Hannu Ylitalo: Maledetto di un finlandese

I nostri "Insoliti Ignoti", testi ancora inediti in lingua italiana

Hannu Ylitalo (1934 Suojärvi – 2007 Stala, Svezia) emigrò in Svezia da piccolo durante la guerra come “sotalapsi” – bambini che venivano inviati volontariamente dai genitori in famiglie svedesi in cerca di una vita migliore e più sicura, con la promessa di un ritorno al termine della guerra. Dopo il rientro in Finlandia, Ylitalo proseguì gli studi, lavorando poi come operaio nel settore forestale e edile.

Nel 1963, si trasferì nuovamente in Svezia, stavolta per lavorare come insegnante in corsi destinati agli immigrati finlandesi. Debuttò come scrittore tre anni dopo con il romanzo “Via di fuga” (Pakotie).

Il suo romanzo “Maledetto di un finlandese” (Saatanan suomalainen, 1971), pubblicato nel 1971, ispirato ai canoni della letteratura realistica, ha dato inizio a una trilogia, di cui fa parte “Terra svedese”  (Ruotsalaisten maa 1972), che è considerata il più completo resoconto narrativo della Grande Migrazione. Ylitalo è stato uno dei pochi autori moderni che hanno raccontato l’emigrazione in Svezia di finlandesi di diverse età.

Nonostante il suo significato culturale e storico, l’opera di Ylitalo è stata scarsamente considerata nel canone letterario finlandese.

Raja-Karjala. Pitkäranta Nurmisaari

“Maledetto di un finlandese” comincia presentando Raimo, un giovane di diciannove anni, che ritorna al paesino natio nel sud-est della Finlandia dopo aver completato il servizio militare, e si ritrova incapace di trovare un lavoro. Così  si vede costretto a trasferirsi nella vicina Svezia, un paese dove le opportunità lavorative sono più abbondanti, seguendo le orme di mezzo milione di suoi connazionali.

A Göteborg, viene assunto nella fabbrica di automobili della Volvo. Durante la sua esplorazione di questa nuova terra, Raimo stringe amicizie e si imbatte nella realtà degli immigrati e dei lavoratori ospiti in Svezia, non sempre idilliaca. Il romanzo descrive sia i benefici materiali che Raimo guadagna da questa scelta sia il suo completo isolamento culturale e sociale, oltre alla discriminazione che affronta in terra straniera. L’autore dipinge la vita dell’immigrato con realismo, senza esagerazioni, arricchendo la narrazione con le proprie esperienze lavorative alla Volvo.

Saatanan suomalainen

Kirjayhtymä, Helsinki 1971

Capitolo primo

L’ espresso si arrestò alla stazione di Joensuu, dove Raimo Kujala, stringendo tra le mani il menu del vagone ristorante, osservava i passeggeri che scendevano. Sembrava che volesse quasi annunciare a ognuno di loro che, vivaddio, l’aveva finalmente finito il servizio militare. Aveva dovuto rimanere un’ulteriore settimana senza poter tornare alla vita civile insieme ai commilitoni, ma almeno aveva dormito un po’ durante il viaggio, questo ricapitolò nella sua mente.

Poi, mentre scendeva dal vagone, cercò invano di tirare sui polsi le maniche della giacchetta grigia. Avrebbe fatto bene a comprarsi un vestito nuovo prima di arruolarsi, ora si vedeva anche un pezzo di avambraccio. Scostò con un buffetto i capelli scuri dalla fronte, e guardò i passeggeri che si affrettavano verso la città. La locomotiva ferma sull’altro binario sbuffava verso il cielo una densa colonna di fumo di carbone che, come una nuvola grigia, oscurava il sole della sera di maggio, e che dopo aver superato l’edificio di legno usato come deposito, si infranse in piccoli sbuffi sulle case allineate lungo le rotaie.

Ondeggiando il borsone di tela ormai liso, Raimo si diresse verso la fermata dell’autobus. Sul ponte che collegava le rive del Pielisjoki si fermò, si appoggiò alla ringhiera e guardò intensamente la corrente spumeggiante; era come se i gorghi scuri avessero il potere di inghiottire tutti i pensieri sgradevoli e compulsivi che per otto mesi si erano accumulati nella sua mente.

D’inverno, questa città aveva un aspetto decadente, considerò Raimo oltrepassando Ilosaari. Un cannone abbandonato davanti a una casa di pietra grigia catturò la sua attenzione. Perché mai l’avevano portato lì?  Un relitto inutile, come un’auto parcheggiata sul ciglio della strada. Un ferro vecchio.

Il suo autobus non sarebbe arrivato prima di mezz’ora, e così cercò una panchina vuota nel parco, e si sedette ad osservare il trambusto della piazzetta circostante. Uno zingarello correva da una panchina all’altra elemosinando gli spiccioli per un gelato. Davanti al chiosco, alcuni perdigiorno erano intenti a fumare. Uno di loro tirò fuori gli spiccioli dalla tasca e ordinò al bambino di comprarsi dieci gelati, per passare il tempo a ridere della sua avidità. Raimo ricordò la sua stessa situazione l’anno precedente, quando aveva sostato davanti alla bancarella del paese. Non aveva resistito a lungo con quei pochi lavoretti che era riuscito ad organizzarsi per l’estate, e prima di partire per il servizio militare era stato contento di trovare lavoro come assistente in un’officina. Solo uno sciocco poteva inventarsi quella perla di saggezza secondo cui un lavoro lo si trova sempre.

L’autobus fece retromarcia fino al marciapiede. I passeggeri si diressero verso la porta con i loro bagagli. Raimo si alzò dalla panchina e attraversò la strada fino al mezzo. La bigliettaia invitò i passeggeri ad occupare anche la parte posteriore del veicolo. L’autobus aveva già iniziato a muoversi quando un uomo, con una tuta da lavoro sporca, salì a bordo. Le donne tirarono i lembi degli spolverini primaverili sulle ginocchia, lanciando sguardi poco amichevoli all’uomo, che si fece strada verso il fondo con lo zaino all’altezza della testa, prendendo posto accanto a Raimo.

“Fumi?”

“Quello che fumano i civili” sorrise Raimo. Accettò l’americana offertagli e lasciò che il fumo gli riempisse lentamente i polmoni. Osservò la città, che dal finestrino appariva annebbiata dal fumo della sigaretta, trasformarsi dopo un chilometro in un villaggio di case di legno. L’erba lungo la strada era tutta ingiallita dalla polvere, solo nei punti più umidi trasparivano qua e là delle strisce verdi. Nei cortili verdeggiavano le betulle.

“Hanno costruito molte case nuove a Nälkäkylä” osservò qualcuno.

Quando la bigliettaia raggiunse i sedili posteriori, gli uomini iniziarono a frugarsi le tasche.

L’uomo in tuta da lavoro chiese, sigaretta in bocca:

“Allora, quanto chiede la ragazza oggi?”

“Il solito” rispose lei, interrogando Raimo su quale fosse la sua destinazione.

“È esattamente a dieci chilometri dalla città, Lehmo o qualcosa del genere.”

Raimo c’era stato solo una volta. Subito dopo essersi arruolato, i genitori si erano trasferiti. Sua madre gli aveva scritto che avrebbero vissuto più vicini alla città, per trovare lavoro più facilmente. Avevano affittato il capanno dai fratelli Kettunen e dalla loro vecchia madre. Morta l’anziana donna, i figli erano partiti per la Svezia, lasciando il posto ai genitori di Raimo per una somma modesta, a condizione che potessero dormire nel fienile durante le vacanze.

In inverno, i prati vicino al fiume erano più simili a una palude aperta. Raimo ricordava il freddo cane e, gettando un occhio al paesaggio che scorreva davanti a lui, cercò di stimare la distanza tra il fiume e la strada. Vide un uomo in tuta di felpa attraversare il campo, con una nassa sulle spalle. “Ah, ecco il bivio” pensò Raimo, premendo il pulsante della fermata.

Mentre camminava lungo la stradina, si sentiva osservato dalle finestre dei capanni. Le tende si aprivano e sguardi curiosi lo seguivano. Fortunatamente, i giovani di questo villaggio non prestavano servizio nel suo stesso distretto, e quindi nessuno del posto sapeva della sua settimana in prigione. Quando giunse in vista della casetta azzurra, gonfiò il petto e accelerò il passo, svoltando per il sentiero che si diramava dalla stradina. Prima di raggiungere il cortile, però, sentì suo fratello dodicenne, Teuvo, gridare dalla soglia della legnaia:

“Mamma, Rami è tornato dal militare!”

Kaisa Kujala corse verso le scale.

“Finalmente! Perché non hai scritto? Cominciavamo a preoccuparci”.

Raimo si limitò a salutare con la mano e a guardarsi intorno nel cortile. Notò la sauna che pendeva di lato, l’edificio rivestito di assi grezze e le chiazze d’erba.

Entrato finalmente nello stanzone, si lisciò i capelli, poi si tolse la giacca e la appese all’attaccapanni.

“Dov’è Eija?”, chiese.

“Forse in giro per il paese”.

“Non starà mica correndo dietro ai ragazzi?”

“Ma no, è ancora piccola” lo rassicurò Kaisa, mettendo il caffè sul fuoco.

“Dove lavora papà adesso?”

“Al magazzino dei tronchi giù al fiume” rispose Kaisa, indicando il corso d’acqua.

“Ora è a una riunione che hanno indetto per discutere della paga. Sempre a lottare contro i tentativi di truffa. Quest’anno non abbiamo nemmeno seminato l’avena, visto che non c’è bestiame”.

“Qui al fiume sono tutti piccoli contadini, dico bene?”

“Scrocconi che campano di contributi” confermò la madre. “Ma più a monte ci sono anche tre grosse fattorie.”

Raimo guardò il viso rotondo della mamma, i capelli grigi che spuntavano dal fazzoletto, mentre sopra la fronte erano ancora neri. Kaisa apparecchiò la tavola e si sedette a bere il caffè con Raimo, ma non appena ebbe finito la prima tazza si alzò dicendo che andava nella sauna. Raimo si voltò verso la finestra e prese a guardare distrattamente il paesaggio.

“Quando ti finisce la scuola?” chiese a Teuvo.

“Giovedì ho gli esami.”

Foto Museovirasto

Raimo udì appena la risposta del fratello, volse lo sguardo al fiume, agli attracchi per i tronchi da fluitazione. Ma poi si alzò, afferrò Teuvo per le dita, per testarne la forza, e cominciò a camminare avanti e indietro tra la cameretta e la cucina, come se non sapesse cosa fare per la pura gioia di essere finalmente a casa. Dopo un po’ infilò le mani in tasca e abbassò la testa, consapevole che i giorni sarebbero stati irrimediabilmente monotoni e simili ai giorni e alle settimane precedenti l’arruolamento.

Alle sue spalle, sentì Teuvo scacciare le mosche con il giornale, ma non si voltò. Era come se volesse resistere ancora per un po’ alla vita cui si sarebbe dovuto comunque sottomettere. Le sue labbra si mossero: “Fottuti prati gialli. Quando ero ragazzo, rastrellavo qualcosa nelle paludi della tenuta. I gambi spinosi si attorcigliavano tra i denti del rastrello come crini di cavallo. La sera andavo a farmi una sega nel bosco, sventravo le rane con un bastoncino, orinavo sulle zolle erbose. Su in collina, ci sono delle macchie verdi”.

Kaisa entrò nello stanzone con un secchio d’acqua.

“Hai servito con onore?”

“Come sarebbe a dire con onore?” chiese Raimo, abbassando lo sguardo.

“Hai sparato con il cannone?” intervenne Teuvo.

Raimo sbottonò il collo della camicia e si girò per ispezionare la cucina: un fornellino con il coperchio smaltato, le panche verdi e gli sportelli della dispensa di compensato giallo opaco. Kaisa, di spalle, lavava le patate in una profonda ciotola smaltata.

“Non ho sparato con il cannone” ammise Raimo, evitando di rispondere alla domanda della madre.

“È un bene che tu l’abbia finito, il servizio.”

“Avrei anche potuto scegliere di non arruolarmi, oggigiorno è possibile rifiutare” rispose Raimo.

“Ecco cosa si inventa la gente! Invece tutti dovrebbero fare il servizio militare, almeno così diventano uomini veri.”

“Meglio imparare un mestiere. Con questo, se ti va bene, finisci per lavorare di badile.”

“Teuvo, vai a prendere la legna!” ordinò Kaisa.

“Troverai comunque qualcosa da fare quest’estate.”

Quando si udì il rombo del motorino, Kaisa guardò dalla finestra e strappò una foglia ingiallita dal geranio.

“Sta tornando Jussi.”

Raimo si precipitò verso le scale, come faceva da ragazzo quando suo padre tornava dai viaggi di lavoro, ma all’ultimo istante si fermò, e restò lì con l’aria di chi stesse uscendo per puro caso.

Juhani Kujala, un uomo piccolo e curvo, si chinò per esaminare lo scarico del motorino; solo dopo essersi raddrizzato, con le mani a sostenere la schiena dolorante, notò il figlio.

“Ah, ecco il nostro soldato. Pensavo che ti avessero scartato.”

“In ospedale non sono stato più di una settimana” mentì Raimo.

“Se avessi saputo che saresti venuto, avrei comprato delle Boston. La fumi una nazionale?” fece Jussi, estraendo un pacchetto dalla tasca interna del giubbotto.

Mentre Raimo accendeva la sigaretta del padre, osservò da vicino il suo volto: guance infossate e profonde occhiaie blu sotto gli occhi. Jussi aspirava il fumo profondamente.

“È stata di nuovo una giornata orribile. Sono andato alla riunione per i salari, anche se non mi riguarda direttamente, i magazzinieri sono pagati a ore”.

Foto da verla.fi

“Quindi non sei andato a legare i tronchi a riva?” chiese Raimo.

“I ragazzi avevano già formato la squadra. In ogni caso, non avrei retto a lungo con questa schiena” spiegò Jussi entrando in casa.

“Già, quel lavoro a cottimo è davvero una bella sfacchinata” convenne Raimo, cercando a fatica le parole. Sentì la scala oscillare sotto i piedi e, mentre il suo sguardo scivolava lungo la riva del fiume, ebbe l’impressione che l’intera casa si fosse in qualche modo accartocciata e rimpicciolita. Meglio puntare lo sguardo in lontananza, per evitare di pensare a certe cose. Ah, magari avesse potuto dare a suo padre un centinaio di marchi, o due, e dirgli di restare a casa, ma conoscendo la propria situazione economica, rifletté Raimo.

A cena, la madre lo incoraggiò a mangiare in abbondanza, servendogli porzioni supplementari di patate e sugo con la salsiccia. Raimo inseguiva con la forchetta i pezzetti di carne nel piatto, mangiando sempre più lentamente, ricordando quanto avidamente mangiassero invece i suoi commilitoni. Si riscosse solo quando Jussi gli chiese:

“Hai pensato a imparare un mestiere, Raimo?”

“Prima devo trovare un lavoro.”

“Un lavoro?” ripeté il padre, facendo stridere il coltello sul fondo del piatto.

“Quindi non è servito a niente frequentare le medie” sospirò Kaisa.

“Lo sai come andavo a scuola. E coi soldi come facciamo?” replicò subito Raimo, come se avesse già meditato sulla risposta.

“Il figlio dei vicini ha passato gli esami ed è stato ammesso alla scuola forestale.”

“Sì, ma io non sono il figlio del vicino” ribatté Raimo, alzandosi dal tavolo e accendendosi una sigaretta.

Jussi prese il giornale dalla panca e si diresse in camera.

“Dov’è finita Eija? Ci fosse una volta che possiamo mangiare tutti insieme. Avrebbe potuto darmi una mano” brontolò Kaisa mentre sparecchiava.

Raimo si alzò dirigendosi verso la porta.

“Dove vai?” chiese la madre.

“Giù al fiume.”

“Non starci troppo, la sauna è quasi pronta.”

Raimo sbatté la porta alle sue spalle, facendo saltare la maniglia; voleva stare da solo e Teuvo lo aveva intuito, non provò nemmeno a seguirlo. Kaisa, invece, si voltò velocemente come per dire qualcosa al figlio e, soprattutto, per ottenere una risposta, ma lui era ormai già in cortile. Così Kaisa immerse di nuovo le mani nell’acqua del catino.