“La linea rossa” di Ilmari Kianto

La letteratura finlandese del primo Novecento si caratterizza per la fusione tra le tendenze culturali europee di fine secolo (Simbolismo, Art Nouveau, Decadentismo) e un forte spirito nazionale, definito dalla critica come “Neoromanticismo nazionale”. Questo movimento esprimeva allegoricamente la resistenza alla russificazione e prendeva ispirazione dal patrimonio folklorico, come il Kalevala.

In tale contesto, spicca Ilmari Kianto (1874-1970), autore controverso che passò da posizioni giovanili radicali a visioni più conservatrici. Nato in Ostrobotnia, con radici nella regione di Kainuu, Kianto studiò a Oulu e Helsinki, approfondendo la cultura russa e traducendo autori come Tolstoj e Puškin. Nel 1904, fu il primo finlandese a sposarsi con rito civile.

I. Kianto a Helsinki nel 1964

Kianto aderì inizialmente alle idee tolstoiane di pacifismo e critica della Chiesa istituzionale, evidenti nel suo romanzo più celebre, La linea rossa (Punainen viiva, 1909), ambientato dopo l’introduzione del suffragio universale in Finlandia (1906). L’opera esplora le tensioni sociali e politiche che caratterizzarono le prime elezioni democratiche e le disillusioni seguenti al successo socialdemocratico del 1907, attraverso una rappresentazione simbolico-reale delle difficoltà della vita rurale.

Nonostante l’apparente empatia verso i poveri contadini, il romanzo mantiene una posizione ambigua, riflettendo le contraddizioni dell’autore. Durante la guerra civile finlandese del 1918, Kianto sostenne apertamente i “Bianchi” e sviluppò sentimenti fortemente anti-russi, complicando ulteriormente la lettura delle sue opere precedenti.

Attraverso una scrittura satirica e critica, Kianto rappresenta un importante spaccato della società finlandese dell’epoca, rivelando le contraddizioni delle idee di progresso sociale e mettendo in guardia contro le promesse illusorie di cambiamento radicale.

Il romanzo è oggi tradotto in italiano (da A. Parente) col titolo La linea rossa per le edizioni Vocifuoriscena.

Peder Severin Kroyer, Ciabattino, 1887

La linea rossa

Era un sabato mattina.

Dopo aver depositato il suo carico d’uccelli nel vestibolo, al suo ingresso nella bottega di Raappana, il calzolaio, luogo abituale di ritrovo per la gente dei boschi durante le visite alla cittadella, Tobi trovò la moglie dell’artigiano intenta a leggere il giornale ad alta voce. La donna, gli occhiali inforcati sulla punta del naso, leggeva le notizie mentre gli altri astanti ascoltavano attenti. Il calzolaio era seduto davanti al tendiscarpe, martelletto in mano, ma non sembrava impegnato a picchiettare i chiodini nelle suole. Su una lunga panca accostata alla parete sedevano tre visitatori, berretti di pelo in testa e pipe in bocca, sputacchiando occasionalmente al centro della stanza. Entrando, Tobi ricevette solo un solenne cenno di saluto da Raappana, che accostò gli attrezzi un po’ più alla parete con la mano sinistra per fargli spazio; gli altri ospiti non si mossero affatto. Il nuovo arrivato si accomodò al posto indicato e, d’un tratto, anche lui fu stranamente avvolto dall’atmosfera raccolta degli ascoltatori, tanto da sentirsi come in chiesa durante il sermone. Inizialmente, fu quasi tentato di congiungere le mani e abbassare lo sguardo in segno di contrizione. Tuttavia, dopo aver osservato gli altri, scelse di rimanere seduto a schiena dritta come loro, guardando davanti a sé. Anch’egli sputò a terra, e poi rivolse la sua attenzione alla donna, cercando di comprendere le parole lette ad alta voce:

“… e in questo paese la borghesia è sempre stata ingiusta e insidiosa. La povera gente ha dovuto sopportare in silenzio fame e indigenza, morendo in una miseria che nessuno ha mai cercato di alleviare. I signori e gli oppressori non hanno mai prestato ascolto alle loro profonde sofferenze. Si sono limitati a sogghignare, sostenendo che la povertà è frutto della stupidità e della pigrizia. Finora, il lavoratore onesto non ha ricevuto una rimunerazione equa e giusta. In chiesa e al catechismo il prete inganna il popolo e predica che tutto deve rimanere uguale, perché si dice che Dio abbia creato sia i ricchi sia i poveri. Ora, però, è tempo di porre fine a questi abusi diabolici e di demolire il regno della falsità. Che gli oppressi si ribellino, ripagando occhio per occhio, e si facciano avanti in difesa dei loro diritti. Ciò avverrà se tutti i poveri parteciperanno alle prossime elezioni parlamentari, votando per quei candidati che hanno a cuore la causa del popolo, e che non temono di opporsi all’arroganza degli approfittatori. E se, in ultimo, i signori sono stati costretti a dare al popolo il diritto di voto, dobbiamo cogliere questa opportunità e mostrare loro che possiamo trasformare in parlamento del popolo quello che finora è stato il consesso dei signori. Quindi, ogni povero, uomo o donna, è ora obbligato a informarsi senza indugio sulla nuova legge elettorale e ad apprendere il significato di tracciare la linea rossa. Perché sappiate, cari amici e compagni, la linea rossa sarà scritta col sangue del cuore del popolo finlandese. E com’è vero che Dio regna sui poveri e sui ricchi, questa linea rossa trafiggerà il cuore e le viscere dei nostri oppressori…”

L’anziana moglie del calzolaio, dopo aver terminato la lettura, annuì soddisfatta.

A Tobi prese a girare la testa, e gli sembrò che il cuore avesse smesso di battere. Non aveva mai sentito una cosa del genere in vita sua! Non aveva mai sognato che a questo mondo si potesse parlare di qualcosa in quel modo, tanto meno sui giornali. Per tutta la vita aveva creduto che solo i sermoni potessero apparire sulla carta stampata, e se non i sermoni, al massimo i proclami del governatore, se cercavano qualche fuorilegge o brigante. Ma ora, nero su bianco, erano stampate le parole di qualcuno che sosteneva la causa della povera gente, e preannunciava un cambiamento inaudito…

Tobi guardò sottecchi per registrare la reazione degli altri presenti.

“Sì”, esclamò il ciabattino, “è così che stanno le cose! Quest’inverno nel nostro villaggio tracceremo finalmente la linea rossa, e con determinazione!”

“Sì, proprio come scrivono”, fece eco uno dei clienti. “È da qui che dobbiamo partire!”

“Fino alla sconfitta dei signori”, aggiunse la donna, piegando il giornale e alzandosi per salutare Tobi.

Il calzolaio cominciò a battere il martelletto, rivolgendo allo stesso tempo un sorriso amichevole al nuovo arrivato, che sedeva di fronte a lui alla finestra.

“Cosa c’è di nuovo?”

“Niente di particolare. Sarà un inverno con i fiocchi. Porto i saluti…”, rispose Tobi, tranquillo e misurato.

La calzolaia era in piedi vicino accanto alla stufa dove bolliva l’acqua per il caffè, che avrebbe offerto dopo la lettura, e il suo pingue ventre ballonzolava leggermente.

“Grazie!”, esclamò lei con voce roboante. “Anche il saluto di quella povera ragazza dell’Eremitaggio è sempre ben gradito. Sei venuto a prendere della farina per la pappa, vero?”

“Eh, sì…”, ammise Tobi, un po’ imbarazzato dalla presenza di quegli estranei.

“Me ne sono accorta subito, la lingua batte dove il dente duole”, si vantò la donna versando il caffè in due tazze da cui bevvero tutti, a turno. Anche Tobi ne ebbe un po’, essendo in qualche modo imparentato con i calzolai. Non ne avevano mai discusso apertamente, ma entrambe le parti ne erano consapevoli.

Sorseggiando la bevanda calda, Tobi si rilassò e chiese:

“Quale libro stava leggendo Kunilla?”

La donna si affrettò a rispondere:

“Non era un libro, ma un giornale, la Voce del Popolo.” Promise a Tobi che gli avrebbe dato una pila di vecchie copie da portare a casa.

“E cosa me ne farei?”, Tobi obiettò educatamente. “La nostra casupola è già bella così com’è, anche senza i giornali come carta da parati.”

A queste parole, Raappana scoppiò a ridere:

“Tobi, tu vivi all’oscuro di tutto, come una talpa nella foresta. Kunilla non ti dà dei giornali per nutrire i tuoi scarafaggi, ma per spingerti a fare propaganda.”

Tobi si sentì in imbarazzo. Non capiva cosa significasse fare propaganda, ma si vergognava di chiederlo. Gli fu chiaro che i membri della famiglia del calzolaio erano diventate persone di cultura dall’ultima volta che li aveva visitati, alla vigilia di San Giovanni.

“Ma era bello il modo in cui parlavano del Giudizio Universale”, si azzardò ad osservare. “Mi si è gelato il sangue ascoltando le profezie che Kunilla leggeva dal giornale.” (Pp. 38-41)

La linea rossa

Edizioni Vocifuoriscena 2025

Traduzione di Antonio Parente