Kjell Westö non ama definirsi un finnosvedese. Ha varie volte commentato che quest’etichetta gli sta stretta, e che problematizza quella che per lui è invece un’ovvietà e un elemento identitario fortissimo: l’essere finlandese tout court, a prescindere dalla lingua che si parli.
Westö nasce a Helsinki nel 1961 in una famiglia appartenente alla minoranza linguistica svedese. Crescere in quartieri dove quasi nessuno parlava svedese, la passione per le lingue, lo portano sin dall’infanzia a studiare il finlandese e a raggiungere un bilinguismo praticamente perfetto nell’età adulta.
La sua carriera inizia nel giornalismo e approda poi nella poesia, ma il suo vero lancio sul panorama letterario nazionale (e internazionale) arriva con la produzione in prosa. A caratterizzare la sua scrittura è proprio la lingua: il testo, seppur scritto in uno svedese che riporta la parlata di Helsinki (anzi, Helsingfors) è marcato dall’inserzione di elementi colloquiali e frasi intere in finlandese, che contribuiscono tanto a caratterizzare i personaggi quanto a riportare in modo quanto più possibile autentico la realtà linguistica della capitale finlandese.
Negli Stati moderni si è abituati a pensare che valga l’equazione in cui a una nazione equivale una sola lingua e un solo popolo. Questa concezione è in realtà relativamente giovane, ha le sue radici nel Romanticismo, ma si può definire più un’idea che una realtà empirica. La Finlandia rappresenta in questa visione un caso particolare, avendo come lingue ufficiali sia il finlandese che lo svedese.
Nonostante i forti legami storici e culturali con la Svezia e il fatto che lo svedese è stato a lungo la lingua del potere in Finlandia i finnosvedesi sono sempre stati una minoranza linguistica regionale. Uno dei centri dove lo svedese è più rappresentato e visibile è proprio la capitale, che infatti ha avuto un ruolo chiave nella produzione letteraria finnosvedese, anche per Kjell Westö.
La città di Helsinki è infatti un personaggio a pieno titolo nella prosa di Westö, la sua storia e la sua geografia sono una presenza costante. Questo mette in prospettiva anche la scelta multilinguista dell’autore: scrivere in svedese è già una testimonianza del fatto che la capitale non è monolingue, ma il fatto che ad esso siano aggiunti elementi di finlandese e, in misura minore, di altre lingue come inglese, tedesco e russo è testimonianza della stratificazione culturale e storica che ha contribuito a rendere la capitale finlandese quella che è oggi.
Il finlandese è imprescindibile perché onnipresente nella realtà in cui sono immersi i personaggi, mentre il russo compare ad esempio Där vi en gång gått (Dove camminavamo un tempo), romanzo storico ambientato quando Finlandia ha da poco raggiunto l’indipendenza. Il tedesco e l’inglese sono le lingue della cultura e della musica di due diverse generazioni in romanzi con ambientazioni più contemporanee, come Vådan av att vara Skrake (La sciagura di chiamarsi Skrake, edito in Italia da Iperborea) e Drakarna över Helsingfors (Gli aquiloni sopra Helsinki, da cui è stato tratto anche un film nel 2001).
L’uso di entrambe le lingue nazionali consente anche una riflessione intorno agli stereotipi legati all’appartenenza linguistica in Finlandia. I finnosvedesi sono stati nel tempo associati a un’appartenenza alla classe alto-borghese e a un tenore di vita più elevato della media (come da noi scritto nell’articolo Il laghetto delle anatre). Ma questa visione invidiabile è fortemente stereotipata, e cieca alla realtà quotidiana in cui le persone di madrelingua svedese appartengono a tutti gli strati sociali.
Nelle opere di Westö è proprio la classe media, spesso con radici nella povertà o nella classe operaia, e il suo rapporto con la borghesia a essere protagonista. Helsinki diventa in questo senso la grande città in cui le diverse provenienze geografiche e di classe si incontrano e scontrano.
L’analisi sociale è uno degli elementi ricorrenti nella prosa di Westö e abbraccia vari aspetti e momenti della vita. Se nella vita adulta dei personaggi è l’appartenenza sociale, più che linguistica, a essere centrale, nell’infanzia e adolescenza la diversa appartenenza linguistica dei finnosvedesi viene vissuta e descritta come un elemento discriminante e diventa quindi un tema sofferto dai personaggi. Nella novella Melba, Mallinen och jag (“Melba, Mallinen e io”) il protagonista Kenneth è vittima di bullismo da parte dei ragazzi del quartiere, che tra le altre cose lo accusano di tifare Svezia nelle manifestazioni sportive e ne mettono in dubbio la mascolinità, appellandosi a stereotipi impietosi quanto diffusi. Kenneth arriva al punto di considerare di cambiare il proprio nome e tradurlo in finlandese una volta raggiunta la maggiore età.
Anche l’equivalenza tra appartenenza linguistica e nazionale viene problematizzata: molti dei personaggi di lingua svedese di Westö si trovano a viaggiare in Svezia e a sentirsi dei pesci fuor d’acqua pur parlando quella che sulla carta dovrebbe essere la stessa lingua.
Il messaggio della produzione multilingue di Westö è in conclusione molteplice: da un lato si fa portavoce della minoranza linguistica svedese confutandone gli stereotipi, e dall’altro ribadisce l’importanza di non appiattire il panorama linguistico per scopi puramente politici e ideologici.
Negli ultimi decenni lo status dello svedese è stato infatti messo in discussione. Il dibattito intorno al pakkoruotsi, l’obbligo di studiare lo svedese nelle scuole di lingua finlandese, e il ruolo dello svedese in Finlandia si è fatto più acceso e viene talvolta sostenuto da una politica che vuole definirsi nazionalista, o facente gli interessi della maggioranza linguistica finlandese.
Davanti a questo tipo di posizioni la produzione di Westö contribuisce a proporre una prospettiva diversa: l’amore per un Paese, e l’appartenenza allo stesso, si possono esprimere in più di una lingua.
Foto di apertura di Niklas Sandström.