potere fino al 5 aprile 1932 che era salito col Rossoni e il Cencelli sul terrazzo del casale del Quadrato: «Fuori dalle città, via in campagna» aveva continuato per tutti quegli anni, «è questa la vera mistica fascista». “
In questa brano si possono cogliere le radici dell’antipolitica, del qualunquismo dominante, il mito del buon uomo, il disprezzo verso il tipo intellettuale e la civiltà intesa come stile di vita urbano, ma anche la mancanza di riferimenti culturali per chi a sinistra vorrebbe redimere gli elettori di Orbán, Trump o Salvini, con un po’ di cultura e un ritorno a consumi consapevoli, energia pulita, smartworking, agricoltura bio, senza mai menzionare la parola “fabbrica”.
Con Antonio Pennacchi finisce l’utopia dell’operaio filosofo, l’idea di essere popolari senza essere populisti e di essere elitari senza essere aristocratici.
Per me il ‘900 finisce oggi e se ne va un compagno che ha saputo mettere insieme l’alto e il basso, l’analisi storica, la visione d’insieme, l’umana pietas, perché “ognuno ga le so razon”, ma anche l’immancabile vaffanculo che il pseudo-intellettuale di turno puntualmente finiva per meritarsi.
Antonio Pennacchi (Latina 1950-2021), operaio fino a cinquant’anni, ha pubblicato per Mondadori i romanzi Il fasciocomunista, Mammut, Canale Mussolini (Parte prima, premio Strega, e Parte seconda), Il delitto di Agora, la favola nera danese Brutto gatto maledetto e i racconti di Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni.