Johannes Linnankoski (nato Vihtori Johan Peltonen, ad Askola, il 18 ottobre 1869 – scomparso a Helsinki 10 agosto 1913) è stato uno scrittore e drammaturgo che ha influenzato significativamente la letteratura finlandese all’inizio del Novecento.
Da giovane, per vivere, si dedicò alla traduzione e al lavoro editoriale, fondando il quotidiano Uusimaa nel 1894, finché non arrivò alla prima pubblicazione, nel 1903: l’opera teatrale Ikuinen taistelu (L’eterna lotta, 1903) che, così come tutte le sue opere future, fu pubblicata sotto lo pseudonimo di Johannes Linnankoski. Dramma di ispirazione biblica, riprendeva il tema dello scontro tra di Abele e Caino, simbolo dell'”eterna lotta” tra il bene e il male.
Nel 1905 pubblica il romanzo Laulu tulipunaisesta kukasta (Il canto del fiore rosso, 1905), che gli diede la fama. Il romanzo era ambientato nel territorio d’origine dell’autore, il villaggio di Vakkola nella parrocchia di Askola. Nell’opera, ha scritto Viola Parente-Čapková “si concilia il fascino per la rivolta nietzscheana con l’ethos edificatore nazionale e con l’idea dell’umiltà tolstojana.”
Il 1905 fu anche un anno di grandi scioperi e Peltonen si impegnò intensamente in attività sociali. Per un paio d’anni partecipò attivamente alle attività della Suomalaisuuden liitto (Lega per il finnismo) fondata nel 1906. Nel 1908 Peltonen pubblicò l’opera teatrale Kirot (Le maledizioni), in cui la narrazione delle origini della nazione finnica sono pretesto per un’allegoria degli “anni del gelo” (routavuodet, il più triste periodo della oppressione russa, dal 1899 al 1905).
All’inizio del 1908, Peltonen viaggiò in Europa con una borsa di studio della WSOY per visitare mostre d’arte, teatri e musei. Non appena tornato dal viaggio, iniziò a scrivere un nuovo romanzo, che fu pubblicato nel 1909 con il titolo Pakolaiset (Profughi , 1908), ispirata a eventi di cui fu testimone, è considerato una delle migliori opere di Linnankoski.
Alcune sue opere sono diventate film di successo, tra i quali Hilja, maitotyttö (La lattaia, diretto da T. J. Särkkä) e Laulu tulipunaisesta kukasta (diretto da Mikko Niskanen), soggetto ripreso poi anche in Svezia, in tre diverse versioni, dai registi Mauritz Stiller, Per-Axel Branner e Gustaf Molander.
In traduzione italiana esistono un paio di traduzioni, degli anni ’30:
Laulu tulipunaisesta kukasta in italiano col titolo Il canto del fiore rosso, traduzione di Oddo Ulpiani. Dapprima per la piccola casa editrice milanese Dauliana, fondata da Gian Dauli nell’aprile del 1929 nella collana “Ultra” che proponeva “grandi romanzi in formato tascabile”. Quindi nel 1932 per le edizioni Bietti.
Pakolaiset in italiano col titolo Fuggiaschi, traduzione di Evi-Elli Nyssölä e Giuseppina Ripamonti, per le edizioni Treves di Milano, 1936.
Qui di seguito vi proponiamo una nostra versione delle prime pagine di Pakolaiset, un testo praticamente introvabile in italiano, e per questo pensiamo di annoverarlo, almeno di fatto, tra gli “inediti” in attesa di un editore. Ecco l’incipit del romanzo.
I profughi
Pakolaiset, WSOY 1909
Il vedovo Juha Uutela era seduto al tavolo e passava gli ultimi colpi di rasoio, prima di metter via la lama e guardarsi allo specchio. Il volto si illuminò di un sorriso disteso.
“Come si ringiovanisce quando ci si rade!”, constatò tra sé. “Quasi non mi riconosco!”
Rimase seduto ad osservarsi.
“Le rughe? Be’, almeno non sono ancora i segni della vecchiaia”, pensò ancora, passando il dito sui solchi che partivano dalla radice del naso come per cancellarli. “Si vedono appena appena”.
Poi si alzò, la bocca sorridente e gli occhietti saggi che brillavano sotto la fronte ampia e le rughe pronunciate e benevole.
Si lavò la faccia e ripose gli utensili da barba nell’armadietto sulla parete.
“Vecchio?”, ghignò pettinandosi i capelli castano scuro, folti e lisci. “Un uomo così non sarà mai vecchio!”
A questo pensiero, si sentì ben dritto e pieno di vigore come un giovanotto.
Ma non si accontentò della semplice sensazione; volle anche vedersi tale. Varcò quindi la porta aperta entrando nella camera adiacente, e lì girò lo specchio sistemato sul comò, posizionandolo in modo da potersi vedere le spalle.
Il suo corpo tracagnotto era effettivamente ancora dritto. C’era già un solco piuttosto profondo all’altezza del collo, e il peso degli anni era appollaiato su quelle spalle rinsecchite, ma quello lui non poteva vederlo.
“Quanti anni mi darebbe chi non mi conosce?”, sorrise, soddisfatto di ciò che vedeva, tornando poi coi passetti brevi della sua età nello stanzone.
Lì giunto cominciò a guardare dalla finestra la natura primaverile, grigia sotto la neve ormai disciolta. Poi si ricordò perché si era rasato, e tutto il resto.
Era così immerso nei pensieri che non si accorse nemmeno quando la porta della stanza si aprì senza far rumore.
“Buongiorno, Juha!”, risuonò una voce familiare alla porta.
Uutela quasi sobbalzò.
“Buongiorno, sorella!”, rispose, con il sorriso ancora sulle labbra e gli occhi che brillavano quieti.
La sorella, tuttavia, rimase sulla soglia, guardandolo stupita.
“Be’, cosa c’è?”, si meravigliò Uutela, anche se gli era venuto da sorridere ancor più convintamente per lo stupore della sorella.
“Mi pare quasi di vedere… uno che va a sposarsi”, disse lei ridendo, andando a stringergli calorosamente la mano.
“Davvero? Così ti sembra?”, ridacchiò Uutela. “E come sai che non vado davvero a sposarmi?”.
“Ma davvero?”, fece la sorella inquietandosi. “È per questo che mi hai detto di venire, allora?”
“Su, dai!”, la tranquillizzò lui. “Chi di noi va a fare il caffè?”, fece poi cambiando scherzosamente discorso. “La stufa è ancora accesa”.
“Suppongo che dovrò farlo io”, rispose la sorella tutt’allegra, e andò subito a prepararlo.
Da parte sua, Uutela portò dentro altra legna, poi si sedette sulla panca cominciando a chiedere notizie, sempre con il sorriso sulle labbra e un tranquillo bagliore negli occhi infossati.
Deve esserci sotto qualcosa, pensava la sorella ogni volta che scrutava di sottecchi il suo viso.
“Mi sono davvero meravigliata”, cominciò lei prendondola alla larga, “che ti sia persino fatto la barba…”.
“Che farsene degli spelacchi invernali?”, ridacciò Uutela, ammiccando.
Deve esserci davvero qualcosa sotto, pensò, ma stavolta tornò a chiederglielo senza imbarazzo.
Uutela la guardò a lungo, un sorriso enigmatico sulle labbra. Poi abbassando la voce, con dolcezza ammise: “Sì, Carolina, è così; sto davvero pensando seriamente di sposarmi”.
Alla sorella cadde quasi di mano il coperchio della caffettiera.
“Non l’avrei mai immaginato”, le uscì di bocca.
“E nemmeno sperato, vero?”, le chiese un po’ piccato. Ma poi se ne dispiacque subito, e allora continuò amichevolmente:
“Ho già preso la decisione. Comunque sia, è un peccato che un estraneo riceva l’eredità, perché tra noi…”.
“Dio non voglia!”, esclamò la sorella. “Non attaccare discorsi del genere. A me non manca niente, ho più che abbastanza, ma…”, si interruppe incerta e prese a guardarlo in viso.
“Ma cosa?”
La donna, incoraggiata dal sorriso del fratello, mormorò: “Il fatto è che sei ormai così vecchio.”
“Vecchio?”, grugnì Uutela. “Non hai appena detto il contrario?”.
“Non per l’aspetto esteriore. Ma perché hai quasi settant’anni. E quando uno è stato sposato per quarantacinque anni, allora…”
“Può anche bastare, no?”, rise Uutela, con una voluta ambivalenza. Ma di nuovo si rammaricò di essersi lasciato trasportare da una battuta che non si addiceva a ua persona della sua età, e continuò più seriamente:
“Chi conosce i bisogni del suo prossimo? I bisogni possono essere diversi. E se io ora avessi un bisogno del genere, anche se tu non lo sai?”
“Hai ragione. Ho solo pensato che stessi bene, dal momento che avevi venduto la casa e deciso di trascorrere qui la vecchiaia. Hai denaro, beni, tutto quello che hai sempre voluto”.
A Uutela lampeggiarono gli occhietti.
“E se non avessi tutto quel che mi occorre? Se mi mancasse una cosa?”
La sorella lo guardò stupita. Non aveva mai visto gli occhi del fratello brillare in quel modo, né sentito la sua voce tuonare così dal petto.
“Sembra che tu di queste faccende non capisca un bel niente”, continuò lui, alzandosi e avvicinandosi alla sorella. Poi la fissò dritta negli occhi, e le chiese, con voce bassa, in maniera confidenziale:
“Tu pensavi veramente che Maija buon’anima con la sua stamberga di Lumikangas sia stata la prima su cui avevo messo gli occhi?”
“Sì, io…”
“Non era così, allora avevo messo gli occhi su qualcosa di meglio!” Rimase in silenzio per un istante, poi le narici cominciarono a fremergli. “Come ricorderai, lavoravo dagli Anttila… E finii per dormire accanto alla sua unica figlia, sotto la stessa coperta. Ma quando iniziai a proporle di stare insieme anche di giorno, ecco che presero a considerarmi una canaglia di bracciante. Capisci ora?”
La sorella sembrò cadere dalle nuvole mentre lo guardava e ascoltava:
“Non mi hai mai detto niente di tutto questo”.
“Ma quando mai uno può raccontare tutti i fatti suoi! e poi credevo che avessi capito. Sì, a quel tempo io porcoddio…”
“Non bestemmiare!”, l’interruppe la sorella.
“Sono affari miei! Allora giurai che un giorno avrei mostrato a tutti i figli e le figlie dei padroni, a tutti quelli legittimi, chi è davvero quella canaglia di un bracciante.”
Ora c’era una luce negli occhi di sua sorella, perché c’era un punto nelle parole del fratello che toccava anche lei.
“E dopo?”, lo esortò.
“Poi sposai Maija, e presi possesso di Lumikangas, anche se Maija aveva dieci anni più di me. Be’, una brava persona, come sai, gran faticatrice. E fu allora che cominciai a fargliela vedere, io. Lo sai, no, come comprai Lumikangas trasformandola in una fattoria. Un lavoraccio, Carolina! Il calderone col distillato a ribollire giorno e notte, e io stesso andavo a vendere il liquore a Turku e a Pori, e le lunghe notti d’inverno nel bosco a segare gli alberi per farne assi, alla luce fioca di qualche ciocco fiammeggiante – in quegli anni, non passai tante notti accanto a Maija buon’anima. E poi, quando comprai la fattoria di Perttu, sai quale fu il mio primo pensiero? Allora, tu figlia di Anttila, e il resto di voi, pensai, cosa direte ora di quella canaglia di bracciante? E quando divenni il padrone della fattoria di Uutela, be’, tu figlia unica di Anttila e voi altri, pensai, ora la canaglia di bracciante vi farebbe comodo, no?”
La sorella aveva sempre considerato suo fratello qualcosa di speciale, ma ora non sapeva cosa pensare.
“Alla fine sei sempre tu, Juha!”, disse guardandolo ammirata. “Hanno avuto quel che si meritavano, per quel “canaglia”.