L. Onerva: Mirdja, storia di una Don Giovanni

Prima edizione italiana del celebre romanzo

L. Onerva (1882 – 1972) è stata scrittrice, traduttrice e mediatrice culturale, con forti interessi nel campo delle arti figurative. La casa editrice Vocifuoriscena ha appena pubblicato nella traduzione italiana di Marcello Ganassini il suo celebre romanzo Mirdja (Otava, 1908).

La protagonista è insieme una musa, prova un piacere narcisistico nell’essere oggetto delle attenzioni degli uomini, ma allo stesso tempo, si sforza di raggiungere una posizione indipendente come artista creativa. Mirdja è anche la storia di una donna dallo spirito libero che si trova ad affrontare il dilemma della scelta tra il perseguire uno stile di vita non convenzionale e il conformarsi alle aspettative sociali sui ruoli tradizionali delle donne.

Pubblichiamo di seguito, con l’autorizzazione dell’editore, il profilo biocritico che arricchisce l’edizione a firma di Viola Parente-Čapková.

La ricerca del nuovo in un mondo decadente

È una triste verità che le opere letterarie scritte in una lingua “piccola” possono entrare solo molto raramente nel più ampio canone letterario. Nel caso di Mirdja di L. Onerva, l’emarginazione è stata molteplice: il romanzo in lingua finlandese di una scrittrice di tipo decadente, genere che sembrava essere riservato ai soli uomini, da Paul Verlaine a Oscar Wilde, non era di certo qualcosa con cui sperare di acquisire una certa fama, nemmeno nel paese dell’autrice. Ci sono voluti molti decenni prima che la ricezione di questo romanzo in Finlandia diventasse più favorevole, e ciò grazie alla critica letteraria femminista degli anni Ottanta e Novanta, così come alle nuove ondate di interesse per la letteratura a cavallo tra il XIX e il XX secolo. All’inizio della terza decade del nuovo millennio, possiamo finalmente accertare l’entrata dell’opera nel canone letterario finlandese e, attualmente, la sua traduzione in diverse lingue.

L’autrice del romanzo, L. Onerva (vero nome Hilja Onerva Lehtinen, 1882-1972), è stata una poliedrica personalità letteraria, le cui opere spaziano dalla poesia alla prosa, dal teatro alla saggistica, dalla critica d’arte alla traduzione. Nacque a Helsinki nel 1882 (lo stesso anno di Virginia Woolf) come unica figlia nella famiglia di Johan e Serafina Lehtinen; i due figli precedenti dei Lehtinen erano morti prima di compiere un anno. Johan aveva lavorato come impiegato, e successivamente come supervisore in una segheria di Kymi. La malattia mentale della madre, che portò al suo lungo ricovero in vari ospedali quando L. Onerva aveva solo sette anni, fu un enorme trauma che segnò tutta la vita e il lavoro dell’autrice. Riuscì, comunque, a stabilire uno stretto legame con la nonna e, naturalmente, con il padre che incoraggiò gli studi della figlia e lo sviluppo del suo multiforme talento, che includeva la letteratura, la musica, l’arte visiva e la recitazione. L. Onerva frequentò la scuola femminile a Helsinki, con l’intenzione di diventare insegnante. Pur considerando la carriera di attrice, nel 1902 iniziò a studiare all’Università di Helsinki (a quei tempi, chiamata Università imperiale alessandrina di Finlandia) come una della prima generazione di donne che, a differenza delle loro predecessore, non avevano più bisogno del permesso speciale chiamato “liberazione dal sesso femminile” per frequentare l’ateneo. Studiò estetica, francese e altre materie, pianificando una carriera di studiosa e ricercatrice; tuttavia, la scrittura e altre attività letterarie riempirono la sua vita a tal punto che le impedirono di perseguire il suo obiettivo.
La già citata scrittrice britannica Virignia Woolf, canonizzata come una delle più significative scrittrici o, più esplicitamente, femministe del XX secolo, è l’autrice della famosa citazione: “Come donna non ho paese. Come donna non voglio nessun paese. Come donna, il mio paese è il mondo intero”. Questa frase, che esprime il rapporto spesso contraddittorio delle donne con le loro nazioni e con il nazionalismo, può essere pertinente anche per le scrittrici di paesi diversi dalla Gran Bretagna. Tuttavia, nel caso di autrici provenienti da comunità come quella finlandese, che vivevano il risveglio nazionale durante il XIX e l’inizio del XX secolo, la situazione è molto più complessa.

Come donna finnofona, L. Onerva fu costretta a prender parte, in qualche modo, al progetto nazionale, poiché l’identità finlandese ai suoi tempi era basata sulla lingua. Alla sua nascita, la Finlandia era ancora il Granducato dell’Impero Russo, di cui entrò a far parte nel 1809, dopo sei secoli e mezzo di esistenza come provincia orientale del regno svedese. Solo nel 1917, la Finlandia ottenne l’indipendenza, diventando una Repubblica. La cultura linguistica finlandese cominciò a svilupparsi nella seconda metà del XIX secolo, dopo aver raggiunto un regime paritario con lo svedese nel 1863. Durante la giovinezza di Onerva, il finlandese era già diventato la seconda lingua della cultura e della letteratura in Finlandia, ma gli scrittori finnofoni sentivano ancora un bisogno urgente di coltivare la loro lingua come lingua letteraria. Ciò dette adito, pertanto, ad una serie di tensioni tra questo dovere patriottico da una parte, e il bisogno di alcuni scrittori di “aprire le finestre sull’Europa”, secondo lo slogan in voga nei paesi europeriferici. L. Onerva, pur essendo interessata alla causa nazionale, fu allo stesso tempo, una delle figure culturali più cosmopolite della sua generazione, famosa per il suo interesse per la cultura francese, agendo come mediatrice culturale tra la Francia e la Finlandia, sia in termini di traduzione (vari autori, da Baudelaire a Soupault) e di ispirazione suscitata dalla letteratura francese, sia per il suo impegno nell’intenso dialogo con essa che l’autrice conduceva nei suoi scritti. Questa attività, molto apprezzata dagli studiosi di storia della traduzione, fu notata anche dai suoi contemporanei, anche se non sempre apprezzata. Alcuni la consideravano “eccessivamente cosmopolita”, criticandola per non aver affrontato i “temi nazionali”, termine con cui i critici finlandesi intendevano i temi ispiratisi direttamente alla tradizione popolare finnica, e considerati, nello spirito di Herder, come la base della cultura nazionale.

Nei primi anni del XX secolo, L. Onerva visse una vita molto frenetica, tra studi universitari e un’attiva partecipazione alla vita studentesca; all’inizio della sua carriera, fu seguita e aiutata dal poeta J. H. Erkko, al quale dobbiamo anche lo pseudonimo dell’autrice, composto dalla prima lettera del suo cognome (L. per Lehtinen) e dal suo secondo nome (Onerva). Nel 1904 debuttò con una raccolta di poesie intitolata indicativamente Sekasointuja (Dissonanze), segnata dall’oscillazione tra visioni estatiche e toni malinconici, tipici del periodo. Il libro fu accolto piuttosto positivamente dalla stampa contemporanea. Durante il primo decennio del XX secolo, L. Onerva viaggiò e soggiornò a lungo a Berlino, Parigi e Roma. Fece conoscenza con molti protagonisti della scena letteraria e culturale e trovò le sue anime gemelle soprattutto nei circoli interessati alle tendenze culturali quali il simbolismo, il decadentismo e il nietzschianismo.

In Finlandia, la vita artistica di fine secolo, inclusa la letteratura, era dominata dal mélange di correnti artistiche un tempo raggruppate sotto il termine ombrello di neo-romanticismo, originariamente coniato da una delle figure culturali più visibili e prolifiche della Finlandia, lo scrittore e giornalista Eino Leino: un concetto che includeva il simbolismo, il decadentismo e le versioni finlandesi dell’Art Nouveau o dello Jugendstil. Fu soprattutto il modo decadente con il suo culto del morboso, della decadenza e dell’artificiale, che fu difficile da accettare nella vita culturale finlandese. In altre parole, in Finlandia, la decadenza tendeva ad essere “spazzata sotto il tappeto dello sviluppo nazionale”, come dichiarato da Pirjo Lyytikäinen. Come altri “nazioni in fase di risveglio”, la giovane nazione finlandese non volle avere molto a che fare con la decadenza e la degenerazione, preferendo utilizzare le metafore organiche della crescita sana, che erano costruite come “tipiche” della stessa cultura nazionale finlandese. Come in altri paesi nordici, la decadenza era vista, sviluppando il tropo di Baudelaire del “fiore del male”, come una strana pianta con vene morbose, secondo la descrizione del poeta svedese Ola Hansson. 

Mentre alcuni autori finlandesi come il poeta Otto Manninen coltivarono forme più pure di simbolismo, la maggior parte degli scrittori (oltre a Leino e L. Onerva anche, per esempio, Joel Lehtonen) tendevano a mescolare le varie tendenze nelle loro opere. Di tutte le figure letterarie e culturali, L. Onerva fu quella più vicina a Eino Leino. Alla fine, pur non sposandosi, divennero partner creativi di lunga vita, e questa loro unione durò fino alla morte di Leino nel 1926. L. Onerva si sposò per la prima volta nel 1905, separandosi però nel 1908 e poi divorziando. Proprio durante questi anni, lavorò alla sua seconda opera, il romanzo Mirdja

Eino Leino e L. Onerva

Successivamente, pubblicò solo altri due romanzi. Mentre le tracce autobiografiche in Mirdja sono, appunto, solo tracce, Inari del 1913, pur essendo anch’essa un’opera di fantasia, è più concretamente ispirata alla vita dell’autrice. Descrive gli studi della protagonista e il suo progetto di scrivere una tesi, nonché i suoi tentennamenti tra due uomini. Pirkka ricorda al lettore Eino Leino, mentre Alvia rappresenta l’illustre compositore finlandese Leevi Madetoja, che L. Onerva sposò nel 1913. Il terzo e ultimo romanzo, chiamato Yksinäisiä (Solitudine, 1917) è stato definito un roman conversant e può essere caratterizzato anche come un romanzo di idee, in cui l’autrice affronta molte delle correnti di pensiero del suo tempo, dal nazionalismo, al socialismo, all’emancipazione femminile, alla religione e alla teosofia. Il resto della produzione di L. Onerva dei primi decenni del XX secolo consiste in raccolte di poesie (citiamo almeno Runoja (Poesie,  1908) e Särjetyt jumalat (Dei infranti, 1910), e i racconti: Murtoviivoja (Linee spezzate, 1910), Nousukkaita (I parvenu, 1911), Mies ja nainen (Uomo e donna, 1912), Vangittuja sieluja (Anime imprigionate, 1915)). Grazie alla raccolta di racconti “Nousukkaita”, la parola ‘nousukas’, che oggi denota soprattutto un arrampicatore sociale nel senso di noveau riche, ma, all’inizio del XX secolo, anche ad esempio persone come gli “studenti di campagna” che cercavano di elevarsi attraverso l’istruzione, si è affermata e ha cominciato ad essere ampiamente utilizzata nella lingua finlandese. L. Onerva scrisse anche un dramma (Syyttäjät, Accusatori, 1923) e continuò a pubblicare prose brevi e, soprattutto, poesie, che avrebbe scritto anche nei decenni successivi. La sua ultima opera edita, la raccolta di poesie Iltarusko (Crepuscolo), uscì nel 1952, mentre altre poesie inedite, così come quelle del suo lascito letterario, furono pubblicate solo dopo il 2000.

Gli anni Quaranta rappresentarono un periodo tragico nella vita dell’autrice: Leevi Madetoja e L. Onerva soffrirono di varie dipendenze e si sottoposero a cure, ma mentre Madetoja riuscì a tornare ad una vita normale, L. Onerva rimase chiusa nell’ospedale psichiatrico di Nikkilä, contro la sua volontà, e fu rilasciata solo dopo la morte del marito, nel 1947. Sopravvisse al periodo di ricovero forzato grazie al personale dell’ospedale che le permise di scrivere, disegnare e dipingere; così le fu risparmiato il destino di sua madre Serafina, che aveva trascorso la maggior parte della vita in istituzioni psichiatriche, dove era alla fine morta – proprio a Nikkilä nel 1936, a 83 anni. L. Onerva trascorse gli ultimi decenni della sua vita tranquillamente nel suo appartamento con vista sul mare a Helsinki, fino alla morte avvenuta nel 1972, anche se ebbe l’impressione che il mondo si fosse dimenticato di lei. Il verso “una breve primavera e un autunno senza fine”, che L. Onerva scrisse nel 1910, acquisì un significato amaramente concreto nella sua vita.

Il nostro oggetto di analisi è, comunque, il romanzo Mirdja, definito il più decadente e fortemente nietzschiano dei romanzi finnofoni, secondo la caratterizzazione di Esko Ervasti del 1960. Le correnti artistiche e di pensiero di fin-de-siècle sostenevano che l’arte e la vita fossero inseparabili, ma nonostante alcuni elementi del romanzo evochino eventi e persone della vita dell’autrice (il mentore di Mirdja, nel romanzo Rolf Tanne, sembra in parte un riferimento a Eino Leino, mentre il marito di Mirdja, Runar Söderberg, rievocherebbe vagamente il primo marito di L. Onerva, Väinö Streng), è lontano dall’essere chiaramente e direttamente autobiografico. Affinità intertestuali e allusioni giocano un ruolo chiave, come accade, in generale, nelle opere decadenti, in una programmatica intertestualità. La natura sinestetica dell’opera, caratteristica per l’arte simbolista e decadente, è più che evidente, in quanto fa riferimento non solo a lavori estetici letterari e filosofici ma anche all’arte visiva da Crivelli, Leonardo, Rembrandt e Rubens a Rosetti. La musica gioca un ruolo chiave nel romanzo in questione, su più livelli: il leitmotiv dell’opera è formato da allusioni a compositori quali Leoncavallo, Grieg e Čajkovskij, dalle qualità musicali del testo e della sua composizione, così come dall’interesse della protagonista per la musica e i suoi piani per diventare una famosa cantante, fino ai titoli dei rispettivi capitoli nella sezione chiamata Racconti madrigalistici. In Mirdja, l’intertestualità sottolinea anche temi e forme attraverso citazioni e prestiti da scrittori e pensatori sia contemporanei sia precedenti, quali Shakespeare, Goethe, Verlaine, Bourget, Leino e Nietzsche. Le idee di quest’ultimo sulle donne, la femminilità e il genere, allo stesso tempo provocatorie, stimolanti e incoraggianti, sono di grande rilevanza per Mirdja, così come la complessa posizione di Nietzsche sulla decadenza. Come nelle opere di molte altre donne ispiratesi alle sue idee e coinvolte nella modalità decadente, le suggestioni nietzscheane nel romanzo di L. Onerva portano la protagonista spesso a un’impasse, mentre altre volte le loro conseguenze sono almeno ambivalenti. Mirdja è d’accordo con i suoi educatori su come l’educazione che le ragazze ricevono dalle madri borghesi, prudenti e conservatrici, sia un disastro, ma il fatto di non avere e di  non essere madre non la rende certo felice. Sebbene L. Onerva non sia stata l’unica scrittrice finlandese a confrontarsi con le strategie decadenti e nietzschiane (possiamo ricordare, tra le altre, per esempio Selma Anttila; Ain’Elisabet Pennanen), fu però quella che lavorò all’interno di queste modalità più intensamente e innovativamente.

Tutto considerato, le opere letterarie e non letterarie a cui si fa diretto riferimento in Mirdja sono opera di uomini, ma è naturalmente più che pertinente leggere il romanzo nella cornice della letteratura scritta dalle donne, per via dell’impegno dell’autrice in quella che veniva chiamata, ai suoi tempi, la “questione femminile”. All’inizio del XX secolo, le scrittrici finlandesi fecero il loro ingresso su una scena letteraria dove la presenza delle donne non era considerata eccezionale, anche se avevano dovuto lottare per far sentire la loro voce e affrontare molti ostacoli e restrizioni. Come in altri paesi europei in fase di rinascita nazionale, le donne finlandesi furono incoraggiate a partecipare attivamente alla vita culturale. Nel 1906, furono anche le prime in Europa a ottenere il voto, e poterono esercitare questo diritto già nel 1907. Il “filosofo nazionale” finlandese, l’hegeliano J. V. Snellman, parlò a favore dell’istruzione delle donne e persino delle loro attività letterarie, anche se il suo rapporto con le scrittrici rimase sempre piuttosto ambivalente. Snellman espresse le sue riserve sui segni di qualsiasi “eccesso” nelle attività pubbliche e artistiche delle donne o, come potremmo dire oggi, nel loro femminismo. Inoltre, le scrittrici della metà del XIX secolo non formarono una parte costitutiva del “programma di politica letteraria” di Snellman; in altre parole, questo “avanzamento” delle donne (patriottiche) aveva le sue regole severe: le donne finlandesi non dovevano astenersi dalla sacra vocazione alla maternità, fosse essa biologica o “sociale”.

Il concetto di “maternità sociale” (un termine in uso tra gli storici finlandesi, anche letterari, ad esempio Päivi Lappalainen) era anche sostenuto dal movimento femminile finlandese tradizionale, l’Associazione delle donne finlandesi (Suomen Naisyhdistys) con il suo tipico ethos patriottico e cristiano (luterano). Questa “cittadinanza materna” può essere vista come una controparte del prototipo del cittadino ideale (maschio) finlandese: in altre parole, come più volte sottolineato, le donne finlandesi non erano escluse dall’arena pubblica, ma ne facevano parte su una base specifica. In Finlandia, le attività delle donne, artistiche e non, furono perciò intrecciate con il “progetto nazionale” e, a loro modo, con la questione religiosa. L’emergere delle organizzazioni femminili finlandesi fu parte di un processo di organizzazione sociale diffusa in cui gli interessi nazionali assurgevano a netta prominenza. Sebbene abbia resistito all’identificazione con il movimento femminile finlandese contemporaneo di orientamento patriottico e religioso (e abbia mantenuto le distanze anche dal movimento delle donne di sinistra, operaio e socialista), L. Onerva fu molto interessata all’emancipazione femminile, rimanendo profondamente scettica nei confronti dei pensatori e degli scrittori che la sottovalutarono. Tutto ciò fece da sfondo al rapporto di L. Onerva con il movimento delle donne, che segnò anche la ricezione di Mirdja. Mentre il romanzo ottenne recensioni favorevoli da parte dei critici provenienti dalla cerchia culturale dell’autrice, quelli più conservatori furono piuttosto riservati e la reazione più negativa fu quella delle donne di orientamento conservatore, aborrite dall’“immoralità” della scrittrice ventiseienne, e al fatto che il suo romanzo avesse ricevuto il premio statale di 1000 marchi.   

In Mirdja, troviamo ridicolizzati varie tipologie dell’incapacità di comprendere l’arte e la cultura, unite allo zelo nazionalista dei patrioti provinciali della classe media: il romanzo si fa beffe di questo gretto patriottismo, ostile alle aspirazioni intellettuali e artistiche della protagonista. Tuttavia, le cose si complicano per il fatto che in finlandese, la parola kansa che sta per “nazione”, significa anche “popolo”, indicando, nel contesto dell’inizio del XX secolo, soprattutto la gente di campagna che parlava in dialetto. Proprio questo gruppo era venerato dai revivalisti nazionalisti finlandesi, poiché era proprio nella kansa che si trovava l’essenza della finnicità. Quindi, la “nazione/popolo” non è affatto irrilevante per la ricerca della protagonista. Il suo modo di elevarsi socialmente è caratterizzato da un movimento di “andata e ritorno”, come per esempio quando cerca di “fondersi con il popolo” a una festa popolare a cui partecipa per caso. Il popolo, nell’immagine della folla, si avvicina a Mirdja, cresciuta come un Superdonna nello spirito. La protagonista sperimenta emozioni contraddittorie, la sensazione beata di partecipare alla “festa di Dio” e un impulso estatico di fondersi con “l’oceano” di persone, una forza travolgente e liberatoria che esprime le idee dell’unità di tutti gli esseri umani, comune a molte correnti di pensiero della fine del secolo, e tipica dei decadenti. Questa contraddizione risuona come uno dei conflitti fondamentali del moderno, quello tra desiderio di simbiosi, credenza nell’origine spirituale del genere umano e nella solidarietà condivisa, tipica della Teosofia, fondendosi con varie tendenze panteiste e l’individualismo fin de siècle con il bisogno di autoriflessione. Inoltre, questi sentimenti contrastanti evocano anche un complesso “desiderio di appartenenza”, a cui il soggetto decadente anela, pur avendone, allo stesso tempo, paura. Attraverso l’idea e il sogno del ‘mare della vita’, i personaggi di L. Onerva (in Mirdja, così come nelle altre opere) cercano di sperimentare un senso superiore di comunità che li guarisca dai loro decadenti sentimenti di frammentazione e rottura.Ad ogni modo, nel romanzo l’episodio si conclude con sentimenti di alienazione anche più profondi che in precedenza.

Nelle varie storie della letteratura finlandese, L. Onerva appare di solito come un’autrice che tratta per lo più il milieu del ceto medio; questo tratto è comune a molte eroine che possiamo qualificare come “New Women”, vale a dire figure letterarie femminili del periodo alla ricerca di nuovi modi di essere donna e della soggettività femminile. Il termine è stato usato inizialmente in relazione alla letteratura anglosassone e, negli ultimi decenni, è stato applicato a molte letterature nazionali. La donna della classe media era il tipo principale di “Donna nuova” e sebbene le donne della classe media dominino anche nell’oeuvre di L. Onerva, lei, tuttavia, ha più volte affrontato anche i problemi delle cosiddette classi inferiori, sia del proletariato urbano che di campagna, creando anche delle eroine di alto lignaggio. Tuttavia, per la maggior parte, tratta effettivamente soprattutto delle donne che occupano una posizione ambivalente “di mezzo” rispetto alle classi sociali, cosa che ben si adatta alla poetica decadente. Il suddetto termine nousukas (parvenu) può essere applicato anche alla protagonista di Mirdja, che non cerca di elevarsi socialmente, ma piuttosto in senso nietzschiano, essendo stata portata dai suoi educatori bohémien (soprattutto il suo mentore, un “filosofo da taverna” e un dilettante decadente, Rolf Tanne) a disprezzare la società che la circonda. Mirdja è un tipo speciale di nousukas, figlia di una “cantante zingara” e di un dilettante decadente bohémien. Come ogni nousukas, è ossessionata dalla questione dell’origine, anche se, paradossalmente, in compagnia di artisti e dilettanti decadenti, le sue radici bohémien sono viste sotto una luce positiva. È una versione decadente della picara in eterna ricerca, cresciuta dallo zio “filosofo ed eremita”. Nel corso della sua vita, cerca radici e identità, l’arte e l’abilità artistica, l’amore nel senso di “matrimonio mistico” e la fusione con l’amato. Come anche l’esistenza di un Superuomo/donna e di un Essere Universale (fantasticato dal padre di Mirdja), la maternità (quella di sua madre, che morì dandola alla luce, e la sua), la spiritualità e, infine, la divinità (femminile). In questo senso, Mirdja può essere vista come una cercatrice anche nel senso frequente della cornice di fin de siècle, cioè come una persona che cerca alternative alle forme tradizionali di religione.

Foto. Kalle Kulmala / Yle

Pur essendo molto critica nei confronti della Chiesa e delle religioni istituzionalizzate, L. Onerva esplorò per tutta la vita la dimensione spirituale, cercando ispirazione in religioni diverse dal protestantesimo, così come in altre correnti spirituali quali la teosofia, della quale L. Onerva si interessò insieme a Eino Leino. Il loro coinvolgimento con la teosofia culminò negli anni Dieci del XX secolo, quando curarono insieme la rivista Sunnuntai (Domenica, 1915-1918). Molto prima, la giovane Onerva era stata influenzata dalle idee della sua ammirata insegnante, scrittrice e più tardi politica, la religiosissima Hilda Käkikoski. All’età di 16 anni, L. Onerva credeva che la donna fosse anche “un essere umano con uno spirito immortale, che viene da Dio” e che “deve essere lasciato svilupparsi… arrivare alle maggiori altezze possibili”. In seguito, la ricerca spirituale di Onerva considerò il cristianesimo protestante mancante di una divinità femminile; per questa ragione, fu affascinata dal culto cattolico della sacra femminilità. In Mirdja, fa cercare alla protagonista sua madre e i segreti della maternità mistica, sia a livello molto terreno, sia attraverso l’arte e la spiritualità. Nel romanzo, la religione protestante istituzionalizzata e la Chiesa (luterana) vengono ferocemente rifiutate; il matrimonio religioso addirittura deriso. La critica della Chiesa e la sfida nietzscheana risultano più che evidenti quando il mentore della protagonista, Rolf Tanne, le insegna a odiare i pilastri della società, il “grande idolo duplice e idiota” di Stato e Chiesa. Pur essendo una decadente ormai stanca, Mirdja non rinuncia alla sua ricerca, che continua durante i suoi viaggi all’estero, dove rimane affascinata dal culto della Vergine Maria e dal cattolicesimo, con il suo aspetto estetico, affascinante per molti decadenti.

E proprio l’aspetto estetico è uno dei punti chiave del romanzo. Anche se, come notato in precedenza, le esplicite allusioni intertestuali puntano a uomini creativi, è chiaro come Mirdja entri in dialogo con altri romanzi scritti da donne nel XIX e XX secolo, che trattano esplicitamente di arte, dell’essere un’artista e di creatività femminile. Mentre non è certo che le scrittrici in questione conoscessero il lavoro delle loro colleghe, evidenti sono i parallelismi e le connessioni tra le loro opere, indipendentemente dai rapporti di influenza. Nel caso di L. Onerva, sia l’influenza sia la confluenza assumono un particolare rilievo. Mirdja appartiene al genere del Künstlerroman femminile, ma può anche essere caratterizzato come un romanzo di un dilettante decadente con una protagonista femminile. Come leggiamo in alcuni punti dell’opera, preminente è anche la questione dell’impossibilità di creare un pensiero originale, che si evidenzia in alcuni dei temi principali dell’opera: il dilettantismo, il rapporto tra dilettantismo e arte, le relazioni e tensioni tra figure dilettantistiche e artistiche. Troviamo tutto questo in opere di autori decadenti, da Bourget e Huysmans ad altri, ma nel caso della letteratura scritta da donne e con protagoniste femminili le idee di non originalità, l’“ansia di influenza” e il dilettantismo acquistano significati diversi. Infatti, la figura di uno sterile dilettante ha connotazioni piuttosto diverse per l’uomo e per la donna. In Mirdja, è questo spettro della “doppia sterilità” che porta la protagonista a cercare, dopo tutta la rivolta contro le aspettative della società, un figlio e una maternità consoni. Nel caso delle donne, c’è anche il ruolo di musa inspiratrix, in cui le donne sono state così spesso delegate nell’ambito dell’arte, e contro cui la stessa Mirdja si trova a combattere; inoltre, nel caso di L. Onerva, questo costituiva anche un problema personale, data la sua compagnia con un famoso poeta (Leino) e un non meno famoso compositore (Madetoja). 

La questione della creatività femminile, nel senso più ampio del termine, assume un’importanza centrale nel romanzo. Anche se scritturata in modo decadente, si collega alla tradizione di opere con problemi simili scritte da donne: per esempio Corinne, ou l’Italie (Corinne, o l’Italia 1807) di Germaine de Staël, di cui L. Onerva scrisse un breve pamphlet nel 1920, e Consuelo (1842-1843) di George Sand. Come ci ricorda la critica letteraria femminista, le scrittrici poterono trovare una compensazione per la mancanza di mitologia della creatività e dell’abilità artistica femminile proprio nelle opere di de Staël e Sand e quindi scorgere un modello femminile alla stessa maniera in cui Childe Harold e Werther lo furono per l’artista uomo. Nel contesto di Mirdja, de Staël e Sand possono essere viste come consapevoli modelli di ruolo o fonti di ispirazione, nel senso di influenze. I personaggi autoriali di queste scrittrici possono essere piaciuti a L. Onerva anche perché si identificavano sistematicamente con gli eroi da loro creati, nel caso di de Staël direttamente con la poetessa, musicista, attrice, cantante e improvvisatrice. Naturalmente, Mirdja discute anche i testi successivi scritti da donne a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Si potrebbe per esempio citare il romanzo Hellé (1898) di Marcelle Tinayre, tradotto in finlandese dalla stessa L. Onerva (pubblicato nel 1922). Hellé, che si rifà direttamente alla de Staël, tratta di un personaggio femminile eccezionalmente erudito, musicalmente dotato e intelligente.

In ambito finlandese, come abbiamo sottolineato, Mirdja è uno dei primi romanzi d’artista scritti da una donna, anche se i primi testi che parlano dell’arte femminile in Finlandia risalgono alla fine del XIX secolo, a partire da Framät (Avanti, 1894) della svedofona Helena Westermarck. La creatività artistica femminile era stata comunque discussa dalle donne finlandesi anche all’interno di altri generi, per esempio, nei testi brevi di Fredrika Runeberg, nelle biografie femminili e nei testi privati. Molte scrittrici ne avevano ponderato le questioni in sottotrame, personaggi minori, o anche solo implicitamente. Potremmo continuare a portare esempi di autrici contemporanee a L. Onerva, non solo di estrazione europea: scrittrici che si preoccupano del tema della ricerca della soggettività e dell’identità della donna, attraverso l’arte o attraverso altri temi. Nei paesi anglofoni, possiamo citare Awakening di Kate Chopin (Il risveglio, 1899), i racconti in stile decadente di George Egerton, i testi in prosa di Edith Wharton che trattano delle tragedie delle muse o del dilettantismo e, infine, Charlotte Perkins Gilman con il suo famoso racconto The Yellow Wallpaper (La carta da parati gialla, 1892). In Italia, interessanti punti di confronto possono essere la decadente Regina di Luanto, soprattutto il romanzo-diario Un martirio (1894), o la femminista Sibilla Aleramo con il suo Una donna (1906). Degli altri paesi nordici, possiamo ricordare Dagny Juel Przybyszewska in Norvegia o Stella Kleve (pseudonimo di Mathilda Malling) in Svezia.

Tuttavia, anche se L. Onerva era interessata alle possibilità di combinare il genio creativo con la bellezza femminile e una pronunciata femminilità, nella sua opera costruisce, esplora e mette in discussione varie figurazioni della fluidità di genere. In Mirdja, per esempio, è il sogno del padre della protagonista quello di una donna “creatura universale” (kaikkeusolento); in altre opere (per esempio il racconto Kuvittelija, Immaginiere del 1909), celebra l’androginia come un sogno estetico, coltivato anche nell’esoterismo e in varie rappresentazioni fin de siècle del “terzo sesso”. Questo sogno è anche posto in netto contrasto con il rigido binarismo dei sessi, promosso, naturalmente, dalla morale borghese e dalle figurazioni nazionaliste di mascolinità e femminilità.

Il culto dell’ambivalenza e vari tipi di “mezza via” segnano anche il finale di Mirdja. L’immagine equivoca della palude, coltivata nella scrittura nordica, è un luogo sintomatico dell’ultimo rifugio della protagonista, pieno di elementi sinestetici. Le immagini della palude conosciute dalla poesia finlandese ed evocanti anche le antiche abitudini di scacciare nelle paludi individui strani e diversi, associano, con le sue particolari erbe, anche le piante dalle venature morbose, e quindi ben si adattano all’immaginario decadente. Con l’atto dello sprofondamento, la palude aggiunge una sorta di tocco ironico al tipo decadente di nousukas.  Alla fine del romanzo, assistiamo alla culminazione della capacità onerviana di unire l’estetica con la politica, nel senso più ampio del termine: il finale è in sintonia con le opportunità che una donna cercatrice come Mirdja poteva avere all’inizio del XX secolo.

Mirdja

Traduzione: Marcello Ganassini
Profilo biocritico: Viola Čapková

Pagine: 352

Edizioni Vocifuoriscena 2022

(Per le foto utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)

Viola Parente-Čapková
Docente di letteratura finlandese alle Università di Praga e Turku.