Sofi Oksanen e la guerra di Putin contro le donne

Una scrittrice scomoda poco amata dai media italiani

L’ex oligarca russo Mikhail Khodorkovskij  ha dichiarato in un’intervista al Corriere della sera (7.5.2024): “Non voglio dire che l’Italia si differenzia da altri Paesi europei dal punto di vista storico nell’atteggiamento verso la Russia, la Francia è molto simile. Ma c’è un problema di mezzi di comunicazione in Italia: per dirla cautamente, i media nazionali in Italia non sono molto forti sulla questione. E questo è il punto debole per la propaganda di Putin.”

Se intendo correttamente, Putin farebbe leva su una certa debolezza dei media occidentali per far penetrare la sua propaganda, a volte distorcendo la realtà. Ma avere consapevolezza di queste distorsioni significa conoscere il sistema della propaganda russa, i suoi principi, e capire come quella propaganda opera all’interno della Russia e all’esterno.

Per comprenderlo, oggi abbiamo uno strumento molto efficace, predisposto da una intellettuale finlandese che da decenni studia il mondo russo e quello sovietico. Si chiama Sofi Oksanen, ed è soprattutto nota nel mondo (molto meno in Italia) come autrice di romanzi, drammi teatrali e melodrammi, nonché di una saggistica alimentata da costanti interventi su quotidiani e riviste in patria e all’estero.

Lo strumento è un saggio da poco pubblicato per Einaudi col titolo Contro le donne. Lo stupro come arma di guerra. Il titolo dell’edizione finlandese (Like 2023) è Samaan virtaan – Putinin sota naisia vastaan (Nella stessa acqua. La guerra di Putin contro le donne). “La guerra di Putin contro le donne” compare nei titoli o nei sottotitoli delle tante traduzioni in giro per il mondo, compresa quella ungherese. Se il volume si offre come un glossario utile a comprendere la Russia di Putin, ecco che nell’edizione italiana è interessante che non compaia la parola forse più significativa del senso del libro: Putin.

Perché se il libro tratta del dramma dello stupro sulle donne come arma di sterminio, è proprio sul suo utilizzo scientifico da parte delle armate di Putin che concentra la sua attenzione.

L’autrice si domanda perché i russi di oggi siano così indifferenti alle proteste che si levano da tutto il mondo occidentale, e non solo, davanti ai crimini perpetrati dal regime, contro paesi vicini, ma anche contro intellettuali e giornalisti al suo interno. Qui l’indagine di Sofi Oksanen si rivolge al sistema dell’informazione e della propaganda russa per spiegare perché, per esempio, Putin e i suoi sodali parlino di “defascistizzazione” e “denazificazione” per giustificare la loro invasione.

Il Cremlino ritiene che il nazismo e il fascismo si tramandino di generazione in generazione e, in particolare, nelle aree che la Russia considera suoi domini. In Occidente, con nazisti e fascisti si intendono l’estrema destra e i neonazisti, e le ideologie connesse non sono considerate un’eredità etnica o genetica. Cosí, quando all’inizio della presidenza di Putin il regime russo ha iniziato a dare in pasto all’Occidente narrazioni che etichettavano come nazisti Paesi che considerava suoi domini, i giornalisti occidentali si sono messi a cercare pericolosi estremisti di destra in Ucraina e nei Paesi baltici.” (p. 76)

Oksanen ce lo spiega così: Poiché l’Unione Sovietica e la Russia hanno sempre giustificato le loro invasioni, occupazioni e conquiste con la storiella della liberazione, il popolo russo non è capace di pensare altrimenti. E perché dovrebbe quando, una generazione dopo l’altra, secolo dopo secolo, è stato educato a credere che la Russia non si impegna in guerre di conquista? I governanti russi devono sempre trovare una giustificazione per la loro politica aggressiva, per quanto assurda possa sembrare all’Occidente.” (p. 74)

Il popolo russo non si è mai sentito accusare di colonialismo o di imperialismo: e non è il solo a pensarla così. Scrive la Oksanen: “Mentre la storia di altre ex potenze coloniali fa parte dei nostri programmi scolastici, la Russia non è stata analizzata alla luce del colonialismo, nemmeno tra i banchi di scuola. I Paesi dell’ex blocco orientale costituiscono metà dell’Europa e hanno vissuto il dominio di due diversi regime totalitari. Tuttavia, la loro esperienza non è mai stata integrata nella memoria occidentale del nostro continente, non è diventata la memoria storica dell’intera Europa.”

E aggiunge: “la riluttanza dell’Occidente a riconoscere l’imperialismo russo e l’ultranazionalismo ad esso associato ha permesso che la Russia preparasse per anni la guerra e il genocidio senza che le democrazie occidentali se ne accorgessero”. (p.102)

Quando poi, e siamo ormai nel 2014, l’annessione della Crimea è finita sotto gli occhi di tutti, nessuno si è strappato le vesti, e l’evento è rapidamente scomparso dai titoli dei giornali occidentali, cosí come la guerra in Ucraina orientale iniziata lo stesso anno.

Nel dibattito pubblico, la Crimea appariva come una causa persa e per molti era come una parte «naturalmente integrante» della Russia. Rory Finnin, professore di studi ucraini all’Universita di Cambridge, ha brillantemente definito la situazione, con una crasi di amnesia e Crimea, Crimnesia.

Ho scelto di segnalare solo una delle questioni trattate nel saggio della Oksanen: le amnesie, o la rimozione, dominanti su tanti media occidentali quando la Russia di Putin è coinvolta in affari men che leciti: che si tratti di Ucraina o di Africa, fa poca differenza. La capacità dei nostri media di limare, sottostimare, o tacere le imprese di Putin e dei suoi siloviki, è ciò che ha permesso al gruppo di potere del Cremlino, nonostante i tanti momenti critici attraversati, di sopravvivere a se stesso.

Quel che sostiene Mikhail Khodorkovskij e che ho citato in apertura è particolarmente vero per una intellettuale, come la Oksanen, che da trent’anni dice apertamente anche nei suoi romanzi di quanti crimini si è macchiato l’imperialismo di Putin. Le parole che lei usa, dure, dirette, e i documenti che cita, sono estranei allo stile del mondo dell’informazione italiano, alle sue diverse intellighenzie, che sistematicamente si sdegnano e si scandalizzano nei talk show dove si accomodano quotidianamente, ma poi, nel profondo, cosa pensano davvero di Paesi come l’Ucraina, la Moldavia, o la stessa Finlandia e delle loro ansie di fronte all’aggressione russa che va avanti da decenni?

Scrive la Oksanen dell’opinione pubblica russa, ma potrebbe valere anche per l’opinione media di parecchi italiani: “È difficile capire che qualcuno può rispettare qualcosa che a te è estraneo anche solo come concetto. È difficile capire perché si dovrebbe difendere con il proprio sangue qualcosa che non apprezzi: l’appartenenza a un Paese piú piccolo della Russia.” (p. 93)

Ecco: quanto interessa davvero alla nazione-Italia della dignità e dell’orgoglio di piccoli paesi per cui la guerra non è mai finita? Vale la pena combattere per Kiev, per Chișinău, o domani per Helsinki?

Disegno di Luca Cannavò

L’Italia che da mesi dibatte e si dibatte intorno alle dichiarazioni di un milite ignavo a caccia di notorietà, credete che troverà il tempo per discutere di chi, già ai tempi della Purga (romanzo straordinario  letto solo da pochi intrepidi in Italia) ci avvertiva: attenti, perché tutto questo ci riguarda, è in gioco l’Europa e la sua storia. Ai tempi della Purga, presentandola su due importanti quotidiani italiani, due croniste di chiara fama  la definivano in perfetta sintonia “una con la faccia da lupo”.

Sarà che da noi è storicamente sempre colpa del lupo: o magari sarà che con l’orso si fanno meglio gli affari.

(Foto del titolo di Toni Harkonen – like.fi. Per le foto utilizzate, siamo pronti a far fronte alle richieste di diritti)

Nicola Rainò
Giornalista, traduttore letterario, studioso di lingua italiana e storia dell'arte. Emigra dal Salento a Bologna per studi, poi a Helsinki per vivere. Decise di fondare La Rondine una buia notte dell'inverno del 2002 dopo una serata all'opera.