Da sempre l’acqua e le vari immagini che suscita sono state fonte di ispirazione per racconti più o meno poetici, e non soltanto della letteratura mondiale. Soprattutto l’acqua stagnante, associata spesso all’oblio e alla morte, al contrario di quella fluente, legata tradizionalmente alla vita, alla (ri)nascita e alla creatività, ha rappresentato la metafora della “profondità”, nel senso espresso ad esempio dal neo-platonismo e, più in generale, dal misticismo. (Per una trattazione approfondita delle immagini e dell’immaginario dell’acqua in alcune opere decadenti, si veda, ad esempio Narcissuses, Medusas, Ophelias… Water Imagery And Femininity in the Texts by Two Decadent Women Writers – di Viola Parente-Čapková).
In questo breve racconto sámi che presentiamo, quello che Milan Nápravník definisce l'”Immobile stagno di singolare conciliazione e tranquillità, la cui superficie d’acqua copre l’intera estensione del suo mondo” rappresenta il luogo dell’ultimo riposo, piuttosto inquieto, come si evince dalla narrazione, dei neonati illegittimi. La storia, narrata da Gunhild Børgefjell fu trascritta da Václav Marek nel 1936 a Susendal (Lapponia norvegese), ed è contenuta nel volume Noidova smrt. Pověsti a pohádky z Laponska (La morte dello sciamano. Leggende e racconti dalla Lapponia, 2000), a cura di Michal Kovář-Demeczi e basato sul materiale raccolto dallo stesso Václav Marek durante la sua permanenza in Lapponia (1931-1948).
Václav Marek, nato a Sadská nel 1908, è stato un etnografo, scrittore e viaggiatore ceco che si è dedicato a ricerche di grande significato sulla religione e la cultura dei popoli Sámi. Nel 1931 si stabilì nella Lapponia norvegese, nell’attuale Parco Nazionale Børgefjell. Durante la seconda guerra mondiale prese parte al movimento di resistenza norvegese. Nel 1948 tornò in Cecoslovacchia lavorando nel campo della ricerca biologica, e scrivendo articoli sulla caccia e la silvicoltura. Ma ha lasciato vari scritti dedicati al mondo Sámi, e fotografie per cui il museo di Hattfjelldal ha organizzato una mostra. Nel Parco Nazionale Børgefjell c’è anche un sentiero dedicato alla sua memoria, chiamato Marek’s Trail.
C’è un laghetto un po’ più a nord di Mekkelfjord. Si chiama Rauka-jauja, che significa più o meno quello che i contadini chiamano la Pozza stregata.
Ai tempi antichi, per una ragazza sámi non era una vergogna dare alla luce un bambino, che da noi veniva considerato una vera benedizione. Ma dopo l’arrivo di missionari, vicari e predicatori, e con loro il reggente e il balivo, anche qui in Lapponia un figlio illegittimo divenne una grande vergogna, e tali madri furono punite in tutta la regione per immoralità e adulterio. E si trattava di punizioni severe.
E così accadeva che, quando una madre così giovane stava per partorire, andasse di nascosto nella foresta e il frutto dell’amore peccaminoso andasse così perduto. Si dice che molti siano stati lasciati in questa pozza.
Questi bambini annegati infestavano poi il laghetto. Anche dopo molti anni, vagavano di notte urlando, tanto che era terribile passare da quelle parti. Questi bambini fantasma venivano chiamati aepparaš. Una volta capitò che ci fossero diversi di questi fantasmi ad infestare quel luogo allo stesso tempo, così dovettero chiamare il vicario di Vefsna. Il parroco Qvale si recò lì la sera e ne sentì le urla, ma quando poi pronunciò la formula battesimale, le urla cessarono improvvisamente e da allora il luogo non fu più infestato.
(Col titolo, dipinto di Vilho Lampi: Tyttö jään reunalla, 1933 / foto di Mari Kivioja. Per le immagini utilizzate siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)